Capitolo 5

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Capitolo 5


Sabato 20 gennaio


Anthony Crowley provò ad aprire leggermente un occhio. Poi anche l'altro.
Si sforzò di mettere a fuoco l'ambiente intorno a lui tenendo gli occhi semichiusi come d' abitudine.
Non era decisamente nella sua camera da letto, né nel suo appartamento. Gli sembrò di trovarsi in un salotto uscito da un altro secolo, con le pareti di un insolito giallo dorato e quasi totalmente ricoperte da librerie e mensole. Credenze, divani e lampade avevano un aspetto piuttosto datato e vi era persino un grammofono in fondo alla sala.
Dalla portafinestra ai suoi piedi filtrava una lieve luminosità, tutto era in penombra: poteva permettersi di aprire bene gli occhi anche senza occhiali.

Annusò l'aria, odore di libri, carta, del legno del mobilio e di vino. Di un buon vino.

Sentiva uno strano peso tra l'addome e il bacino che lo teneva incollato a quello che dedusse essere un altro divano.
Allungò una mano per trovare l'origine del senso di peso e incontrò qualcosa di peloso e morbido.
Tolse la mano repentinamente come se avesse toccato una fiamma viva.

Un nome esplose nella sua testa. Aziraphale Fell.

Era a casa di Aziraphale Fell. Ogni parete, ogni angolo di quel salotto urlavano Aziraphale Fell.
Quella cosa... Poteva mai...? Era dunque quella la consistenza dei morbidi capelli di Aziraphale? E davvero aveva la testa appoggiata sul suo bacino?
Cazzo.
A quel pensiero rimase pietrificato. Non osò alzarsi. Non osò muoversi. Né tantomeno guardare verso le sue gambe.

Serrò di nuovo le palpebre.

Iniziò a cercare di ricomporre rapidamente i frammenti della serata precedente. Perché era mattina, giusto?
Aveva bevuto. Troppo, senza dubbio.
Avevano bevuto. Troppo.
E infatti sentiva la vescica piena. Probabilmente era il motivo per cui si era svegliato. E il peso localizzato appena più sopra non aiutava di certo.

Trovò il primo pezzo del puzzle. Ricordò quella visione in palestra.
Aziraphale in t-shirt. Le braccia possenti e chiare, ricoperte da una lieve peluria dorata. Quella mano così forte che stringeva la manopola della pressa sotto la sua. La perfezione di quelle nocche sotto le sue dita.
Il sorriso pieno di luce che gli aveva rivolto nel vederlo e il risolino dopo che avevano sbloccato l'attrezzo. Quegli occhi paralizzanti mentre lo ringraziava.

Poi quel dialogo e quell'invito, così, su due piedi. Era successo sul serio? Gli aveva davvero sputato un "Dai mi offrirai da bere"? E veramente gli era stato proposto proprio quella sera?
Ricordò vividamente il cuore in gola nel tentare di rispondere. Le parole seguenti che si rifiutavano di uscire ordinatamente dalla sua bocca.

Era successo sul serio. Pezzetto dopo pezzetto ricompose il mosaico con altre tessere. L'allenamento al sacco che aveva proseguito per ingannare tempo e ansia. Senza successo.
La doccia bollente. I capelli che non ne volevano sapere di stare in ordine e che aveva rinunciato ad asciugare. L' attesa nel parcheggio. L'aria di pioggia. Sì, quell'aria gelida non poteva averla sognata così vividamente.
Quelle battute, l'espressione strana di Fell (era davvero offeso?) e poi quel gradevole locale sul lungomare. La birra, la carne (non si era lavato i denti, li sentì ruvidi sotto la lingua), il whisky. Quell'uomo luminoso che socchiudeva gli occhi mentre gustava lentamente il suo hamburger. Gli si contorse qualcosa a quel pensiero. A ogni morso pareva emettere un leggero suono, un piccolo verso. Di piacere.

Anthony sgrullò via quel pensiero.

Altri pensieri, immagini, parole si rincorsero nella sua testa schiacciandosi a vicenda come tessere di un domino.
L' angelo che era scappato con la scusa del bagno e aveva pagato tutto il conto, mance comprese.
E poi il suo autoinvito a casa Fell. Dove aveva trovato il coraggio? Nel bicchiere di whisky, probabilmente.
Il villino, il pergolato, quel salotto dove tuttora si trovava. Quel vino incredibile. Quell' uomo incredibile che gli raccontava la sua vita. Gli occhi glauchi che si erano fatti lucidi nel ricordare il suo passato. Quanto avrebbe voluto ingoiare lui quelle lacrime che si affacciavano maleducate sullo splendido volto del professore che cercava di ricacciarle indietro. Baciare quegli occhi fino a far dimenticare qualsiasi ricordo spiacevole.

Ricordò l' esigenza di bere ancora e ancora. Probabilmente aveva raccontato anche lui qualcosa. Di Michele, sicuramente. Sperò di non essere entrato troppo nei dettagli. Ma ricordava poco, troppo poco.

Tutto si andava a mescolare con quelli che sicuramente erano stati dei sogni senza capo né coda. Sogni di libri, di auto, di penne, di Fell con la testa tra le sue gambe.
Per Satana.

Calore. Una fiammata all'altezza dell'inguine.

Non poteva, non era possibile.
Non poteva non ricordare per bene una cosa del genere. Non con quell'uomo. Nemmeno fiumi interi di alcol avrebbero potuto rendere nebuloso un simile evento.
Sarebbe rimasto scolpito nella sua memoria fino alla fine dei suoi giorni.

Era stato un sogno. Sicuro. L'unico dubbio era...

La testa sul suo bacino si mosse.

Non si sollevò, come fanno di norma le teste appoggiate su una qualunque superficie. Il peso infatti non diminuì, ma si spostò verso la parte alta del suo corpo. Non rotolando. Ma muovendosi e suddividendosi in quattro parti uguali, come se fossero... arti?

Anthony aprì gli occhi e ne incontrò altri due.

Gialli, indagatori, felini.

Il muso del gatto di Aziraphale andò a strusciarsi sul suo mento.

"Oh, gatto. Albus, giusto? Puoi spostarti un attimo, dovrei andare in...?"
Ma il gatto non si mosse. Strusciò nuovamente il muso sul mento di Anthony.
Lo scrittore lo accarezzò sulla testa e lo grattò piano dietro le orecchie.
Poi con un balzo rapidissimo il felino si lanciò su un altro divano. Si accoccolò e continuò a fissare Crowley che si tirò su a sedere.
Scostò quella che anche in penombra gli sembrò una coperta chiara in tartan.
Immaginò Aziraphale che lo copriva mentre era addormentato e un brivido gli percorse la schiena.
Satana. Satana. Satana.
Mi sono addormentato.
Mi ha coperto.
Cazzo che figura di merda.
Mi ha coperto!



In bagno l'acqua fredda lo fece ragionare. E fece tornare a galla altri discorsi della sera prima.
Doveva andare via di lì.
Avrebbe salutato calorosamente Aziraphale, lo avrebbe ringraziato per la cena. E il vino. E la coperta. E avrebbe concordato un appuntamento due settimane dopo. O un mese, magari.

Gli avrebbe scritto una mail. O magari avrebbe contattato la segretaria del suo ufficio.

Se solo Isabella non gli fosse stata col fiato sul collo.
("Non posso partorire prima io, Crow. Almeno mezzo libro, quattro capitoli, o tre capitoli... Me li concedete come regalo per la nascita? Muoio dalla curiosità!")
E invece non avevano nemmeno iniziato, a malapena avevano lavorato sulla periodizzazione. Certo, lui la bozza del romanzo la aveva quasi tutta, ma non era lontanamente una stesura.

Ancora dovevano concludere il grand tour ostiense. Aguzzò le orecchie. Stava ancora piovendo. Menomale. Non moriva dalla voglia di tornare in quel posto, non era ancora pronto. Chissà se lo sarebbe stato mai. Forse era stato un terribile errore pensare di ambientare il tutto....

Avrebbe dovuto parlare con Aziraphale. Ma non era quello il modo, il luogo...

Aveva paura di rovinare tutto. Mandare al diavolo un'occasione lavorativa così preziosa non solo perché se la faceva nelle mutande all'idea di ritrovarsi di nuovo nel luogo simbolo di Ostia Antica, ma anche perché, ciliegina sulla torta, si stava invaghendo del collega. Anzi, più insegnante che collega.
Cazzo un altro maestro.
No. No. No.
Non poteva gettare nelle fiamme infernali un progetto così ambizioso per una sbandata. Il lavoro e i sentimenti non dovevano mai, mai più incrociarsi, nemmeno per sbaglio. Era un professionista, un uomo maturo, sarebbe bastato...


Qualcuno bussò alla porta del bagno.

"Tutto bene, caro? Vuoi un caffè?"
"Ngk. Ehm, sì. Grazie."
"Ti aspetto in cucina, in fondo al corridoio."
"Arrivo subito."

Si guardò attentamente allo specchio.
I bagordi della sera prima si riflettevano tutti sul suo viso. Non era decisamente più abituato a bere.
Non aveva gli occhiali, nemmeno ricordava dove li avesse lasciati, forse nel cappotto. I capelli erano schiacciati ai lati e le onde cadevano irregolari oltre le spalle. Prese l'elastico che portava al polso e preferì legarli. I vestiti erano quelli della sera prima. Più sgualciti però. Alzò un braccio ad annusare l'ascella per capire se fosse presentabile ed uscì dal bagno.


In cucina trovò il professor Fell, vestito con un completo leggermente più scuro rispetto a quello del giorno prima, che versava il contenuto di una teiera in una tazza bianca con delle ali al posto del manico. Al posto di fronte al suo sull'isola della cucina, vi era una tovaglietta rossa su cui troneggiava un piattino con una tazzina più piccola e fumante.


I loro sguardi si incrociarono.
"Ben... ben svegliato" mormorò balbettando il padrone di casa. "Dormito bene? Spero che quel farabutto non ti abbia infastidito troppo."
"Quale...? Ah, no, no. Quando dormo così pesantemente, specie dopo aver bevuto, non mi rendo conto di nulla. Anzi, grazie davvero. Per... Per la coperta."
Aziraphale guardò in basso e sorrise. Pareva imbarazzato.
"Ma figurati, per così poco, anzi mi dispiace per..."
"Se c'è qualcuno che deve scusarsi, non sei decisamente tu."
Crowley mandò giù il contenuto della tazzina in unico sorso.
"Non ti ho nemmeno chiesto se volevi dello zucchero, del latte o del... non so..."
"Era perfetto. Sono a posto così."

Aziraphale sorrise senza guardarlo e bevve un lungo sorso dalla sua tazza.

"Senti io penso proprio che..." perché stava tentennando adesso? Crowley non riusciva nemmeno a respirare.
"Sì? Vuoi altro? Qualcosa da mangiare? Ho ancora svariati panettoni e pandori da aprire o se preferisci qui sotto fanno delle bombe alla crema paradisiache, posso subito scendere a..."
"Tranquillo, angelo. Sto andando via."
"Ah, oh."
"Io di solito non faccio colazione, scusami e poi.. Devo, devo proprio... Sai ho molte piante. Da annaffiare. Devo annaffiare le piante, sennò..." e si alzò di scatto.
"Grazie, grazie ancora di tutto".
Aziraphale gli corse letteralmente dietro per aprirgli la porta di casa.
"Quando... vogliamo?"
"Ah sì, certo. Il grand tour."
"Mi sono ricordato che il prossimo finesettimana ospitiamo un convegno al parco archeologico. Va bene per te tra due settimane o è troppo tardi? Altrimenti potremmo qualche pomeriggio dopo la chiusura, ma sarebbe un po' buio"
"Tra due settimane è perfetto."
"Ok. Allora se poi... per qualsiasi cosa, ci sentiamo."
"Ok. D'accordo. Ngk."
"Ciao, Crowley."
"A tra due settimane, angelo."




Cazzo, cazzo, cazzo.
Mentre stava per mettere in moto la Bentley, Crowley avrebbe preso a capocciate lo sterzo. Ma da dove caspita gli era uscita una scusa così?
Annaffiare le piante! Era scappato da casa di Aziraphale per andare ad annaffiare le piante!
Le mani continuavano a sudargli nonostante il freddo e lo stomaco, provato dall'alcol e dal caffè a digiuno, iniziò a ribollire furibondo, non più propenso a quegli stravizi. Perché aveva rinunciato a mangiare qualcosa con Aziraphale? Mica si sarebbe addormentato anche sul tavolo della cucina.
Aveva dormito da Aziraphale Fell.
Era crollato sul suo divano.
Col suo gatto sopra.

Due settimane. Adesso avrebbe avuto due settimane per seppellirsi nel cimitero della vergogna e riemergervi da persona normale. Forse.
E per prepararsi ad affrontare Ostia Antica.
Cazzo.




3 febbraio


Il gran giorno era alla fine arrivato.
Anthony si sentiva pronto.
O almeno, credeva.
Doveva sentirsi pronto e basta.
In quelle due settimane aveva lavorato moltissimo su sé stesso. Si era confrontato con la psicologa amica di suo padre ed era consapevole di avere i mezzi per affrontare il Teatro.
E per rivedere Aziraphale.

Dopotutto quella giornata era alla base di tutto il suo lavoro presente e futuro, in ogni caso non aveva scampo.
Come concordato via messaggio con l'archeologo, dopo aver parcheggiato nella solita area dedicata ai dipendenti, si fece trovare al Caffè degli Scavi, dove Nina si fece autografare tutti e tre i volumi della sua prima opera e molto calorosamente gli portò un caffè doppio che lo scrittore tracannò a stomaco vuoto. Proprio come gli vietava il gastroenterologo (ma tanto non lo avrebbe mai saputo).

Aziraphale si presentò più sorridente che mai, con un cappotto in lana e un papillon in tartan di un colore diverso dal solito, sui toni del verde.
Era più luminoso ed etereo che mai. Gli occhi riflettevano il verde del farfallino. I capelli sembravano ancora più mossi e morbidi. Il sorriso ancora più perfetto. O forse ad Anthony era semplicemente mancato troppo.

"Antonio, come va?"
Benissimo, adesso che ti vedo. A meraviglia.

"Professore! Bene, grazie. Tu come te la passi?" lo accolse trovando la faccia tosta di schernirlo un po'.
"A meraviglia. Hai visto che bel sole splendente? Perfetto per passeggiare tra ipotetici luoghi del romanzo e immaginarci come Gaio e il suo patronus. A proposito, lo abbiamo battezzato alla fine?"
"No, non ancora."
"Bene, ci verrà in mente qualcosa strada facendo, ne sono certo. Siamo pronti?"
"Nato pronto."

Il tour guidato dal direttore in persona partì da dove si era bruscamente concluso la volta precedente. Raggiunsero rapidamente il Capitolium per poi dirigersi verso la latrina pubblica dove Crowley non riuscì a trattenersi, nonostante i cordoli che ne vietavano l'accesso e la resistenza della sua personale guida, dal provare personalmente uno dei sedili.
"L'hai fatta tutta? Possiamo proseguire?"
"Sai cosa? Come ce lo vedresti un altro omicidio della serie da risolvere in questa latrina?"
"Proprio questa? Così come la vedi è un rifacimento tardo rispetto ai periodi che stavamo pensando per la nostra storia, ma senza dubbio possiamo utilizzare qualche fullonica. In un certo qual modo lo trovo ancora più intrigante rispetto alle terme."
"No io intendevo proprio aggiungere un altro omicidio. Oltre a quello nelle terme, uno nella latrina..."
"Il serial killer dei bagni."
"Qualcosa del genere."
"Allora mi sembra proprio il caso di proseguire più avanti, alle Terme del Foro. Se avrai pazienza e voglia di camminare ho intenzione di mostrarti anche quelle della Marciana, si trovano verso la fine del parco, vicino alla sinagoga, ma ti assicuro che ne varrà la pena. C'è un mosaico in particolare lì che vorrei mostrarti." E il direttore esibì un sorrisetto furbo.
"Sono giorni che non alleno le gambe in palestra, appositamente per questa giornata" sorrise malizioso il rosso.
"Ergo eamus!"
No ti prego, non parlare in latino, non parlare in latino.

Per tutta la mattinata passarono da un bagno all'altro.
Passeggiarono per le Terme del Foro, osservarono quelle dei Sette Sapienti, per giungere poi (dopo alcune domus e santuari) alle Terme della Marciana, dove Fell illustrò al collega i vari mosaici pavimentali per poi soffermarsi su quello dello spogliatoio che rappresentava svariati atleti, tra cui spiccava un pugile.
"Quelli alle mani erano bendaggi o proprio guantoni?" chiese riflessivo il pugile.
"Sono caesti, erano l'unico strumento utilizzato. Nei combattimenti più puliti erano delle semplici cinghie di cuoio allacciate sulle mani. Ma nei giochi gladiatori avevano anche punte o borchie di ferro."
"Dunque non erano decisamente volti a proteggere le mani, erano solo uno strumento d'offesa."
"Esattamente, credo si denoti dalla forma. Appena possibile te ne mostrerò di più chiari."
"E l'uomo togato a fianco?"
"È stato interpretato come un giudice."
"Non un maestro."
"In realtà, no." Disse l'archeologo un po' frettolosamente.
Cosa diavolo ti viene in mente? Stavi andando quasi bene finora. Professionale. Professionale!
Non poteva farci nulla, quell'uomo nel mosaico, così elegante e col braccio rivolto verso il pugile che lo guardava fisso, per Crowley aveva un nome e un cognome. Aziraphale Fell.

Rientrando verso la zona centrale della città antica, visitarono anche il Tempio di Ercole e infine, l'abitazione che Anthony conosceva fin da prima di iniziare a scrivere la bozza del romanzo lì ambientato.
La domus di Amore e Psiche.
Sua madre adorava quella storia. Gli aveva fatto leggere e poi tradurre da ragazzo quelle pagine di Apuleio. A Parigi avevano osservato l' opera di Canova insieme almeno tre volte.

Il calco del piccolo gruppo scultoreo rinvenuto e conservato lì, invece, Anthony non lo aveva mai osservato dal vivo fino a quel momento.
"Beh avrai senz'altro visto almeno una volta nella vita il gruppo scultoreo di Canova, ma anche questi due piccoli amanti sono Amore e Psiche. Questo è solo il calco, appena avremo modo di visitare insieme anche il nostro Museo ti mostrerò il gruppo originale. Non so se conosci il mito."
"Sì, ho letto Le Metamorfosi di Apuleio quando ero ragazzo. Tra i latini era uno degli autori preferiti di mia madre."
Aziraphale Fell annuì sorridendo e fece strada al suo ospite fin dentro alla sala della domus in cui troneggiava la copia della scultura.
Entrambi rimasero svariati secondi a osservare quel morbido abbraccio, quelle mani scolpite che tenevano nuche e mandibole, quelle labbra che andavano a incontrarsi in un eterno bacio.

Immobili e in silenzio. Come quelle due statue.

Crowley cercò di mascherare il suo affanno. Troppe emozioni si scontravano in lui. Immaginò sua madre osservare quella sala e voltarsi a sorridergli con gli occhi ambrati come i suoi. Anthony si trovò ad appoggiarsi delicatamente a una delle pareti.
E lo stesso sembrò fare Fell. Pareva nervoso, forse era affaticato oppure anche lui era sopraffatto da qualche emozione. Aveva ora lo sguardo basso, per un attimo perse l'equilibrio e sembrò quasi scivolare verso il calco del gruppo scultoreo.

In una frazione di secondo Anthony fu al suo fianco e lo sostenne in una sorta di abbraccio laterale, quasi a imitare la posa dei due amanti, ora salvi, dinnanzi a loro.
A causa di quella presa improvvisa ma provvidenziale, l'archeologo finì per toccare leggermente una delle pareti con la schiena.

"Scusa!" pronunciarono in coro i due uomini distaccandosi rapidamente dalla stretta.
"Anzi grazie, grazie davvero. Sarebbe stato veramente un bel danno ai gessi! E cielo, l'idea di provocarlo proprio io, santi numi..."
"Stai bene, angelo? Non hai un bel colorito, vogliamo interrompere...?"
"No scusami, un lieve capogiro. Ora è tutto a posto, veramente."
Fece un passo e Crowley lo squadrò dalla testa ai piedi.
"Oh accidenti, ti ho fatto sporcare."
Un alone bianco copriva una porzione del cappotto color cammello del professore dalla spalla alla schiena.
"Ma dai non sarà nulla, un po' di polvere, non..."
"Lascia che ti aiuti."
E Crowley si avvicinò alla spalla dove iniziava la scia, abbassò il volto e iniziò a soffiare via la macchia. Poi la finì di spazzare via con le dita, cercando di essere delicato sul corpo di Aziraphale.

"Ecco ora è perfetto."
Aziraphale cercò di guardare indietro, oltre la sua spalla e sorrise come quando Crowley lo aveva aiutato a liberarsi dalla pressa in palestra. Aveva finalmente ripreso un bel colorito, anzi sembrava molto più roseo.
"Grazie."


Prima di proseguire con l'ultima (e più temuta) parte del tour fecero un rapido pranzo al Caffè. Si unì a loro Maggie che colse l'occasione per chiedere numi al direttore riguardo i lavori di scavo presso via della Foce. A Crowley non diede fastidio, anzi trovò il chiacchiericcio dei due studiosi quasi rilassante. E poi stava ancora cercando mentalmente scuse per ritardare la fine del tour.

Infine si diressero verso l'ultima tappa di quella seconda giornata di sopralluogo: il piazzale delle Corporazioni e il Teatro. Area di Ostia che in nessun caso Anthony avrebbe potuto continuare ad evitare. Non se voleva davvero scrivere quella cosa con quello scrittore.

Ma appena intrapreso il decumano massimo, Crowley si rese conto che gli stavano sudando entrambe le mani. Era una bella giornata di sole, ma comunque l'aria era fredda. Non poteva essere qualcosa legato al clima.
Passo dopo passo si sentì sempre più pesante e la voce di Aziraphale che nominava ninfei e tempietti pareva sempre più lontana.

Infine arrivarono.

Il teatro si ergeva orgoglioso dinnanzi a loro e sembrava schernire il pugile.
Ben ritrovato The Snake.
Non era possibile. Era la sua testa che gli faceva scherzi.
Mentre Aziraphale gli indicava i mosaici a terra, Crowley fu tempestato da una serie di immagini, suoni, sensazioni.
Un ring, delle luci artificiali incredibilmente forti, urla, cori, fischi. Lo striscione dedicato a lui.
Sentì di nuovo i capogiri, la nausea, quel dolore all'addome che da giorni non passava, i colpi di quel pugile sulle braccia, sul torace, infine quel montante sotto al mento.
La voce dell'arbitro che metteva fine al match. Il vecchio maestro su di lui che gli sventolava l'asciugamano davanti al volto.
L'ambulanza che lo portava via. I giorni in ospedale, gli infiniti prelievi.
Il gelido responso dell'antidoping. E subito tornarono alla sua mente le pillole rosa, gli integratori che gli aveva dato il suo promoter.
(Sei troppo giù in questo periodo, non ci arrivi al match, prendi queste e vedi come voli.
Non puoi perdere, ho investito troppo su di te. Prendile e basta. Ti giuro che sono solo integratori.)
Poi quella caduta. Le dimissioni che non arrivavano mai. Le flebo infinite.
I cinque mesi su quel letto d'ospedale.

Le dita di Anthony non rispondevano più al suo corpo, erano intorpidite e tremanti, non riusciva più a muovere in nessun modo le mani. Proprio le mani, le sue mani da pugile erano sempre le prime a lasciarlo.
Fece due passi indietro. Doveva allontanarsi da Aziraphale. Si sforzò di respirare, ma la sensazione di oppressione al petto non lo fece più ragionare.
Si sforzò di inspirare. Di espirare. Di concentrarsi sui pini sopra di lui, su qualcosa di bello, il verde degli aghi, il verso degli uccelli, gli sprazzi di cielo azzurro tra un ramo e l'altro. Concentrati sul verde, sull'azzurro. In genere funzionavano queste cose.
Respirare e cercare qualcosa di bello. Respirare e cercare qualcosa di bello.
Non funzionò nulla. Non riusciva né a inspirare né ad espirare. Il petto gli faceva male.
Sarebbe morto.
Di fronte ad Aziraphale Fell. Sarebbe caduto di nuovo a pochi metri da quel teatro.

I suoi occhi guardarono Fell ma non lo videro.
Anthony Crowley si accasciò al suolo.
Stava morendo di fronte ad Aziraphale Fell.


L'altro fu immediatamente su di lui.
"Anthony, caro. Cosa succede?"
Ma Anthony non riuscì a rispondere. Piegò le ginocchia al petto. Non voleva che Aziraphale lo vedesse morire. Nascose il viso sulle ginocchia.

"Crowley, caro, guardami. Vogliamo spostarci? Ti aiuto ad alzarti." Ma Crowley non si mosse. Non poteva reagire. Lui stava morendo.
"Crowley sono qui. Sono con te." E gli prese una mano con le sue.
Le mani di Aziraphale erano fredde ma lisce. Crowley tornò a sentire leggermente le dita.
"Respiriamo insieme, ti va? Contiamo i respiri." Anthony o quel che rimaneva di lui udì l'uomo sedersi o forse inginocchiarsi accanto a lui. E prendergli anche l'altra mano. Poi lo sentì contare lentamente. Contare e respirare. Uno due tre quattro e inspiriamo. Uno due tre quattro cinque sei sette e otto ed espiriamo.

Crowley alzò la testa, muto, gli occhi sgranati sull'uomo di fronte a lui. Prese le mani dell'altro e se le portò al petto.
Aziraphale assecondò quel movimento. Distese entrambe le mani sul petto di Crowley e respirò con lui. Le mani di Fell erano fredde. Ma Crowley fu inondato una fiamma di calore, lì dove quelle mani lo toccavano.
Respirarono insieme così per qualche minuto. Poi la tempesta passò.

Crowley non era morto. Crowley non era caduto. Era tornato a respirare.

Si alzò di scatto.

"Andiamo via? Vuoi che ti accompagni alla macchina? A casa? Vuoi...?"
"Devo andare. Vado da solo."

"Lascia che ti accompagni almeno al parcheggio, non so se sai la strada da qui."
"Okay."

Poi se ne sarebbe andato. Alla svelta. Non poteva rimanere oltre con Aziraphale.
Non poteva assolutamente. Già quello che...
I battiti erano l'unica cosa che non riusciva a far tornare alla normalità.

Senza ringraziare, durante il tragitto vomitò qualche frase sconclusionata al collega.
"Dieci anni fa."
"Dieci anni fa?"
"Dove eri tu dieci anni fa? Perché non eri qui, dieci anni fa?" cercò di ricacciare due lacrime negli occhi. Santi occhiali da sole.
"Dieci anni fa? Credo ad Atene."
"Io ero lì."
"Lì dove?"
"Nel teatro. Su un ring."
"In questo teatro, veramente? Non ricordavo facessero incontri qui, adesso sono vietati, esattamente da..."
"Dieci anni."
"Dieci anni! Oddio lessi qualcosa e qualche vecchio funzionario forse mi accennò qualcosa. Ma non avevo idea che..."
"Fu l'inizio della mia caduta."
"Quale caduta Crowley?"
"La fine dell'agonismo. La morte di The Snake. L' etichetta di dopato. La squalifica. Il cancro."
"No, scusami, non ti sto seguendo."
"Persi il match. Persi i sensi al primo montante. Nemmeno mi aveva colpito in pieno eppure... In ospedale mi rivoltarono come un calzino. Ma scoprirono prima il doping, solo dopo settimane confermarono il cancro. Ma ormai per tutti ero il dopato."
"Che razza di beffa..."
"Avevo perso molto peso ed ero stato costretto a cambiare categoria. C'erano voci. Che fossi drogato, che fossi dopato, che avevo disturbi alimentari. Per quello andarono subito a indagare lì."
"Prendevi già farmaci? Per i sintomi della malattia?"
"Non avevo molti sintomi a parte la perdita di peso. Un po' di nausea, dolori addominali. Credevo fosse ansia da match. Non ero più così giovane, mi vedevo già finito. E accettai quei dannati integratori."
"Capisco."
"I tre anni seguenti a quel match furono un vero inferno. Vorrei potessero uscirmi dalla testa. Per sempre. Ma quel match fu l'inizio di tutto."

Erano giunti ormai al parcheggio. Il pugile sospirò.
"Crowley, è per questo che hai ambientato la storia qui a Ostia?"
"Già, credevo che così, questa cosa sarebbe passata. Anzi scusami. Non avrei mai voluto che un uomo del tuo calibro assistesse a..." aprì l'auto e si infilò nell'abitacolo senza osare guardare il volto dell'uomo.
"Non dirlo neanche. Crowley scriveremo questo libro. E sarà un successo."
"Sarà un fallimento."
"Fidati di me."
"Ci provo. Grazie, angelo."

Penna d'angelo, penna di demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora