20 Felicity

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Ero appena arrivata a Princeton. Non erano neanche le undici quindi optammo per andare in un bar a mangiare qualcosa. Dopo aver preso un sandwich con prosciutto scamorza e pomodoro, ci dirigemmo in chiesa. La Trinity Church è una storica congregazione episcopale situata in 33 Mercer Street. È la più grande chiesa episcopale del New Jersey. Ha un architettura gotica e neo-greca. Adoro quella chiesa perché sembrava un castello. È alta, piena di piccole torri a punta e vetrate abbastanza grandi da fare filtrare la luce all' interno.
Guardai la chiesa. Era incapace di muovere un passo. Ma poi pensai che Ellen non voleva che stessi così. Così mi feci forza come mi disse Alex ed entrai insieme ai miei genitori.
I due figli di Ellen insieme alle loro famiglie  stavano salutando alcune persone. Li raggiungemmo. Rose la maggiore indossava un abito nero, simile al mio e delle scarpe con il tacco non molto alto del codesto colore. La sua pelle olivastra risaltava con le sue iridi nocciola. I suoi capelli ramati e un taglio a caschetto. Aveva super giù cinquanta anni ma li portava piuttosto bene. Il figlio minore Marcus indossava un completo blu scuro e una camicia bianca e dei mocassini nere eleganti.
<< Ciao Giselle, Jasper, Felicity. Siamo felici che voi siate qui>> era stata Rose a parlare. Ha una voce calma e pacata con un velo di tristezza. Mi sembrava normale, Ellen anche se non fosse stata sua madre le avrebbe voluto comunque un bene dell' anima. Per me era come una nonna. Viveva accanto a casa mia e c'era sempre stata per me e i miei genitori. Mi mancava tantissimo. Anche se la notte prima l'avevo sognata. Ci trovavamo a Cape May. Lei era seduta su una sedia nella mia veranda e io le andavo incontro dicendole che avrei lanciato in aria una lanterna per lei. Lei mi guardò e mi disse che non ce n'era bisogno e che non dovevo preoccuparmi per lei perché adesso stava bene. Quella notte mi svegliai di scatto e poi mi alzai e guardai le stelle. Capii che mi aveva chiesto di lasciarla andare, che sì sarebbe stato doloroso anche per lei ma che era giusto così. Dovevo andare avanti tenendola sempre nel cuore sapendo che adesso era felice. Quel sogno mi diede un po' di conforto e decisi che era la cosa giusta da fare.
<< Grazie Rose. Condoglianze ancora>> disse mia madre.
<< Condoglianze>> dissi a mia volta.
Salutammo i restanti membri della famiglia e poi ci sedemmo nel nostro banchetto.
La commemorazione iniziò. Nipoti, cugini e altri parenti parlarono della buona e cara Ellen. Era come se lei fosse lì con noi.
Adesso toccava a me parlare. Glielo dovevo.
Attraversai la lunga navata e salii sull'altare. Avevo un foglio di carta con me ma quasi non lessi ciò che avevo scritto perché tutto venne di getto.
<< Ellen...>> Mi schiarii la voce. << Ellen era una signora meravigliosa. Accolse i miei genitori quando si trasferirono nella casa accanto alla sua e poi accolse me dopo la mia nascita. Mi ha vista piangere, ridere, fare i primi passi, era lì quando dissi la mia prima parola. Mi ha preparato merende che sembravano pranzi o cene. Stava con me quando avevo la febbre alta e i miei genitori dovevano uscire per andare a lavoro o a prendere le mie medicine. Era lì quando ho iniziato ad avere problemi con i miei compagni di scuola>> dissi quasi a fatica. Mi mancava il respiro. Quella era una ferita che ancora non si era rimarginata del tutto perché è rimasta negli anni. Stavo sudando freddo e mi tremavano le mani. Ma chiusi gli occhi, feci un respiro e continuai. << Lei era fondamentale per me. Le volevo molto bene. Le voglio molto bene e so anche che adesso lei è felice insieme a suo marito. Che adesso non deve combattere più contro una malattia. Che non deve stare in un letto ferma, perché ammettiamolo lei odiava stare senza far niente.- qui la gente un po' rise e lo feci anch'io. Poi continuai - Quindi pensiamo a questo giorno non soltanto perché abbiamo perso una vita, a un parente o un' amica ma pensiamo che adesso lei non soffre più,  è libera, è felice e soprattutto sta bene. Grazie a tutti.>> La chiesa si riempí di applausi e di lacrime commosse tra cui le mie. Tornai a sedermi accanto ai miei genitori<< sei sta grande principessa>> mi dissero, << grazie>> gli sorrisi e aspettammo la fine della messa.
Una volta finita, salutammo i parenti e ce ne tornammo verso la macchina. Erano le tredici. Quindi prendemmo un panino da Tommy's un camioncino che vendeva panini che si trovava lì vicino. Finito anche il panino finalmente era il momento di tornare a casa. Di tornare a Cape May.
Durante il viaggio di ritorno chiamai Mary per dirle che la commemorazione era finita e che eravamo per strada. In quelle tre ore continuai a scrivere il mio romanzo. Guardai la foto con Alex che mi avevano scattato le ragazze la sera della cena a casa mia. Essa mi diede l'ispirazione. Avevo un fiume in pieno. Continuai a scrivere fino a che non sentii più le dita ma almeno avevo finito il capitolo. Adesso volevo fare solo una cosa. Tornare a casa, mandarlo alle mie amiche per vedere se gli piaceva e poi con Mary leggere il diario di Victoria. Ultimamente lo avevo messo da parte dopo tutto quello che era successo e io volevo sapere di più. Dovevo sapere di più. Non poteva essere una semplice coincidenza. Io avevo scoperto della leggenda soltanto perché quando quella farfalla si posò su di me e poi su Alex, mi era sembrato strano e quindi l'avevo cercata su internet, ma sapere che una mia antenata del 1816 aveva avuto lo stesso collegamento mi sembrava soprannaturale.
Finalmente arrivai a casa. Mary era già dentro casa. Camminava molto meglio grazie ai piccoli esercizi che le aveva insegnato il medico. I miei genitori la salutarono e andarono in camera a riposare.
<< Ciao Mary>> e andai ad abbracciarla.
<< Come stai?>> Si distaccò un po' per riuscire a guardarmi negli occhi.
<< Sono riuscita a lasciarla andare>> dissi quasi con un filo di voce. Ma ero comunque fiera di me perché sapevo che lei era felice così. Ma adesso dovevamo essere felici<< ho scritto il capitolo>>
<< Oddio, voglio leggerlo>> disse facendo un piccolo saltino senza farsi male.
<< Ok ora lo mando a tutte e mi dite cose ne pensate>> lo mandai e poi andammo in camera mia. Avevo bisogno di cambiarmi. Mary si sedette sul letto mentre leggeva il capitolo e io aprii l'armadio per vedere cosa mettere. Optai per dei pantaloncini di jeans e una canottiera a strisce rosse e arancione. Poi mi sedetti sul letto accanto a lei e presi nel frattempo il diario di Victoria. Mentre lo sfogliavo, Mary finì il capitolo.
<< Senti è bellissimo. Devi pubblicarlo questo libro appena lo finisci prima o poi>>
<< Si, se trovo qualche casa editrice interessata. E poi pensa anche al tuo di libro che è una bomba. Anzi devi continuarlo perché se no impazzisco>> risi.
<< Lo farò>>
Sfogliando ancora il diario notai una cosa che prima non c'era.
<< Mary, guarda>> misi al centro il diario e indicai la data ma c'era qualcos'altro.
C'era scritto 1816 Mayfair, Londra...
<< Mayfair>> sussurrò Mary.
<< Mi sembra di averla già sentita da qualche parte>> dissi.
<< Ah, sì >> Mary prese il telefono e lo cercò, << si è una città di Londra dove anche in quel periodo regnava la regina Carlotta>>
<< Sai, mi sa molto di Bridgerton questo>> non potei fare a meno di ridere. Poi continuai a parlare << Penso che nelle altre pagine se lo sia dimenticata di scriverlo. Ma adesso sappiamo dove viveva la mia antenata. E poi da quanto ho capito Victoria andò ad un altro ballo visto che era il periodo della stagione mondana dove le fanciulle entrate in società trovavano marito.>>
<< Si lo penso anch'io, ma poi che successe>> chiese lei curiosa come se quel diario fosse pieno di misteri da scoprire e noi due eravamo Sherlock e Watson.
<< Praticamente lei andò a casa Tobrige e incontrò Simon. Lei non riusciva a resistergli e ballarono un valzer insieme. C'erano sguardi fugaci tra i due anche mentre suo padre le presentava Lord Andersen il suo nuovo pretendente>>
<< Andersen?>>
<< Si>>
<< Somiglia al tuo di cognome un po' sdoppiato>> rise.
<< Si è vero, ma a lei non gliene importava nulla di lui anche se era un bel ragazzo. Alto, con i capelli biondi e gli occhi azzurri. Diciamo che ormai era perdutamente innamorata di Simon con solo tre balli e delle discussioni. Ma suo padre l'aveva già promessa in sposa a Lord Andersen perché era il figlio di un vecchio amico e lei si arrabbiò molto con suo padre per non aver chiesto la sua opinione>>
<< E cos'altro dice?>>
<< È questo il problema non dice altro. Ci sono delle pagine strappate>> dissi con un filo di tristezza.
<< E adesso che si fa?>>
<< Non ho la più pallida idea>>
Mentre io e Mary cercavamo un po' in giro per vedere se trovavamo le pagine strappate ma all' improvviso venne a chiamarmi mia madre.
<< Felicity, tesoro. C'è un ragazzo che ti cerca>> rimasi un po' scombussolata. Un ragazzo che cercava me? Gli unici ragazzi che potevano cercarmi erano Daniel, Ben o Alex... Ma in questo caso mia madre me lo avrebbe detto. Guardai Mary e poi uscii dalla stanza. Andai in veranda e mi trovai un ragazzo di spalle. Aveva i capelli mossi e castani. Poi si girò. << Ciao Felicity>> era Noah.  Si grattò la nuca e abbassò lo sguardo per l'imbarazzo. Io mi chiesi perché lui fosse di nuovo qui e se avesse cercato di mettere sù un altra recita gli avrei sbattuto la porta in faccia. Ma vedevo qualcosa in lui di diverso. Aveva paura. Non sapeva da dove iniziare. E soprattutto aveva uno sguardo sincero.
<< Ciao>> dissi piano scendendo gli scalini della veranda. Ero davanti a lui e finalmente mi guardò negli occhi.
<< Dobbiamo parlare>> fu solo queste due parole a darmi capire che era importante ma nel frattempo arrivò Ben.
<< Ciao ragazzi>> ci guardò un po' spaesato ma non fece domande, << vado da Mary>> disse semplicemente.
<< Ok>> mi girai a guardarlo e poi la mia attenzione tornò su  Noah. << Dimmi tutto però sediamoci>> e gli indicai gli scalini. Lui mi guardò un po' incerto però alla fine si sedette accanto a me. Ci fu un po' di silenzio tra noi ma finalmente iniziò a parlare.
<< Devi sapere tutto perché non voglio che mi trovi un idiota imbecille e bullo come pensano tutti, anche Alex...>>
<< O-ok>> stavolta rimasi un po' sbalordita. Stava per parlarmi di sé perché io non lo credessi una brutta persona. Decisi di ascoltarlo e di fare domande solo nei momenti opportuni.
<< Io soffro della sindrome della personalità multipla. Visto che tu studi psicologia penso che  tu sappia cosa sia>>
Si che lo sapevo. Nel disturbo dissociativo dell’identità, in passato definito disturbo della personalità multipla, due o più identità si alternano nel controllo della persona. Può essere causato da uno stress estremo nel corso dell’infanzia può impedire ad alcuni bambini di integrare le esperienze vissute per formare un’unica identità coerente. Il soggetto presenta due o più identità e vuoti di memoria rispetto a eventi quotidiani, importanti informazioni personali ed eventi traumatici o stressanti, così come numerosi altri sintomi, tra cui depressione e ansia. Un colloquio psichiatrico approfondito e questionari speciali, talvolta facilitati dall’ipnosi o da sedativi, possono aiutare il medico nella diagnosi del disturbo. La psicoterapia estensiva può aiutare il soggetto a integrare le diverse identità o per lo meno favorire la loro cooperazione e quindi controllate.
<< Si, so cos'è>> lo guardai. Mi sentivo un peso sul cuore.
<< Ecco lo soffro da quando era piccolo. Il mio psichiatra pensa sia stato per colpa di mio padre. Lui picchiava mia madre e avvolte anche me. E ogni volta io vedevo e sentivo tutto. Mi arrabbiavo e diventavo aggressivo quando qualcuno cercava di dirmi qualcosa oppure faceva una stupida battutina.Adesso per fortuna mio padre è in carcere e mia madre sta meglio ma io non sono mai riuscito a riprendermi... Sento che qualcosa non va in me. Come se il lato cattivo che vive nella mia testa prendesse il sopravvento. Mi succede soprattutto quando perdo il controllo o succede qualcosa che mi fa arrabbiare tanto.>>
Un pezzo della storia coincide perfettamente con quello che mi aveva detto Ben.
Non sapevo che dire quindi lo lasciai parlare.
<< La rosa bianca te l'ho lasciata io>> sputò così tutto d'un fiato.
<< Oh>> adesso non avevo parole.
<< L' ho fatto perché credevo di provare qualcosa per te ma tranquilla non provo niente>> sorrise. Tornai un po' ad essere a mio agio.
<< Vedi il giorno in cui eravamo in acqua e io e Alex stavamo per... Beh hai capito. Mi ero arrabbiato solo perché vi ho visti mano nella mano e quella mia parte è uscita fuori. Lo stesso quando ci siamo incontrati da Johnny. Era successa una cosa a casa e non ero lucido. Tutto questo è successo perché non vado più agli incontri con lo psichiatra e non prendo le medicine>>
<< Ma perché? Perché hai smesso? Perché non hai lasciato che i tuoi amici ti dessero una mano?>>avevo mille domande per la testa.
<< Perché avevo paura di fargli del male>> quella risposta mi trafisse il petto. Lui non era cattivo. Lui non era il mostro che voleva fare credere a tutti. Lui era un bambino ferito. Un bambino che si sentiva rinchiuso in una gabbia senza che nessuno gli desse le chiavi per riuscire ad uscire. Lui era quel bambino che non avuto quella felicità e quell' amore che si doveva meritare.
<< Ho smesso di andare agli incontri perché alcuni mi insultavano perché avevo lo psichiatra, poi perché anche se ci andavo sentivo che non ero capito, mi facevano mille domande ed io mi arrabbiavo quando facevano quelle più dolenti e poi ho iniziato a frequentare brutte persone e ad allontanare le uniche persone che volevano aiutarmi veramente. Ma ero un ragazzino... Vorrei tornare indietro per sistemare tutto>> non potei fare a meno di appoggiargli la mano sul suo braccio. Lui mi guardò e vidi un ragazzo che voleva essere come gli altri. Voleva ricevere amore.
<< Io voglio ricominciare con le sedute ma ho paura di rovinare tutto>> lui si alzò di scatto in preda al panico e si mise mani nei capelli . Mi alzai anch'io.
<< C'è un motivo per cui me lo hai detto vero?  Oltre al fatto di spiegarmi gli ultimi avvenimenti tra noi>>lui mi guardò e iniziò a respirare più lentamente.
<< Io...- e inghiottì a vuoto -io credo che ho bisogno di aiuto. Ho bisogno di te. Per riprendere i miei amici, per spiegargli tutto, per ricominciare a vivere. Perché non so come ma hai un effetto tranquillante su di me. Adesso so a cosa si riferiva Alex. È fortunato ad averti.>>
Abbassai gli occhi per l'imbarazzo e sorrisi, << ne sono felice. Sarò disposta ad aiutarti ma devi promettermi che ti impegnerai per farlo. >>
<<D'accordo. Amici?>> E mi allungò la mano come segno di alleanza.
<< Amici>> e la strinsi a mia volta e poi ci abbracciammo. Diciamo che sembravo una nanetta rispetto a lui che era un metro e novanta. Almeno Alex è un metro e settantacinque.
<< Beh adesso devo andare ma ci vediamo. Anzi questo è il mio numero>> mi allungò il bigliettino quasi con mani tremanti.
<< Grazie>> gli sorrisi e poi lui se ne andò. Mi girai a guardare nell' altra direzione e vidi Alex. Che ci faceva lì? Forse mi aveva visto con Noah? Gli avevo promesso di stargli lontana, ma questo era prima di sapere tutto e lui neanche lo sa. Devo andargli a parlare. Lo seguii ma poi vidi una ragazza con i capelli neri raccolti in uno chignon scombinato che andava verso di lui. Mi misi in un angolo nascosta dietro una casa e guardai la scena. Lei che gli diceva qualcosa e lui che ascoltava fino a quando lei lo baciò. Rimasi paralizzata.
Allora lui era fidanzato? Stava giocando con me? No, no non ci credo.... Non riuscivo a credere ai miei occhi mi misi con le spalle contro il muro non riuscivo a guardare e non riuscivo a trattenere le lacrime. Sapevo che amare il mio migliore amico mi avrebbe fatto male perché per lui ero solo un amica nonostante mi avesse fatto credere il contrario. Il ballo, la sorpresa, l'appuntamento, era tutto finto. Quando tornai a guardare la ragazza non c'era più e io non riuscivo a stare più lì, così mi misi a correre verso casa. Adesso l'unica cosa da fare era dimenticare Alex Miller. Era l'unico modo per non soffrire.

La leggenda della farfalla biancaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora