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Passano tredici giorni.

Tredici giorni in cui Archie non mi rivolge mai la parola.

Tredici giorni in cui Archie mi ignora completamente al lavoro e anche quando usciamo.

Tredici giorni in cui Archie non mi propone mai di andare in macchina con lui.

Tredici giorni che non mi tira neanche un'occhiata.

Tredici giorni e tutto quello che era successo quella sera è svanito.

Probabilmente neanche se lo ricorda cos'è successo, ma io il ricordo ce l'ho bello limpido nella mente.

Mi ricordo il fuoco che ho provato dentro quando lui si avvicinava al mio corpo.

Mi ricordo il modo in cui mi ha spinta contro la macchina per cercare di avere ragione.

Mi ricordo anche che aveva torto marcio.

Mi ricordo l'elettricità che univa i nostri corpi.

Mi ricordo tutto.

Completamente e irrimediabilmente tutto.

Vorrei risposte, ma non le voglio davvero. Sono scappata dalla California per non avere più problemi e con Archie andrà a finire male, me lo sento.

D'ora in avanti basta pensare ad Archie.

Archie è solo il mio superiore nel reparto.

Punto e fine.

Archie non mi hai mai osservato come se volesse divorarmi, come un felino.

Archie non mi ha mai accompagnata a casa sotto la pioggia.

Archie non ha mai continuato a darmi un passaggio.

Archie non mi ha mai detto che Kenton ci prova con me.

Archie non mi è mai stato così tanto vicino che i nostri respiri andavano all'unisono.

Archie non mi ha mai spinta contro la sua macchina.

Archie non è mai crollato sul mio divano ubriaco fradicio.

Archie non è mai stato a casa mia.

Archie, insomma, non è mai esistito al di fuori del lavoro.

Questa giornata infernale finisce e finalmente posso tornare a casa. Sono così stanca che sull'autobus devo lottare contro i miei stessi occhi per tenerli aperti. Scendo e faccio gli ultimi metri per arrivare a destinazione. Davanti al cancello trovo una BMW nera e tutti i miei buoni propositi vanno a farsi fottere all'istante. Cerco di ignorare il mio cuore che mi dice di chi è questa maledetta macchina, ci passo a fianco e la ignoro.

«Possiamo parlare?» Una voce roca e profonda appare all'improvviso. Archie apre la portiera e scende dalla macchina. Si avvicina con le lenti degli occhiali oscurate. Un suono lieve proviene dalla sua macchina, segno che l'ha appena chiusa.

Mi volto verso di lui dopo aver messo le chiavi nella serratura del cancello. Mi prendo un attimo per osservarlo. Si intravedono gli occhi rossi sotto gli occhiali, il suo corpo è a pezzi e sembra abbia anche bisogno di una doccia il prima possibile.

«Di cosa?»

«Di quello che è successo due settimane fa...» lascia la frase in sospeso. Si stringe nelle spalle e mette le mani nelle tasche anteriori dei jeans.

«Non è successo niente due settimane fa, Archie. Ora avrei delle cose da fare, scusami.» Faccio per entrare ma il suo braccio mi blocca completamente la strada. Sono in gabbia e non ho possibilità d'uscita.

Il suo respiro, caldo e regolare, si scontra con il mio, ansimante e agitato.

«Angel, ti prego, ho bisogno di parlarti... Lasciami entrare» mi prega ancora una volta.

Sotto l'oscurità delle sue lenti intravedo i suoi occhi marroni e... e il suo sguardo così seducente e le sue iridi perforanti. Mi toglie il respiro in un solo secondo e il mio cuore continua a battere forte in gola. «Archie...» bofonchio.

«Angel, ho quarantaquattro anni e tu nei hai...»

«Ventitre» rispondo.

«Ventitre, sei più matura di me. Lasciami entrare... Non farti implorare» sussurra.

«Ho bisogno di parlarti sul serio...» mormora ancora.

«D'accordo» acconsento alla fine.

Dopo essere entrati, faccio la brava padrona di casa e gli domando se vuole qualcosa da bere, ma rifiuta tutto ciò che gli offro. Rimetto al suo posto il bicchiere nel mobile sopra il livello della cucina e percepisco Archie avvicinarsi pericolosamente a me.

Il suo petto pian piano si scontra contro la mia schiena e avverto i nervi, le vene, tutto il corpo andare in fiamme.

Resto immobile, non oso nemmeno respirare.

Prende il bicchiere dalle mie mani e le sue dita mi sfiorano le mie. Lasciano una scia rovente, quasi lasciando delle cicatrici.

«Va qua?»

Quel timbro risuona così marcato e insinuante nelle mie orecchie, tanto da provocarmi un brivido bruciante. Delle emozioni che scottano come un ferro rovente si fanno strada nel mio stomaco fino al basso ventre.

Annuisco. Spalanco le labbra per liberare i polmoni e cerco di mantenere un contatto con la realtà.

Ma presto nel mio cervello compare solo nebbia.

Mi prende per i fianchi e mi fa voltare lentamente, sembra quasi una tortura eterna. Quando sono proprio di fronte alla sua figura, prendo coraggio e inchiodo il mio sguardo nel suo. L'energia che c'è tra di noi buca silenziosamente l'aria che ci gira attorno.

Il suo volto è sempre più vicino al mio. Sembra desiderarmi. Bramarmi con un solo sguardo.

«Scusami...» sussurra sulle mie labbra. Il suo fiato caldo mi fa venire la pelle d'oca e mi viene da mordermi il labbro. «Sono stato veramente un idiota quella sera.»

«Io direi che sei stato più un idiota dopo», sottolineo «quella sera. Non mi hai mai rivolto la parola» gli faccio notare.

«Avevo altro a cui pensare.»

«Ad esempio?» controbatto.

La sua mano si appoggia al muro dietro di noi e si avvicina ancora. Dalla sua mascella percepisco che si sta trattenendo ma non so per fare cosa, forse dalla rabbia.

«Vuoi sapere troppo, Angel...» sussurra nel mio orecchio.

Il suo fiato caldo mi entra in circolo fino a tremare. Un fremito si fa largo dalla testa ai piedi.

«Possiamo ricominciare?» conclude. «Dimentichiamo queste due settimane e partiamo da zero.»

Non so quanto ne valga la pena. Chi mi assicura che non si ubriacherà ancora e poi farà finta di non conoscermi? Però a quarantaquattro anni credo che sia abbastanza maturo da poterlo fare.

«Affare fatto.»

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