15.

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E Irina, balzata giù dal letto al suono del campanello, si ritrovò davanti alla faccia proprio il volto teso in bianco e nero di Markus.

Credette di avere un'allucinazione, tanto che aprì con il pulsante digitale il portone senza rispondere nemmeno, convinta che non poteva essere ciò che vedeva.

L'unico suono che Markus sentì fu lo scattare metallico della porta d'ingresso. Un assenso debole, nemmeno un ciao ad accoglierlo... ma sempre un assenso dopotutto.

Spinse il portone e si precipitò in ascensore, con il cuore in gola e le mani sudate a stringere quei fiori che avevano avuto giorni migliori, come il suo umore.

Quaranta, calcolati, secondi dopo era davanti alla porta d'ingresso della casa.

Chiusa.

Bussò leggermente con le nocche.

Irina era rimasta davanti allo schermo del citofono, avvolta nel suo pigiamino caldo verde menta.

No, si diceva, non era possibile che fosse lui a suonare alla sua porta alle nove di sera, ormai, con un mazzo di rose rosse.

No, assolutamente, non poteva essere.

Era un sogno a occhi aperti, per forza.

Eppure appena sentì il leggero bussare sul legno del suo portone di casa si riscosse.

Oh cavolo, era proprio vero.

E lei aveva un fottuto pigiama verde menta con una tazza di te e un biscotto stampato sul davanti.

Maledetta lei e la sua mania di comprare pigiami confortevoli e simpatici.

Non poteva dormire con un dannato babydoll o un completino di seta?

Nonostante ciò si affrettò ad aprire la porta, con le guance in fiamme e i piedi scalzi che le ricordavano quanto fosse freddo il clima fuori.

"Markus, sei veramente tu" disse.

"Certo che sono veramente io, pensavi fosse uno scherzo?" sorrise lui, ritrovando un po' della sua ironia.

"No, cioè... non ti aspettavo a quest'ora" si giustificò lei, arrossendo ancora di più per le frasi imbarazzanti che le stavano uscendo.

"O forse non mi aspettavi in generale, angioletto, non mi stai facendo nemmeno entrare" decise di provocarla lui appoggiandosi allo stipite della porta con la spalla sinistra e i fiori sulla mano destra.

Poi fece scorrere lo sguardo su tutto il corpo, squadrando quel pigiama decisamente poco femminile ma attraente in qualche modo.

"Non ti sto facendo entrare perché sono in pigiama, è decisamente un orario improbabile per una visita" gli rispose lei, piccata, ma scostandosi per farlo entrare del tutto e richiudere la porta d'ingresso.

"Lo vedo che sei in pigiama, e lo so che è un orario assurdo... ma in realtà dovevo arrivare tre ore fa, appena uscito dall'ufficio" ammise lui, giustificando così anche il completo ancora addosso.

"E poi cos'è successo?" chiese lei, consolandosi pensando che anche lui aveva i capelli talmente scompigliati che sembrava ci avesse passato la mano un milione di volte e la camicia sgualcita.

"E poi è successo che ho avuto paura" sospirò lui.

"Paura?" disse Irina, aggrottando le sopracciglia.

"Paura... paura di sentire il tuo rifiuto e quindi ho rimandato" confessò lui.

"Un mio rifiuto?" gli fece eco Irina, non capendo il suo discorso.

Condanna D'AmoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora