~4~

119 6 17
                                    

«Tu chi sei, Dazai Osamu?»

La sua domanda mi sconvolge, e ci vuole un bel po' prima che io riesca a trovare una risposta, oltre che al coraggio per dirla ad alta voce.

«Sono un pezzo di merda, lo ammetto. Sono un debole, come tutti gli altri bulli. Sono il classico bullo che si ritrova ad essere la vittima dei suoi precedenti compagni. Sono uno che non trova più il senso della vita se non nell'arte, di qualunque forma essa sia. Sono un essere inutile, che a volte desidera di morire, o più semplicemente, di non essere mai nato. Questo è Dazai Osamu, uno schifo fatto sotto forma di mummia vivente.»

Lui sta in silenzio per un po', poi però si presenta anche lui.

«Sono uno che non si è mai fatto degli amici perché sempre chiuso in sé stesso. Sono il classico sfigato però bravo a scuola. Sono la vittima che sparisce per un periodo e poi si finge diversa. Sono il figlio non voluto che deve vivere a spese della sorella maggiorenne. Sono quello che nonostante tutto, non riesce ad odiare il suo bullo. Questo è Nakahara Chuuya, uno che non si sente umano.»

Sento che si è voltato a guardarmi, e finalmente trovo il coraggio di alzare gli occhi sui suoi.

«Come fai a non odiarmi?» gli chiedo.

«Perché da piccolissimi eri mio amico. E anche dopo, se qualche bambino mi diceva qualcosa senza che tu gli avessi detto di farlo, il giorno seguente era messo male, come se fosse stato picchiato. Non ero così stupido da non notarlo.» risponde, e lo vedo abbozzare un sorriso. Io invece, poso nuovamente il mento sulle braccia, e torno a guardare nel vuoto.

«Mi dispiace per l'incidente.» dico solamente.

«Perché di dispiaci solo per cose che non sono colpa tua?»

«Perché non riesco a trovare il diritto che avrei di scusarmi per ciò che ti ho fatto. In fondo, me l'hai detto anche tu.»

Lui sospira.

«Ora voglio sentire le tue scuse.»

In silenzio, e con movimenti lenti, mi volto verso di lui, chinandomi completamente a terra con il naso ad un centimetro dal pavimento, nel tradizionale gesto di scuse giapponese, che significa il pentimento più totale e sincero.

«Non merito il tuo perdono per averti reso la vita un inferno, ma voglio solo che tu sappia che mi dispiace...Nakahara-san. Ciò che ti ho fatto è troppo brutto per meritare il perdono, ma nel mio cuore io sono estremamente pentito.» alzo la testa, e noto la sua espressione sorpresa per il mio gesto, ma continuo «La mia coscienza non fa altro che ricordarmi quanto io sia marcio dentro, proprio come i miei genitori, ma non posso dare la colpa a loro per qualcosa che ho fatto io, quindi ogni notte sopporto il peso che porto sulle spalle, tutto sotto forma di incubi, e sono disposto a rivedere quelle scene tutto il tempo necessario a imprimerle nella mia mente a sangue, fino anche alla morte se necessario, pur di provare anch'io la tua sofferenza.»

Le sue iridi azzurre si riempiono di lacrime, che però asciuga in fretta, prima di tirarmi un poderoso schiaffo sulla guancia sinistra. Non dico niente, perché so di meritarne più di uno, ma quello che parla poi è lui.

«Io non ti perdono ancora, ma se ciò che dici degli incubi è vero, allora questo schiaffo basta a regolare i conti. In fondo, non sei mai stato tu a farmi niente, bensì Fyodor, Nikolai e Ivan. Sigma non ha alcuna colpa, è solo un povero burattino nelle mani di quel demonio.»

In quel momento, il piccolo Coco entra di corsa nel bagno, scodinzolando e saltellando, balzando in braccio al padrone e leccando via le lacrime sfuggite al passaggio del polso, per poi correre da me a fare la stessa cosa. Mentre Lui ride, io mi siedo di nuovo con la schiena contro il muro, con Coco che mi si accuccia in braccio, e si addormenta con le mie lievi carezze.

Se il mio cuore batte ~Soukoku~Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora