3. And You? Who Are You?

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Keep your eyes on mine
And if you want, I'll tell you lies
Tell you I'm yours for life
And tell your friend she's next in line

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Avevo solo ventitré anni, e mi ero ritrovata a trasferirmi temporaneamente in uno degli appartamenti più lussuosi di New york.

Lo ammetto, soffrivo di un complesso di inferiorità, anche se non era del tutto illecito.
L'appartamento in cui abitavo, l'affitto lo pagava quello che avrei dovuto chiamare il mio fidanzato.
Usare quel termine per riferirmi a lui era una calunnia a cupido, questo lo sapevamo sia io che lui, solo che non ce lo dicevamo.
Il cinismo incombeva tra di noi, impedendoci di essere sinceri l'una con l'altro, chissà quale scandalo sarebbe uscito fuori se la persona sbagliata avesse scoperto questo inconveniente.
Era tutto fondato sulla convenienza per entrambi.
Io davo a lui quello che voleva, lui lo dava a me, perfettamente equilibrato, andava avanti da quando ero andata a Londra, poi ci eravamo fidanzati e mi aveva chiesto di andare con lui a New York, in cambio avrebbe fatto un modo che io avessi quello che stavo aspettando da quando mi ero svegliata dal coma.

Quegli occhi.

Azzurri come due diamanti.

Io li conoscevo, quei due occhi li avevo già visti.

Erano gli stessi occhi che si trovavano sulla foto al Ford cemetery, il cimitero di Liverpool dove seppellirono Heléna.

Così belli e vuoti.

Appartenevano a un uomo non troppo anziano, all'incirca avrà avuto una cinquantina d'anni.
La testa era avvolta da una folta capigliatura bianca.
A occhio e croce avrei detto che fosse un imprenditore.

Mi si accapponò la pelle quando lo vidi alzare il bicchiere nella mia direzione, con un sorriso amabile sul viso.
In risposta alzai il bicchiere gentilmente offertomi, ma quel liquido rosastro non toccò mai le mie labbra, anzi, appena l'uomo si distrasse per parlare con quello che sembrava essere un suo collega, mi alzai dalla sedia per sfuggire al suo sguardo, lasciando sul bancone il bicchiere.

In quel momento mi sentii come se, al posto di andare avanti, stessi tornando indietro a quando...

Era disgustoso, la nausea invase il mio corpo, avevo bisogno di aria, un momento per respirare, per tornare nel presente abbandonando per pochi minuti il passato.

Li conoscevo abbastanza bene gli uomini come lui, offrivano cocktail a donne a caso in cerca di una puttana con cui passare la notte.

Non sei al Gavriil.

Mi diressi verso le scale in marmo bianco che portavano al piano di sopra, dove si trovava uno spiazzale esterno enorme dove avrei potuto finalmente fumare.

L'aria era fredda e pungente quel giorno di Novembre, riempiendomi il corpo di brividi.
Mi sedetti su una panchina in cemento bianca candida, appoggiando la borsa accanto a me.
Frugai alla ricerca di un pacchetto di sigarette, ne presi una e me la portai alla bocca, accendendola con un accendino che avevo trovato nel fondo della borsetta.

Non mi bastò un tiro per ottenere quella sensazione di leggerezza nella testa, neanche due.
Ero arrivata al limite, il punto in cui neanche le sigarette riuscivano più ad attutire i miei pensieri, troppo evasivi per poter essere considerati normali.

Portai la testa all'indietro, lasciando che i capelli sciolti svolazzassero al di fuori del vetro che mi impediva di cadere di sotto, e che il fumo invadesse i miei polmoni.
Chiusi gli occhi, beandomi della tranquillità di quella notte mentre buttavo fuori il fumo che avevo aspirato, lasciandomi illuminare dalla luce dorata dell'insegna, posta in grande sopra l'entrata in vetro dello spiazzale, così grande che l'avrebbero vista persino nel Missouri.

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