𝑪𝙖𝒑𝙞𝒕𝙤𝒍𝙤 3 𝑮𝙊𝑪𝘾𝑬 𝑴𝙐𝑳𝙏𝑰𝙁𝑶𝙍𝑴𝙄

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Mariella non abitava lontano dalla scuola superiore che frequentava, solo a qualche isolato di distanza, all' incirca venti minuti a piedi. Quel centro urbano era caratterizzato dal principale Corso Caruso, quello che lei stava percorrendo proprio ora: ampio e trafficato.

Il viale tagliava la città in due ed era fiancheggiato da imponenti alberi dei rosari, eleganti edifici sede di uffici e studi professionali, svariate attività commerciali e conteneva Piazza Maggiore con il Duomo minimalista di recente costruzione dedicato a San Giovanni Battista.

I marciapiedi, adornati con piastrelle di calcestruzzo dal tono terroso che formavano un motivo regolare lungo tutto il percorso, erano spesso affollati da persone in passeggiata. La pista ciclabile, altrettanto frequentata, ospitava numerose biciclette che sfrecciavano per buona parte della giornata. Inoltre, un costante via vai di autovetture e mezzi pubblici stracarichi contribuiva ad aumentare il livello di smog nell'aria giá abbastanza elevato.

Per la ragazza, attraversarlo era un'impresa quotidiana, un viaggio tra il brulicare della folla e altri rumori che non riusciva a sopportare. Ogni sosta prima di superare un incrocio era per lei un'occasione per riprendere fiato e riflettere un momento sulla propria vita, sulla sua irrefrenabile voglia di evasione da un ambiente che sentiva totalmente estraneo.

Prediligeva la tranquillità e il silenzio dei luoghi meno frequentati, distanti dal caos e dalla vivacità. Indossava le ingombranti cuffie nere over ear proprio per isolarsi dal trambusto circostante e mettere a tacere quel senso di disagio provocato dalla troppa vita intorno. Cercava rifugio nelle ombre, desiderando ardentemente di essere altrove, magari in un'antica brughiera dello Yorkshire o in altri luoghi sperduti, dall'atmosfera misteriosa dove potesse sentirsi davvero a suo agio.

Le vie cittadine secondarie invece, erano strette e raccolte, prive di negozi e contornate da alti edifici residenziali, quelli coi balconi con le inferriate, adornati dagli stendini con i panni stesi, cactus e altre piccole piante fiorite, finestre con persiane verdi solitamente socchiuse e sui terrazzi, file di pannelli solari, grasse parabole e scheletriche antenne TV.

Mariella ha sempre vissuto al quinto piano di uno di quei condomini, in affitto con la sua famiglia. Ora, però, le rimane solo il padre.

Mentre aspettava l'ascensore nello spoglio androne, fradicia e gocciolante, pensava proprio a lui, l'unico pilastro rimasto in piedi dopo la perdita della cara madre, due anni fa a causa di una leucemia fulminante.

Diventò lei la donna di casa da allora e, sentendo quel dovere di figlia di ricambiare i tanti, forse troppi sacrifici del genitore, provava ad occuparsi delle faccende domestiche, inclusa la preparazione dei pasti che Franco, un omaccione quasi cinquantenne di grande spirito e volontà, trangugiava anche quando le pietanze risultavano immangiabili.

Non era una cuoca eccezionale ma meritava di essere premiata quantomeno per l' impegno.

Arrivata al piano, le porte del vano ascensore in acciaio opaco si aprirono con la consueta tardità, rivelando uno spazio limitato e claustrofobico. Al suo passo d'uscita, il pavimento rivestito di logora moquette marrone emise uno scricchiolio sotto i suoi piedi, mentre il neon intermittente sembrava insistere nel non volersi arrendere al proprio malfunzionamento. Una volta sul pianerottolo, le porte si richiusero alle sue spalle con un cigolio, e il trabiccolo riprese la sua discesa accompagnato da un graffiante rumorino metallico.

Estrasse dalla tasca del giubbino di pelle il mazzo di chiavi e infilò quella grossa di casa nella toppa della porta in legno chiaro laccato, con venature marcate. Su di essa, una targa ovale cromata recitava la scritta "Famiglia Dominici". Entrò finalmente nell'appartamento, dove il consueto odore di fumo di sigaretta permaneva, cangiato poiché mescolato con quello del caffè fatto con la moka quella mattina.

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