Capitolo 1

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Alex si sveglia con il profumo del legno che le invade violentemente le narici. Le palpebre sono così pesanti che deve lottare per tenerle aperte. Non sa dire se sia addormentata solo per un paio d'ore o per una nottata intera, ma solo che è indolenzita in più punti, specialmente alla base della schiena. Si alza in piedi, buttando da una parte del letto entrambe le gambe.

La stanza in cui si trova è talmente bianca da metterle tristezza. Le pareti, i pavimenti, il corridoio e le luci che vengono da quello che presume essere il resto della casa sembrano tutti emanare il colore freddo abbagliante che le aveva dato fastidio prima di svegliarsi. Solo i mobili si distinguono dal resto per essere di un color mogano che crea contrasto. Tira la maniglia di un cassetto.

Vuoto. Ovviamente.

Si alza in piedi per andare a fare un giro per la stanza. I capelli lunghi e neri sono sciolti e lasciati cadere intorno al viso in tante ciocche disordinate che iniziano a darle fastidio appena si muove, le braccia ancora intorpidite per il sonno. Sente una fitta lancinante al collo ma cerca di restare dritta nella stessa posizione. Le ci vuole ancora qualche minuto per riprendersi da quel dolore. E' istantaneo e ripetuto, è sicura di non aver mai provato niente del genere. Eppure non ricorda di essersi mai fatta male. 

Ovviamente è consapevole di come appaia un ginocchio sbucciato, una bruciatura o un'abrasione, ma non riesce a collegarlo a nulla che abbia già vissuto in prima persona. Il cuore prende a martellare nel petto a ritmo sostenuto, la parvenza di panico si fa strada dentro di lei tra un milione di nuovi pensieri che la sommergono. Si appoggia alla porta per mantenere l'equilibrio. 

Un'altra fitta. 

Questa volta si porta una mano dietro al collo nell'intento di massaggiarlo, ma non è un dolore muscolare. Si tratta di qualcosa di più profondo. Il battito continua ad accelerare, gli occhi iniziano a lacrimare. Con una mano stringe lo stipite della porta, anche quello in legno. Si morde il labbro per soffocare un gemito di dolore ma non c'è nessun altro che la possa sentire. Muove qualche altro passo verso il corridoio per addentrarsi in quella che doveva essere la cucina. Il bancone domina tutta la stanza. Un ampio piano cottura e una credenza sono stipati contro al muro. Al centro della sala regna un tavolo rotondo circondato da sedie trasparenti in quella che sembra essere comune plastica. Tutto è così moderno da indurla a controllare che gli oggetti non avessero ancora incollato dietro il cartoncino del prezzo. 

Prende in mano una lampada. Niente. 

Almeno avrebbe scoperto la provenienza di tutta quella roba. Adesso che ci pensa non sa nemmeno da dove viene lei stessa. Fa uno sforzo per frugare nei meandri della sua mente. Ricorda le capitali degli stati americani ed europei ma non sa dire quale sia il suo paese di origine. 

O quale sia il nome di sua madre. 

Oppure quello del suo compagno. Aveva un compagno? Oppure un fratello o una sorella? A stento una cosa la ricorda. 

Lei è Alex. 

Alexandra per l'esattezza, ma Alex suona meglio e più naturale. 

Passa una mano sul piano di lavoro della cucina. Non c'è un grammo di polvere o un minimo alone dovuto ad una macchia da sugo, da caffè o da qualsiasi altra cosa. Si domanda se il caffè abbia ancora lo stesso sapore che lei associa a quella parola. La macchinetta attaccata alla corrente sembra chiamarla da lontano. Apre lo scomparto dove va inserita la capsula e fa per infilarne una nuova che trova nella credenza sopra di lei. Si riavvia i capelli con una mano. Ha la fronte imperlata di sudore freddo, le gocce le stanno scendendo lentamente tra le scapole. Presto inizieranno a bagnare la camicia da notte che si è trovata addosso nel momento in cui si è svegliata. Inserisce la capsula nella macchinetta e inizia a premere i tasti con foga, cercando a caso quello giusto. Il polso le trema, il labbro tentenna mentre il cuore accelera i battiti. Li sente premere contro i timpani ad ogni respiro. 

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