Capitolo 2

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Capitolo 2



9 gennaio


Aziraphale con un sorriso forzato accompagnò i tre architetti alla porta, poi la chiuse dietro di loro e tornò a sedersi davanti al lungo tavolo di vetro.
Piegò i grafici ricevuti, riaccese il computer e si allentò il farfallino.
Alla fine quella mattina non aveva avuto nemmeno il tempo di prepararsi o preoccuparsi per l'incontro che lo innervosiva da settimane, trascinato da quel susseguirsi di impegni istituzionali.

Non erano ancora arrivati.
Invece di controllare l'ora sul pc o sullo smartphone come facevano gli uomini del suo secolo, tirò fuori l'antico e antiquato orologio da taschino, regalo di suo nonno. Più di un semplice orologio. Più di un portafortuna. Un talismano. Senza quell'orologio non si sarebbe laureato. Non avrebbe vinto il concorso. Non avrebbe mai pubblicato un libro tutto suo.

Le undici e trentacinque.
Gabriele Angeli non era mai in ritardo. Da quando si conoscevano, oltre quindici anni, non lo aveva mai visto tardare più di due minuti. Anzi, di solito anticipava.
Sicuramente era stata una cattiva idea spostare il loro appuntamento dalla sede dell'Alpha Centauri al suo ufficio al parco archeologico. Non era nemmeno corretto ricevere in quella sede i suoi editori o chiunque non riguardasse il suo lavoro lì, ma non aveva avuto scelta. Dopo le feste natalizie, le riunioni e i tavoli tecnici si accavallavano a ogni ora del mattino e del pomeriggio e per garantirsi quelle due ore prefissate settimane prima, senza possedere il dono dell'ubiquità, l'unica soluzione era stata spostare l'incontro con Antonio Crolli e gli editori lì. Nel cuore di Ostia Antica.

Un leggero bussare alla porta che riconobbe subito lo ridestò dai suoi pensieri.
"Entra pure, Muriel."
"Direttore, è arrivato uno dei suoi ospiti della..." e si portò un dito sulle labbra a mimare un cenno di silenzio.
"Tranquilla, puoi parlare, siamo soli."

Muriel, neoassunta, era l'unica segretaria che gli era rimasta, causa numerosi pensionamenti consecutivi. Si era ritrovata praticamente da sola, dalla notte al giorno, a svolgere per la prima volta un lavoro che in genere svolgevano tre persone. All'inizio Aziraphale aveva temuto che quell'onere fosse eccessivo per quella tenera ragazza, ma si era dovuto ricredere dopo poche settimane. Si era dimostrata una giovane donna sveglia, intraprendente, che apprendeva in fretta compiti e abitudini del suo superiore, dalle intuizioni formidabili. In più aveva un cuore d'oro. Un vero angelo.

"Lei però mi aveva parlato di tre ospiti. Per ora ce n'è uno solo. L'ho fatto accomodare nella sala d'attesa. Preferisce intanto riceverlo o aspettare che ci siano tutti?"
Aziraphale ricontrollò l'orologio.
Le 11 e 40. Doveva essere successo qualcosa.
Era forse il caso di telefonare a Gabriele? Ma lo immaginò nel traffico di inizio gennaio, con la moglie che premeva il clacson per lui e gli colpiva la coscia per fargli premere il piede sul pedale dell'acceleratore. Ebbe pietà di lui.
Dopotutto però a mezzogiorno e mezza aveva un'altra riunione programmata, sarebbero arrivati i progettisti del parco d'affaccio sul fiume, poi avrebbero proseguito con un pranzo di lavoro, dunque il direttore non poteva perdere neppure un minuto.
Nemmeno allora aveva il tempo per innervosirsi per quell'incontro o stare a pensarci su; rimandarlo di pochi minuti era inutile.
"Fallo entrare".
Era senza dubbio lo scrittore, visto che si trattava di un uomo solo. Gabriele e Isabella sarebbero arrivati sicuramente insieme.
Aziraphale prese un grosso respiro.

