15. Colei che seminerà il caos

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Berlay, com'era prevedibile, quella notte non riuscì a prendere sonno.

La nave era placidamente ormeggiata al porto della nuova isola che avevano raggiunto solo poche ore prima. Non volava una mosca sull'imbarcazione. Il riposo era ciò che le serviva per poter scendere in mattinata ad esplorarla nelle migliori condizioni fisiche, questo la donna lo sapeva eccome dentro di sé, eppure la mente non aveva intenzione di collaborare.

Il suo cervello continuava a lanciarle a intermittenza vivide immagini di Marineford, come i corpi senza vita riversi al suolo degli uomini che vi avevano partecipato, incollate a spezzoni dell'ultimo scontro avvenuto contro Borsalino.

Sperò non la tormentassero fino alla fine dei suoi dannati giorni, quelle maledette immagini nitide. A questi violenti frammenti, si mischiavano le parole criptiche di Ajira, in merito all'essere diventata il simbolo di una nuova era.

Dubbi, troppi dubbi le affollavano le meningi e la inseguivano ogni istante che provava a serrare gli occhi: e se non fosse stato quello da lei intrapreso il vero modo di raggiungere il suo obiettivo personale? E se avesse sbagliato a mettersi eccessivamente in mostra sfidando tanto sfrontatamente la Marina? Ne avrebbe pagato le conseguenze a caro prezzo, poco ma sicuro.

Berlay non voleva essere il simbolo proprio di nessuno. Lei agognava solo la liberta più estrema, quella ineffabile e irraggiungibile.

Amava gli abissi e le mostruose creature che popolavano i fondali del mare, desiderava vivere costantemente all'avventura, con l'adrenalina che le pompava frenetica nelle vene quando incontrava e scambiava racconti con nuovi popoli.

Bramava visitare isole sconosciute persino ai migliori cartografi del globo, quegli arcipelaghi isolati che vantavano condizioni metereologiche e vegetazioni così bizzarre quanto incantevoli. Questo desiderava, e non essere accostata a una cazzo di guerra tra stupide fazioni.

Mannaggia a me e al mio voler sfidare costantemente la sorte.

Un giorno creperò se continuo di questo passo.

La fortuna, prima o poi, abbandona anche gli audaci.

Sbuffò contrariata, sollevando il volto verso il cielo. Il manto stellato sopra di lei assomigliava a un tappeto abbellito da preziosi diamanti grezzi. Si appoggiò con le mani al parapetto, artigliandolo con disperazione fino a rendere le mani bianche e sospirò ancora una volta con rinnovata stanchezza.

Il suo orecchio allenato udì un improvviso fruscio, leggerissimo e solo appena percepibile. Non fece in tempo a voltarsi che si ritrovò imprigionata da due possenti braccia.

Una fragranza muschiata che ben conosceva le raggiunse le narici, tranquillizzandola all'istante e portandola a rilassare i muscoli tesi. Gettò il capo all'indietro lasciando che si appoggiasse al petto allenato della figura dietro di lei, tra una distesa di carezzevoli piume rosa.

Una risata vibrò contro il suo collo delicato. "Ti lasci salutare in questo modo da tutti gli avventori? Potrei quasi essere geloso" suonò suadente la voce profonda, le labbra accostate al suo lobo che andarono a provocarle brividi di eccitazione lungo tutta la spina dorsale.

Berlay si girò incrociando, oltre le lenti rossastre degli occhiali, l'espressione canzonatoria di Donquijote Doflamingo.

Il pirata svettava come al solito di un metro abbondante su di lei, con la giacca piumata appoggiata sulle spalle definite e una camicia dalle tonalità chiare lasciata volutamente spalancata sul torace allenato.

Sì ok, una piccola parte di lei non avrebbe mai capito perché lo Shichibukai andava in giro costantemente mezzo nudo –manie di egocentrismo, forse?- però al di là degli evidenti problemi psichici che vessavano il pirata, i suoi occhi di donna ringraziavano lo spettacolo costante.

Il Trono di Cuori | Doflamingo x OCDove le storie prendono vita. Scoprilo ora