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GraceFissavo soprappensiero la tazza di caffè bollente mentre col cucchiaio mescolavo in modo quasi morboso. Mi ero svegliata sola, stordita, mi ero recata in bagno per sciacquarmi il viso e mi ero pentita di aver tolto la maglia, maledendo la mia curiosità nello scoprire l'orrore che si celava sotto il tessuto di cotone. Vari colori, viola, verde, blu, erano i colori che componevano gli ematomi, gesto di violenza che Luke aveva mostrato sul mio corpo. Credevo di averlo inquadrato, credevo di essermi fatta un'idea del suo essere e la violenza era più una cosa che associavo ad Austin non a Luke, credevo che quest'ultimo fosse più subdolo ma mi ero sbagliata. Ciò che mi aveva fatto più orrore era vedere sul mio collo e sulla spalla la forma perfetta dei denti di Luke, allineati come se fosse stato uno squalo di piccole dimensioni a lasciarmi quei morsi. Denti intrisi nella mia carne che pregai sbiadissero col tempo. I lividi violacei partivano da appena poco sotto la mia mandibola e si estendevano in buona parte della spalla. Nonostante Austin mi avesse medicata, i segni non si erano alleviati, cosi come il dolore. Avevo compreso solo in quel momento lo sguardo inorridito che Austin aveva espresso la sera prima. Avevo subito una violenza animalesca e non seppi definire se fosse uno sfogo del biondo o un istinto o se davvero fosse un qualcosa che gli appartenesse davvero, ma ripensandoci mi destava ancora piu dubbi e sospetti su di loro.
Pensieri e silenzio attorno a me, seduta al tavolo della cucina sorpresa di essere sola ma per nulla a disagio. Era quasi assordante tutto quel silenzio ma i pensieri che scorrevano a gran voce smorzavano il chiassoso silenzio. Cercavo di ripetere mentalmente la discussione avuta tra i due e niente acquisiva un senso. La Villa, il Padrone, il rimarcare che io fossi sotto custodia di Austin, una missione e delle responsabilità. E Luke, che dinanzi ad Austin si sentiva infantile e capriccioso. Tutto al limite dell'assurdo ma quello che più mi domandavo era chi fosse il Padrone. Chi diavolo era quella persona tanto temuta, tanto crudele e tanto potente e mi chiesi se fosse lui la ragione del motivo per cui fossi stata rapita. Ma perché io in mezzo a tante altre? Cosa mi distingueva? Una parte di me voleva andare a fondo alla questione mentre l'altra era stanca di subire, subire e ancora subire.Se il silenzio in questa casa fosse rimasto tale, avrei curiosato in giro cercando di andarmene. Il mio timore più grande era conoscere bene le alternative che avevo come conseguenze per le mie fughe e nessuna di queste era qualcosa che volevo rivivere. Questo pero doveva essere un incentivo per non fallire.
Finii di bere il caffè e in tutta calma mi alzai e misi la tazza nel lavello. Mi poggiai di schiena contro la cucina osservando la stanza, dove potevano essere? Sicuramente Luke stava dormendo, era Austin che non avevo idea di dove fosse. Mi diressi poi verso la stanza che per me era off-Limits e posai l'orecchio alla porta non sentii nulla, nessun rumore, nessuna voce, nessun passo, niente. Per una volta a differenza di tutte le altre, decisi di far con calma e fare tutto tranne che agire in modo impulsivo, dovevo accertarmi dei loro movimenti. Non sentendo niente provenire dalla stanza proibita, mi recai nella mia stanza con l'intenzione di vestirmi in modo più comodo e appropriato ad una fuga. Trovai nell'armadio dei cargo color crema e una t-Shirt nera che decisi di indossare insieme a delle semplici scarpe nere, un po' sportive, lasciai i capelli sciolti. Fondamentalmente a risultato finito non sembrava stessi andando in guerra. Era un abbigliamento molto casual, nulla che desse ad intendere una mia fuga. Per il momento ero solo intenzionata a tastare il terreno senza aspettative, cercando di agire il più discretamente possibile. Non sapevo cosa cercare e non sapevo se avessi inconsciamente bisogno di trovare altri pretesti per andarmene davvero. Guardai fuori dalla finestra della mia camera, spostando la tenda e cercando di capire a grande distanza, qual'era la direzione giusta da prendere se me ne fossi andata. Dalla mia camera vedevo solo una vasta prateria e poi un fitto bosco, niente strade e niente abitazioni. Pensai al bagno di sotto, uno dei miei primi tentativi di fuga e mi diedi della stupida in meno di due secondi per aver preso in considerazione l'ipotesi di sbagliare un'altra volta. Figuriamoci se quei due non si fossero occupati di sigillare qualsiasi cosa in quel maledetto bagno. Poi mi balenò un'idea, mi serviva carta e penna, avrei preso nota di tutte le informazioni in mio possesso e avrei stilato una lista con le possibili opzioni di fuga. Un piano architettato lucidamente nero su bianco. Avrei sicuramente fatto più chiarezza.
Banalmente mi ritrovai a fare una mappa mentale, con al centro una sola parola: "rapimento". Stavo scrivendo tutto quello che sapevo sul mio rapimento. Sapevo che tra due settimane mi avrebbero portata alla Villa, forse era un nome in codice che indicava un luogo da qualche parte nel mondo di cui non ero a conoscenza. Forse non si trattava nemmeno di una villa appariscente come avevo immaginato fino ad ora, magari era un luogo tetro come un fabbrica abbandonata, o una stazione metropolitana abbandonata, un posto losco e nascosto. Ma perché chiamarla Villa allora? Mi rigiravo la matita tra le labbra mentre mi interrogavo. E se fosse stata davvero una villa? Ma non avrebbe avuto senso, tanta segretezza per poi essere un enorme casa lussuosa in bella vista. E riguardo a quel luogo dove sarei finita, le riflessioni si interrompevano. Non ne sapevo abbastanza. Collegai un'altra freccia indicando il Padrone, e c'erano diversi aggettivi che stavo scrivendo: potente, misterioso, autoritario, temuto, rispettato, ricco, il boss della situazione. E di conseguenza un'altra freccia: "perché me?", perché voleva me? Cosa voleva da me? E di nuovo anche qui le riflessioni si interruppero. Un'altra freccia: "Austin". Lui era manipolatorio, autoritario, ostile ma c'era qualcosa in lui di magnetico, di misterioso. Fino ad ora la mia idealizzazione del Padrone si avvicinava molto all'essere di Austin. Era indecifrabile, l'unica freccia determinante sul suo conto era che io ero sotto la sua custodia. Poi un'altra freccia: "Luke", lui era perverso, senza freni e senza scrupoli, mi intimoriva ma mai quanto Austin, era viscido e a parte essere complice di Austin non sembrava avere un altro ruolo in questa storia se non che fosse amico di lunga data di Austin. Poi c'era William Colby, rivelatosi un bravo medico e cosa mai poteva farci un medico in gamba come lui in una situazione come la mia. Mi era parso che si occupasse di schiave come me. Un'altra freccia: "schiava". Ma su quella ci sarei tornata dopo, avevo ancora delle riflessioni sul medico. Avrei potuto rivolgermi a lui, sembrava disponibile, era stato educato, professionale e gentile dopo l'intervento ed era l'unico a non avermi fatto del male, tuttavia ricordai una cosa: dagli sguardi e dalle strette di mano tra William e Austin dedussi fossero buoni amici. Non avrebbe voltato le spalle al suo amico per dare una mano ad una delle tante schiave che avrà visto passare dal suo studio. Opzione bocciata. Tracciai una linea sulla parola scritta in precedenza: "aiuto" sotto la casella di William. Tornai sulla parola: "Schiava" e anche qui mi resi conto di altre considerazioni. Mi volevano intatta, sarei stata venduta ma volevano la mia sottomissione. Austin pareva dovesse occuparsi di sottomettermi, di rendermi docile. Realizzai che forse il loro compito era quello di fare il lavoro sporco per togliere il fardello al Padrone, forse c'erano altre schiave come me e se avevano parlato di vendite significava che io ero merce. Merce di scambio e il mio destino sarebbe stato dettato dal Padrone che da quanto lo temevano i miei due rapitori era sicuramente peggio. Ma se le violenze e gli abusi li vivevo qui, là alla Villa cosa avrei vissuto? Tuttavia Austin si era preoccupato molto dei suoi danni e aveva posto rimedio quasi disperatamente e i danni di Luke lo avevano mandato su tutte le furie. Fisicamente non dovevo avere lesioni o non sarei stata venduta quindi alla Villa non avrei piu subito violenze forse. Certo stavo considerando tutto questo come una detective, quasi con leggerezza ma dovevo uscire dalla mia prospettiva per capire cosa stava succedendo. Guardai il foglio davanti a me, avevo fatto più collegamenti su quel foglio che mentalmente da quando ero qui. Mi congratulai con me stessa, dopotutto non era stata poi un'idea banale fare una mappa mentale. Avevo davanti a me un quadro abbastanza chiaro. C'erano ancora tanti spazi bianchi e nonostante io dovessi rimanere all'oscuro di tutto, quei due non erano stati poi cosi furbi, mi avevano rivelato abbastanza.
Abbandonai la mappa mentale per stilare una lista intitolata: "fuga". Avrei considerato i pro e i contro delle opzioni che mi rimanevano. Scrissi le fughe finite male, scrissi come opzione la finestra del bagno del piano inferiore ma la cancellai subito rendendomi conto che era un ipotesi troppo azzardata. La porta d'ingresso era chiusa a chiave, avrei potuto cercare la chiave ma per andare dove poi? Avevo già setacciato la casa e guardando fuori da ogni finestre e da una delle mie prime fughe avevo constatato che non c'era niente. Loro conoscevano i dintorni la fuori meglio di me. A meno che non fossi stata una ragazza da corsa d'élite non li avrei mai seminati. Rubare la macchina era un'altra opzione. Ma avrebbe significato rubare le chiavi d'entrata e rubare quelle della macchina, ma se Austin o Luke se le portavano sempre dietro sarebbe stato impossibile che non se ne accorgessero. Cancellato. Calarmi dalle finestre del piano di sopra sarebbe stato impossibile, pure il balcone della loro camera era sigillato con sbarre di ferro e mi domandai perché. Un'altra schiava aveva cercato di calarsi da li? Chissà quante schiave erano state dentro queste mura, possibile che nessuna di loro avesse lasciato traccia? O quei due setacciavano la casa di continuo o le schiave erano troppo terrorizzate per fare quello che stavo facendo io. L'unica opzione rimasta era la stanza proibita, forse non sarei riuscita a scappare ma avrei scovato altre informazioni da li dentro. Non negai che la curiosità di scoprire cosa ci fosse oltre quella porta, era tanta. Sotto indicai con una freccia: "chiave?", già dovevo capire dove tenevano la chiave. Se tenevano tutte le chiavi in tasca avrebbero avuto i pantaloni decisamente scomodi e lo avrei notato quindi non potevano tenere sempre tutto in tasca. Forse nelle loro stanze. Avrei cercato, avrei pedinato uno di loro nel momento in cui si sarebbero infilati in quella stanza per capire dove fosse la chiave. Avevo ancora tempo per lavorarci ma tutto sommato avevo un quadro più chiaro. Finito di scrivere mi sentii stanca e affamata, evidentemente ragionare cosi a lungo era stancante, non misi in dubbio che ci fossero anche le ferite che mi derubassero di energie. Mi appoggiai alla testiera del letto, piegando il foglio e mettendolo sotto al cuscino per nasconderlo. Austin aveva avuto la sua parte di ragione, avevo avuto una notte tormentata se non addirittura infernale, ma scommettevo che nemmeno lui se l'aspettava cosi, dalle sue reazioni. Scesi di sotto con cautela, assorbendo il silenzio che aleggiava nella casa. Un silenzio che mi insospettì. Arrivata gli ultimi gradini, sentii la voce di Austin farsi piu vicina, la maniglia della stanza proibita si abbassò facendo uscire il ragazzo dai capelli corvini. Non mi mossi, guardai la scena. Stava parlando al telefono e notando la mia presenza i nostri occhi si incrociarono ed ebbi un brivido lungo la spina dorsale. Mi maledii per le reazioni incontrollate che si manifestavano nei suoi confronti, era odioso.
<<Si, capisco. Quello che ho fatto. D'accordo. Non c'è un altro sistema? No, grazie, non mi sembra necessario portartela di nuovo, il viaggio non è breve. Ti ho mandato le foto, fattele bastare. Si. Va bene, ti ringrazio. Ci sentiamo.>> appese la chiamata e si mise il telefono in tasca. Feci per andare in cucina ma la sua voce mi fermò. <<Era William, il medico, ti ricordi?>> si certo che mi ricordo, è successo ieri. Pensai. <<Si.>> - <<Gli ho chiesto indicazioni per trattare i morsi. Ha detto di metterti del ghiaccio e metterti la pomata lenitiva e antiinfiammatoria.>> la sua voce era impassibile. Non trasmetteva nulla.
<<Perché me lo stai dicendo?>> ero sorpresa. Da quando venivo informata del mio stato? Si avvicinò lentamente, finché potessi notare la sua autorità manifestata dalla differenza delle nostre altezze, sentendomi piccola sotto il suo sguardo autoritario. <<Non lo dico per tuo interesse, ma perché tu sappia che hai due ferite da trattare e ce ne occuperemo noi. Anzi, io. Luke ha fatto la sua parte.>> nell'ultima frase rivelò un tono infastidito e seccato. <<La sua parte, non nel modo che vorresti. Beh, grazie per l'informazione.>> risposi con il suo stesso tono impassibile sostenendo il suo sguardo. Lo abbassai poco dopo, come succedeva sempre, i suoi occhi mi penetravano l'anima, mi sentivo come se fosse in grado di entrare dentro di me e frugare ovunque, odiavo questa sua capacità, faticavo ad innalzare muri abbastanza alti da proteggermi e lui come se niente fosse li scavalcava. Lo oltrepassai per andare in cucina per mangiare qualcosa. Mi voltai poco dopo per vedere se la presenza di Austin fosse dove l'avevo lasciato, ma scoprii un salotto vuoto e di nuovo il silenzio. A volte pensavo di essere pazza, loro mi rendevano pazza. C'erano giorni o momenti in cui mi stavano costantemente col fiato sul collo e giorni come questo in cui sembravano fantasmi in questa casa e i loro modi di fare mi facevano pensare di immaginarmi di aver parlato con loro. Forse stavo impazzendo sul serio o forse era nelle loro intenzioni farmi impazzire. Realizzai all'improvviso di sentire dentro di me un dispiacere nuovo, non era la solita sensazione angosciante che vivevo da quando sono arrivata qui, quella morsa al petto dettata dalla paura e dalla sofferenza. Era un dispiacere diverso, più piccolo, come quando all'improvviso di accorgi di un lucina lampeggiante. Era un piccolo dispiacere lampeggiante e non capii da dove arrivasse. Me n'ero resa conto solo ora quindi era recente, cercai di pensare a cosa fosse dovuto e poi la risposta arrivò come uno spintone. Ci ero rimasta male per l'impassibilità di Austin dopo i suoi modi quasi gentili della sera prima. Ci ero rimasta male, quando mi disse delle indicazioni del medico, che pensai fosse cambiato qualcosa, credevo mostrasse un interesse diverso e poi dopo la mia diffidenza, chiari subito che non lo faceva per me. Mi sentii improvvisamente stupida per aver creduto nelle sue cure, per aver creduto ci fosse del buono in lui, per aver interpretato i suoi gesti come un segno di tregua. Faceva il suo lavoro e io, stupidamente avevo frainteso e in più, avevo creduto a qualcosa di possibilmente nuovo. Mi appoggiai con le mani contro la cucina e risi sarcastica, rompendo lievemente il silenzio nella stanza. <<Sono davvero messa male.>> dissi a me stessa. Ero amareggiata dalla mia ingenuità, da questo errore commesso da me stessa che non si sarebbe ripetuto. Scossi la testa sogghignando con sarcasmo, forse stavo raggiungendo le porte della disperazione, se ero appena arrivata al punto di credere al minimo gesto che non fosse violento. Mi strofinai gli occhi con i palmi delle mani e cercai di tornare in me. Sono solo stanca. Pensai. Avevo anche fame. Trovai nel frigo della pasta al sugo che riscaldai in forno e poi apparecchiai per me sola.
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D E S T R O Y E D <<oscuro come il futuro, misterioso come chi ti sta vicino>>
Mistério / SuspenseDESCLAIMER: Questa storia è sotto la categoria Darkromance. Possiede contenuti espliciti e tematiche forti. Se siete sensibili a questo genere di tematiche ne si sconsiglia la lettura. Una storia avvincente e originale con contenuti drammatici, cont...