"È permesso?" chiese l'uomo dall'uscio.
"Prego, buongiorno, benvenuto." Pronunciò Aziraphale alzando lo sguardo dall'orologio.
Il nuovo arrivato era un individuo molto alto e molto esile. Così sottile, allungato e completamente vestito di nero sembrava quasi un'ombra al tramonto. Portava un basco nero, degli occhiali da sole neri, un cappotto nero. Anche il pantalone attillato e gli stivali erano neri. Aziraphale comprese in quell'istante una frase che Gabriele gli aveva detto qualche settimana prima a proposito di Crolli. "Lui e Bella si sono capiti al volo. Si sono come riconosciuti". Effettivamente tutto quel nero dalla testa ai piedi era proprio nello stile di Isabella.
Solo un elemento colorato caratterizzava quella figura. Una folta chioma rossa.
Aziraphale si alzò, si sfilò gli occhiali da presbite e si avvicinò all'uomo sorridendo forzatamente per dargli il benvenuto.
Non era così che pensava avrebbe conosciuto la Penna impazzita. Da solo, nel suo ufficio, senza gli editori...
Quando si avvicinò ancora per porgergli la mano, lo vide meglio.
Cappello e occhiali coprivano buona parte del volto, ma l'uomo aveva comunque un'aria familiare. Dove poteva averlo già visto? A qualche fiera sicuramente. Ma no, Crolli non era un autore da fiera. A qualche evento all'Alpha Centauri? Sicuramente.

"È già un bel fiasco quindi!" disse l'uomo con uno strano sorriso, togliendosi il cappello.
Quando ne udì meglio la voce Aziraphale comprese.
Non poté fare a meno di posare lo sguardo su quella prodigiosa capigliatura color sole al tramonto.
Il pugile. Quel pugile. Il pugile che il giorno prima era nudo nella sua doccia prediletta tra quelle dello spogliatoio della palestra Ostia Marziale era ora a due passi da lui. Completamente vestito. Di nero. Completamente imbacuccato. Mascherato quasi. Non era possibile.
"Cosa hai detto scusa?"
"È già un fiasco. Ci hanno dato buca." Disse il rosso ridacchiando. "Scherzo, ovviamente." Abbassò la testa come a guardare le sue scarpe. "È veramente un onore incontrarla, professor Fell. Sono un suo grande fan." Il nuovo arrivato sorrise mostrando una fila perfetta di denti bianchi e sottili.

Al divulgatore era stato già detto sia da Gabriele che da Bella che Crolli fosse suo grande fan.
Ma sentire pronunciare quella frase con quella voce calda da quelle labbra così ben disegnate era tutta un'altra storia. Fu musica per le orecchie di Aziraphale. Sentì come un usignolo cantare nella sua testa.

Antonio gli porse la mano. Aziraphale allungò un braccio, molle come ricotta. Cerco di tornare in sé e strinse fermamente la mano al collega. La mano di Anthony Crowley era rovente.
"La prego, professore no. Va benissimo Aziraphale" sorrise e in un sussurro, con tutto il coraggio di cui era capace, aggiunse "Poi ieri ci davamo del tu".

Il rosso aprì leggermente la bocca, sorpreso, mostrando nuovamente i denti bianchissimi e quasi aguzzi. Poi si abbassò leggermente gli occhiali sul naso.
Aziraphale sorrise spontaneo e sentì lo sguardo dell'altro correre dai suoi capelli agli occhi alla bocca.

"No! Il maestro dello shampoo! Ma quanto è piccolo il mond...Mi scuso, ero senza occhiali ieri, non ho visto ben... E anche qui con questa luminosità non... Per l'inferno, le ho dato del tu!"
"Non c'è alcun bisogno di chiedere scusa. È tutto ok. Il tu va benissimo." Fell non voleva che quel suo ospite si sentisse a disagio. Mostrò uno dei suoi sorrisi più gioviali e sentiti.

"Dunque anche maestro di arti marziali! Quanti talenti nasconde il professor Fell?"
"Aziraphale, per favore. Solo Aziraphale. Mentre..." Aziraphale socchiuse gli occhi come a concentrarsi. Conosceva entrambi i nomi dell'uomo che aveva di fronte. Ma quale era opportuno utilizzare? Lo pseudonimo, senza dubbio. Il vero nome non avrebbe dovuto nemmeno conoscerlo dopotutto. Ma l'altro continuò per lui.
"Antonio Crolli o, per gli amic.. di battesimo insomma, ma lo sanno in pochi, Anthony Crowley" sorrise annuendo il rosso.
"Anthony Crowley" ripeté Fell e si ristrinsero la mano.
"Oddio sì, ti prego, dillo di nuovo."
"Cosa?"
"Il mio cognome."
"Crowley?"
"Sì, non lo sentivo pronunciare così correttamente da, boh, decenni, credo."
Aziraphale rise.
"Di dove sei originario Anthony? Non mi pare un cognome diffuso tra gli italiani."
"Prego, chiamami solo Crowley, adoro come lo pronunci, non posso rinunciarci."
"Va bene, Crowley. Non c'è molto nella tua biografia."
"Già. Anthony può rivelarsi a pochi. Ma tra quei pochi tu ci sei senz'altro. Mio padre era scozzese, ma mia madre italianissima, di un paese vicino all'antica Cuma per intenderci. Anche io sono nato lì."
"Cuma! Ma dai, avevo provato a concorrere anche per il parco archeologico di Cuma qualche anno fa."
"Abbiamo qualcosa in comune, vero?"
"Immagino ti sia capitata sottomano una mia biografia."
"Conosco a memoria le tue terze di copertina."
Aziraphale arrossì.
"Allora sai già che anche io sono figlio di madre italiana, invece mio padre..."
"Gallese."
Si sorrisero. L'archeologo cercò di guardare il rosso negli occhi, ma le lenti scure coprivano totalmente quelle iridi ipnotizzanti che aveva notato il giorno prima.

Quell'incontro per cui era stato così teso, si stava rivelando più gradevole del previsto per Aziraphale. Quello che credeva uno strambo scrittore non solo lo osannava. Non solo era ben più che piacente (e ne aveva avuto il quadro completo meno di ventiquattro ore prima). Ma sembrava un tipo alla mano, piacevole. Sarebbe stato interessante collaborare con lui. Chissà, magari sarebbe riuscito davvero a fargli superare quel blocco.

Poi i telefoni di entrambi vibrarono all'unisono.
L' archeologo tornò al tavolo a controllare il suo. Gabriele, ovviamente.

"Che è successo? Sì, è qui. Tranquillo. Come sta adesso? Vi aspettiamo."
La telefonata di Crowley pareva simile alla sua. Fell udì in lontananza una voce femminile.
"Bez è stata poco bene. Tra poco saranno qui." Spiegò Crowley appena chiusa la chiamata.
"Sì, Gabriele mi ha appena detto lo stesso. Ma lei adesso che si è ripresa vuole assolutamente esserci. E non siamo autorizzati a parlare del progetto prima del loro arrivo."
"Capirai, è già nera che non l'abbiamo aspettata. Moriva dalla voglia di assistere al nostro primo incontro." Rise Crowley.
"È arrabbiata? Veramente? Allora è proprio il caso che prima del suo arrivo tiri fuori questi."

Il direttore trafficò in uno degli armadi della grande stanza. Poi posò sul tavolo una scatola viola.
"Biscotti allo zenzero. Ne va matta. E poi in gravidanza pare allevino la nausea e l'acidità."
"Nulla può alleviare l'acidità di Bez." Crowley rise nuovamente e trascinò con sé nella risata anche il collega.
"Sei tremendo."
"Tu invece sembri un esperto, gravidanze, zenzero. Quanti figli hai, Sensei?"
"Io? Zero figli. Non ho famiglia. È sicuramente qualcosa che ho letto. Leggo molto. E mi intendo di biscotti." Sorrise vivace il biondo, portandosene alla bocca uno.

Poi mentre stava per porgere la scatola al suo ospite si rese conto che il collega stazionava ancora in piedi nella stanza e portava un grosso zaino nero sulle spalle.
"Che maleducato, non ti ho nemmeno fatto sedere. Scusa, è un periodo allucinante qui. Accomodati, posa pure le tue cose. Fa come se fossi a casa tua, mentre li aspettiamo." E gli indicò la sedia di fronte alla sua.
"Ok, grazie." Crowley poggiò il basco e lo zaino del pc sulla sedia indicata e si sfilò il cappotto che sistemò sullo schienale. Rimase con una giacca nera decisamente troppo leggera per la stagione, un lupetto a mezzo collo dello stesso colore e una sorta di sottile cravattino argentato. I capelli ora liberi dall'ingombro del cappotto scendevano a onde raggiungendo il petto dello scrittore.
Aziraphale deglutì e si finse impegnato a leggere una mail al pc.
Si rimise gli occhiali da presbite. Avrebbero appannato almeno un po' il belvedere che gli sedeva davanti.




*******



Anthony Crowley non si era nemmeno reso conto di essere rimasto in piedi al centro della stanza per svariati minuti prima che Aziraphale Fell glielo facesse notare.
Era così emozionato di conoscere dal vivo quell'autore che a malapena si ricordava di respirare, figurarsi di cambiare posizione. Poi si tolse il cappotto, posò lo zaino sulla sedia che gli era stata indicata e si adagiò su quella accanto, cercando di rimanere seduto nella posizione più convenzionalmente accettabile possibile. Non amava stare seduto. Non seduto bene, come siede solitamente la gente. Aveva un concetto di comodità personale, fatto di gambe iperpiegate e glutei poggiati sui talloni, cosce stravaccate, schiena semistesa, piedi allungati e posti sempre più in alto rispetto al fondoschiena. Tutte cose bandite in ambienti così formali.

L' ufficio in cui si trovava era ben diverso dalla scacchiera esotica che era la sede dell' Alpha Centauri in cui si sarebbero dovuti incontrare, era molto più formale e soprattutto antiquato.
Era una strana accozzaglia di mobili probabilmente aggiunti in periodi diversi: armadi, armadietti e scrivanie di legno dai toni differenti, un grande tavolo di vetro e pietra, una mezza dozzina di sedie da ufficio datate ma perfettamente nere, un paio di tavolinetti più bassi ricoperti da faldoni e registri.
L'unico elemento che conferiva carattere a quell'ufficio e suscitò il suo interesse erano i quadri. Alle pareti non vi erano infatti affisse le solite stampe incorniciate di foto di monumenti o vecchie carte storiche. Erano veri e propri capolavori pittorici rappresentanti i protagonisti di quel parco archeologico: il Capitolium, il teatro, il basolato di una delle strade principali attorniato da colonne marmoree, quello che sembrava l'interno di un'antica taverna. Solo la parete alle spalle del direttore appariva completamente nuda, come se una carta, una stampa o un dipinto fossero stati rimossi di recente. In fondo alla stanza, tra due divanetti bordeaux stazionavano mollemente la bandiera italiana e quella europea, sotto alla foto incorniciata del presidente della repubblica. Una sorta di tempietto profano, tipico degli uffici di direzione statali. Non che il rosso ne avesse visitati poi molti in vita sua, ma li immaginava tutti così.

L'uomo che aveva di fronte sembrava ben inserito in quell'ambiente. Abito chiaro sui toni del sabbia, occhialetti tondi dalla montatura dorata, un insolito papillon giallognolo dalla fantasia tartan. Ma quello che spiccava di più in lui era luce. Le foto sulle copertine dei suoi libri non rendevano giustizia alla sua luminosità. Aveva qualcosa di angelico, etereo, quasi divino.
La capigliatura era un intreccio lucente e vaporoso di ciocche, alcune mosse e altre più ricce, di un colore intermedio tra il biondo e il bianco, quel colore che in effetti il giorno precedente aveva notato nel maestro in palestra, ma che, preso dall'emozione, non era stato in grado di riportare alla mente in un luogo così diverso. Non era la prima volta che non riconosceva una persona se non era nel luogo dell'incontro precedente, specialmente se i due luoghi erano concettualmente lontani anni luce come la sede di un direttore e una palestra di periferia; poi da quando la sua vista era peggiorata gli episodi erano aumentati.

Il sorriso che gli aveva rivolto Fell nello stringergli la mano era stato smagliante, quasi abbagliante, due arcate di denti bianchissimi e perfetti che si sposavano all'interno di due labbra chiare e apparentemente morbide.
Luce e morbidezza erano gli elementi che caratterizzavano quella figura. Morbidi parevano i capelli, le labbra, gli zigomi.

Chissà se al tatto lo erano davvero.
Crowley si chiese se lo avrebbe mai scoperto.

Ma non doveva fare quei pensieri. Non poteva. Anche se l'altro aveva appena dichiarato di non avere famiglia. Anche se quando gli aveva sentito pronunciare il suo cognome gli si erano contorte le viscere.
Anthony doveva pensare solo al vero scopo. Al grande piano, come scherzava la Zebu. Era un incontro professionale, una delle chance migliori che la vita a quel punto potesse offrirgli. E stavolta non poteva permettersi di mandare al diavolo un altro lavoro, un altro mestiere, la professione che si era creato in quegli anni e in cui sembrava brillare, per un altro stupido capriccio.
Non poteva commettere lo stesso errore due volte.

Però quello era davvero il naso più bello che avesse visto nella sua esistenza. Non che avesse avuto la fortuna di vedere numerosi bei nasi in vita sua. Il mondo del pugilato da cui provenivano la maggior parte delle sue amicizie e frequentazioni passate non era di certo noto per i nasi perfetti. E quello lo era. Non era un naso piccolo, ma aveva una forma così insolita, aggraziata ed equilibrata col resto del viso che non riusciva a smettere di guardarlo. Lo ipnotizzava. Fortuna che portava gli occhiali da sole.
Gli occhi del professore invece avrebbe davvero voluto vederli senza i suoi occhiali oscuranti. La forma era all'insù, sorridevano insieme alle labbra, leggermente contornati da linee di espressione non troppo marcate, ma il colore era un dilemma. Senza dubbio erano chiari, ma se fossero azzurri, grigi o verdi non poteva definirlo.

Anthony studiò la luminosità dell'ambiente. La giornata era abbastanza nuvolosa e la stanza sembrava orientata a nord ovest per cui forse poteva permettersi di togliere gli occhiali da sole. Uno degli effetti più invalidanti della chemio, che a distanza di anni dalla fine delle terapie ancora lo tormentava, era quella dannata fotofobia. Ma date le condizioni favorevoli, osò.
Poggiò gli occhiali da sole sul tavolo e guardò meglio il volto dell'uomo assorto al pc. Con suo rammarico notò che il colore degli occhi dell'altro non era comunque facile da definire per lui da quella distanza.

L'archeologo alzò la testa e si scambiarono uno sguardo. Per la prima volta in quella mattinata i loro occhi si incontravano davvero, senza ostacoli. Quelli del biondo, dal colore misterioso, sorrisero insieme alle labbra.
Senza lenti a separarli, era ancora più bello. Molto meglio di come appariva in foto o nelle interviste.
In quell'istante ad Anthony venne in mente. Poteva essere il momento buono per quello. Chiuso in un ufficio con il suo idolo senza poter parlare davvero di lavoro. Aprì il suo zaino e ne osservò a lungo il contenuto, poi estrasse un romanzo.
Alla fine scelse Caligola, con cui aveva conosciuto Fell, quasi dieci anni prima, tra una terapia e l'altra. Aveva i bordi usurati per quante volte lo aveva letto, sfogliato e tenuto in mano, ma lo custodiva come un tesoro.
Si schiarì la voce e porse il libro ad Aziraphale.
"Mi chiedevo se per favore, ngk, ti andasse, per caso, di..."
"Ma certamente, assolutamente sì." Sorrise Aziraphale prendendo il volume e cercando una penna sul tavolo.
Anthony non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle curate mani mentre abbellivano quel tomo dal già grande valore con un'elegante calligrafia obliqua.
In qualsiasi modo sarebbero andate le cose, quello sarebbe stato un tesoro, un souvenir del loro primo incontro.
"Anzi, la prossima volta che ci vedremo, magari non qui, magari con più calma, spero proprio che potrai ricambiare. Ho finito Isole un paio di mesi fa, ma oggi tra una cosa e l'altra l'ho dimenticato. È ancora sul mio comodino. Ma avremo sicuramente occasione."
"Sarebbe un grande onore per me."

Da quella posizione composta per lui insolita ad Anthony iniziarono a dolere le gambe già provate dall'allenamento del giorno prima, per cui preferì alzarsi. Si diresse verso uno dei quadri, e iniziò a osservarlo, come lo stesse studiando, anche se non aveva mai studiato nulla di simile in vita sua.
La taverna rappresentata era molto simile al vero e il gioco d'ombre dato dalle pennellate era sapiente.
"Che te ne pare?"
"Di cosa?"
"Del quadro. Non sono del tutto convinto del chiaroscuro. Mi ha fatto dannare."
"Lo hai dipinto tu? Veramente?"
"Sì. Perché?"
"Non sapevo che dipingessi. Come non sapevo che insegnassi e praticassi karate, giusto? Eppure credevo di sapere la tua biografia a memoria. C'è qualcosa che non sa fare il magnifico Mr Fell?"
"Ecco, trucchi di magia, quelli non mi vengono mai bene".
Esplosero in una bonaria risata.
"Non sono un esperto ma trovo che la tua tecnica sia magistrale. Dove trovi il tempo di dedicarti anche a un hobby così impegnativo con la vita che fai? Ti abbiamo dovuto prenotare con oltre un mese in anticipo."
"Beh, in questo periodo in cui la penna non mi sta chiamando mi sto lasciando tentare dal pennello. E l'insonnia aiuta." Rise timidamente il biondo.
"Beh sei risultati sono questi..."
"Tu non hai un hobby? A parte lo sport, intendo."
"Sì, in effetti. Scrivo."

Quando si ripresero dalla sonora risata, Crowley prese a osservare l'angolo in basso a destra del quadro.
"La tua firma qui è diversa però dall'autografo che mi hai appena fatto. Cosa c'è scritto? An.. Au..."
"Un vecchio pseudonimo."
"Ti prego non dirmi che è Antonio anche il tuo."
"Angelo."
"Angelo???" Crowley ebbe un senso di dejà-vu. Ripensò al suo primissimo pseudonimo.
"È così ridicolo come pseudonimo? Quell'espressione non me la conta giusta..."
"No, no assolutamente. Lo trovo perfetto. Ti si addice." Non aveva mai immaginato un angelo nella vita reale, ma in quel momento si concentrò sui boccoli platino dell'uomo. Sugli occhi dolci. Sul sorriso abbagliante che gli stava rivolgendo. Sul suono melodioso della voce. Sembrava davvero un angelo.
"Non prendermi in giro per favore, è il soprannome con cui mi chiamava mio nonno e alla fine l'ho sempre usato come pittore. Fin da ragazzo. Nei disegni che gli regalavo. Alcuni quadri hanno avuto un discreto successo nonostante lo pseudonimo infantile."
"Angelo non è infantile. Non lo è affatto. Poi sono l'ultimo al mondo che può giudicare uno pseudonimo. Ho a malapena italianizzato nome e cognome. E l'effetto è quasi imbarazzante. Avevo più fantasia da ragazzo."
"Non mi lascerai mica così. Adesso sono curiosissimo di sapere se hai avuto altri pseudonimi. Se magari ho letto altro di tuo in altre vesti."
"Impossibile. Scrivevo per me e basta. In versi principalmente. Per elaborare... cose..." a Crowley iniziarono a sudare le mani.
"La scrittura è un'ottima terapia. Insomma nessuno pseudonimo ridicolo per pareggiare i conti?" di nuovo quel sorriso luminosissimo. Quando gli si era avvicinato così, quell'Angelo?
"Era... diciamo, l'opposto del tuo."
"Diavolo??? Scelta coraggiosa!"
Crowley rise, mestamente.
"Daimon, in realtà. Avevo sedici anni e un debole per Platone. Era l'unico che riusciva a distrarmi dalla malattia di mia madre. Platone e scrivere poesie. Oddio poesie credo sia un parolone. Ma adesso non è il momento di parlarne, non voglio rattristarti a metà mattinata. Poi avremo sicuramente modo..."
"E tempo, senz'altro, Crowley. Angelo e Daimon. Angelo e Demone. Che bella coincidenza."
"Già."
"Teniamocela buona come coppia di pseudonimi in caso di apocalisse letteraria."

Rimasero in silenzio per un po'. A Fell suonò una notifica dalle casse del monitor e tornò al pc. Crowley sfogliò un altro dei romanzi dello scrittore che era con lui in quella stanza che aveva portato con sé. Eliogabalo, l'ultimo della serie. Nella terza di copertina troneggiava una foto a colori dell'autore con alle spalle un vistoso quadro, dallo stesso stile degli altri, ma pareva molto più grande. Raffigurava un castello. Presumibilmente il Castello di Giulio II di Ostia, viste le altre opere che li circondavano. A Crowley vennero in mente svariate interviste televisive oppure online a Fell con quello sfondo.
"Hai dipinto tu anche questo?" Crowley indicò il quadro nella foto.
"Sì, molti anni fa."
"Era lì, dietro di te? Dove adesso la parete è spoglia?"
"Ha a lungo decorato il mio studio, poi sì, per qualche mese è stato qui. Dove vuoi arrivare, Sherlock?" rise Aziraphale.
"Che fine ha fatto? È bellissimo. Mi piacerebbe vederlo. Non mi dire che..."
"Lo ho solo..."
"Venduto, vero?"
"Dato via. Regalato, a essere precisi."
"Tu, COSA?"
"Lo ho regalato. Prima di Natale è stata organizzata una raccolta di beneficenza qui nel quartiere, per una coppia di ragazzi in difficoltà. Avevano perso il lavoro e aspettavano un bambino ma non volevano accettare soldi direttamente, per cui tra le cose che ho donato loro c'è stato quello. Era il mio primo quadro a tema ostiense, e dato il mio ruolo qui ora, ero consapevole potesse avere un discreto valore. In effetti glielo hanno valutato molto bene e si sono garantiti la caparra e svariate mensilità anticipate per un appartamento. Ne sono molto orgoglioso."
Crowley fissava Aziraphale con ammirazione, stima, forse... Non aveva mai incontrato una persona simile.
"Un gesto molto nobile, davvero. Ti si addice davvero quel soprannome, Angelo."
"Non penso proprio. Solo un piccolo gesto, una gentilezza, prima o poi ne dipingerò uno simile."
"Dipingi solo monumenti e rovine o anche qualcosa di... beh...Vivo? Umano. Ritratti ad esempio?"
"Non di quelli che invecchiano al posto tuo, Dorian."
"Oh, è troppo tardi ormai per me, Basil. La caduta è iniziata anni fa, lenta ma inesorabile."
Ridacchiarono. Poi condivisero un lungo sguardo. Si conoscevano da venti minuti, ma si sentivano già a loro agio.



****





Era ormai passato mezzogiorno quando qualcuno bussò alla porta, ma non era la delicata bussata di Muriel.
"Siete vestiti? Possiamo entrare? Sono una donna incinta e, per quanto mi piacerebbe, oggi non sono ahimé in condizione di assistere a..."
"Shhh Bella! Siamo in un ufficio pubblico, mica a casa nostra. Scusatela ragazzi. E perdonate il ritardo. Come ve la passate? Vi siete presentati? Non avrete iniziato davvero senza di noi..."
I due editori si affacciarono sulla soglia cercando i due scrittori con lo sguardo.
"Ma no, ci stavamo solo scaldando." Crowley strizzò un occhio al collega e inforcò di nuovo gli occhiali da sole.
Poi una voce sottile provenne dalla sala limitrofa : "Direttore mi scuso, sono entrati di corsa, non sono riuscita ad annunciarli..." seguì un silenzio mortificato.
"Tutto bene Muriel, per favore avvisa i progettisti che ci vedremo direttamente a pranzo." Pronunciò a voce alta il direttore per farsi udire nell'altra stanza.
"Prenoto il solito ristorante? Per l'una?"
"L'una e trenta".

Penna d'angelo, penna di demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora