Capitolo 6

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14 febbraio


Anche quell'allenamento si era concluso. Dopo essersi congedato dai suoi allievi, il maestro Aziraphale si dedicò una lunga doccia bollente ad allontanare lo stress. Le magagne lavorative. I pensieri.
Un pensiero, in particolare.

Ovviamente, come tutta la settimana precedente e come esattamente quarantotto ore prima, prima, anche quel mercoledì sera il suo sguardo era ricaduto almeno tre volte sulla solita e ormai deserta panca nello spogliatoio. Ma non vi aveva più visto appoggiato alcun borsone nero.

Negli ultimi dieci giorni aveva pensato a lungo a ciò che era accaduto presso il Teatro romano.
Continuava a interrogarsi.
Aveva davvero fatto tutto il possibile? Aveva osato troppo? O aveva fatto troppo poco?
Eppure gli pareva di essersi comportato esattamente come avrebbe voluto che qualcuno si fosse comportato con lui quando era stato colpito dai numerosi attacchi di panico che lo avevano fedelmente accompagnato nella sua vita.
Il primo, quello più tremendo e indimenticabile, era tuonato la sera dopo il funerale di suo padre. Poi gli anni universitari erano stati letteralmente costellati da attacchi di panico e crisi d'ansia, poi qualche attacco si era affacciato in periodi di grandi tensioni lavorative, un altro ad Atene dopo la chiusura con Davide, uno brevissimo la notte antecedente alla prima presentazione letteraria della sua vita. Ma gradualmente aveva imparato a gestirli. Anche senza lo yoga che gli propinava sua madre.

Però tutti erano sempre avvenuti quando si trovava da solo.
Inoltre lui non era Anthony. Magari l'altro avrebbe voluto essere lasciato da solo. O magari avrebbe necessitato di maggiore vicinanza.
Oppure semplicemente e giustamente ci aveva ripensato. Al romanzo, a tutto, a loro...
Loro.
Ma chi voleva prendere in giro? Non erano un loro, un noi, erano solo un gruppo di due, due diversissimi autori che due sadici e opportunisti editori avevano deciso di muovere insieme come pedine di una scacchiera per i loro affari.

Non avrebbe mai dovuto accettare quel lavoro, a quest'ora sarebbe stato dinnanzi all'ennesimo pallidissimo foglio di word ma almeno non avrebbe...

Forse Crowley era colto dagli stessi pensieri. Era sicuramente pentito. Dopotutto era lui ad avere quella trama così intrigante delineata in testa. Perché mai avrebbe dovuto fare beneficenza condividendo fama e royalties con un autore che sì, aveva fatto il suo a suo tempo, ma che era ormai finito, decaduto, spacciato? Dopotutto le nozioni storiche fondamentali adesso le aveva chiare. I luoghi in cui far muovere i personaggi anche.

Per quello gradualmente aveva iniziato a non rispondere più ai suoi messaggi. Aziraphale ne era certo.
Era stato l'archeologo a scrivere per primo la sera del tour. Per sapere come andava, se avesse bisogno di qualcosa. I giorni seguenti si erano scambiati ancora qualche messaggio.

Poi Aziraphale gli aveva mandato un riepilogo completo via mail con la lista dei periodi che più potevano essere adatti alla loro storia e Crowley aveva risposto quasi subito. E lui aveva risposto ancora. E così il romanzo sarebbe iniziato l'anno della morte di Caligola per poi proseguire nel periodo dei grandi cambiamenti apportati alla città dall'imperatore Claudio.
Il 41 d.C., otto anni dalla crocifissione di Cristo, pareva a entrambi una data interessante.

Poi però le risposte ai messaggi di Crowley erano divenute sempre più rare, brevi, striminzite.

All'ultimo messaggio che Aziraphale gli aveva mandato sabato non aveva nemmeno risposto.

"Ti sta facendo ghosting? Peccato, pareva simpatico oltre che in gamba nel suo mestiere." Gli aveva chiesto due mattine prima Nina, mentre gli porgeva il caffè, prima dell'ingresso in ufficio. Così era iniziata quella settimana.

Poi la ciliegina sulla torta. Quella telefonata di Gabriele che gli chiedeva come stessero procedendo le cose.
"Perché me lo chiedi telefonicamente? Tanto ci vediamo nel finesettimana come concordato l'altroieri, no?"
"Non te l'ha detto quindi. Ma vi sentite, sì? State procedendo?"
"Dirmi cosa? Parli di Antonio?"
"Certo, di chi altri? Ha detto di avere un impegno, ha rimandato l'appuntamento al sabato successivo. Credevo lo sapessi, dovreste..."
"Scusami Gabriele, ho un'altra telefonata sotto, ci risentiamo. Il giorno che ha detto Antonio è perfetto. Stammi bene, ciao".
E aveva chiuso il telefono al suo editore come mai nella sua carriera o nella loro amicizia.

Ma non aveva osato scrivere o chiamare il collega. Si sarebbe fatto sentire lui, se avesse voluto, no?



E adesso eccolo lì, il maestro di karate, a osservare una panca vuota nello spogliatoio di una palestra di periferia.


Percorse il tragitto fino a casa in auto più velocemente del solito.
Era San Valentino.
Nonostante il clima freddo e le nuvole che preannunciavano un temporale, il lungomare si stava comunque affollando di ragazzi che si tenevano per mano, di coppie meno giovani che condividevano l'ombrello, di venditori ambulanti di rose. Un siparietto che di norma apprezzava, adorava sentire l'amore nell'aria, anche se la sua vita era quasi perennemente priva dell'amore romantico che leggeva nei suoi libri preferiti.

Ma quell'anno no. Aveva voglia di chiudersi in casa, scongelarsi una pizza surgelata e strafogarsi di biscotti da tè davanti al televisore. Direttamente sul letto. Come di rado si concedeva.


Mentre addentava con violenza la prima metà (quella al cioccolato) di un biscotto a forma di cuore, davanti a una commediola romantica che stava seguendo distrattamente (qualcosa di Richard Curtis, sicuramente) il telefono squillò e lo fece sobbalzare. Anche Albus si destò e si voltò dal suo trono con aria contrariata.

Erano passate le dieci di sera.
Se squilla il telefono dopo le dieci di sera è sempre accaduto qualcosa di grave.
Pensò subito a sua madre, sola col suo yoga tra i Monti Sibillini (ma guai a proporle di avvicinarsi un po', guai a ricordarle la sua età, guai a...).

Prese il telefono e lesse il nome sullo schermo.

Antonio Crolli (Alpha Centauri).

"Pronto?"
"A..An... Aziraphale. Sono io. Ho bisogno del tuo aiuto." La voce dall'altra parte del telefono sembrava incerta, quasi rotta.
"A.. An... Anthony. Cosa è successo?"



Forse Aziraphale non aveva mai guidato così velocemente in vita sua. Non amava guidare. Non amava guidare di notte. Non amava guidare con la pioggia.
Eppure in dieci minuti scarsi raggiunse la posizione che Anthony gli aveva mandato su Whatsapp. E lì lo vide.
Sul ciglio della strada. In ginocchio sull'asfalto, sotto la pioggia battente. A pochi passi dalla sua Bentley, parcheggiata in uno spiazzo.

"Sei venuto davvero!" mormorò Crowley. Aziraphale notò subito che aveva gli occhi rossi. I capelli sciolti e bagnati che gli arrivavano quasi a metà schiena. Il volto completamente fradicio. Forse non era solo pioggia.
Teneva qualcosa di piccolo e scuro tra le braccia, a proteggerlo dalla pioggia.
"Mi fa le fusa. Ti rendi conto? Dopo quello che gli ho fatto, mi sta facendo le fusa." singhiozzò.
"Anthony, presto. Sali in macchina, o ti prenderai un malanno. Questo è il trasportino di Albus, mettilo dentro e sistemalo nel portabagagli. Saremo alla clinica in dieci minuti, promesso."
"Sono un mostro. Devo essere dannato per questo. Pre... preferisco tenerlo in braccio." Mormorò accomodandosi come meglio poteva nell'angusto abitacolo della Smart gialla e chiudendo la portiera.
"D'accordo. Posso dare un'occhiata?"
Aziraphale si sporse e allungò una mano sul grembo del rosso ad accarezzare la bestiola investita. Non si muoveva, in effetti pareva mezza addormentata. Un mucchietto d'ossa, di massimo sei mesi di età a giudicare dalle dimensioni. Era sicuramente una femmina dato il pelo nero leggermente chiazzato di rosso. Il respiro delicato pareva comunque regolare e sentì il leggero vibrare delle fusa. Poteva essere un buon segno, ma non era detto. E non voleva illudere in nessun modo Anthony. Avrebbe voluto osservare gli occhi della gattina per valutare le dimensioni delle pupille e capire se avesse subito un trauma cranico ma preferì non forzare la povera creatura.
Mise in moto.

In auto Crowley gli descrisse la dinamica dell'incidente almeno tre volte consecutive, tra singhiozzi e sospiri.
"In quasi trent'anni che guido non mi era mai successo. Mai fatto un incidente."

Gli raccontò che mentre stava guidando alla velocità consentita su quella strada a scorrimento veloce, aveva scorso il piccolo animale solo pochi secondi prima dell'impatto. Era appena sfuggito a un'altra auto nell'altra direzione che invece percorreva a una velocità molto più elevata (e il guidatore probabilmente non lo aveva nemmeno visto) e si era trovato poi nella traiettoria della Bentley. Crowley aveva fatto di tutto per evitarlo, aveva rallentato quasi di botto (per fortuna non vi erano altre auto dietro di lui), si stava per spostare nell'altra corsia ma sopraggiungevano altre vetture per cui si era spostato invece verso il lato destro rischiando, data la pioggia, l'asfalto bagnato e un'enorme pozzanghera proprio da quel lato, di fare un testa-coda e finire contro un palo della luce. Ma la Bentley, fedele ai suoi comandi, aveva seguito perfettamente le sue intenzioni e, dopo aver sfiorato appena il piccolo gatto, si era fermata al bordo della strada senza ulteriori danni.

Crowley era sceso di corsa sotto la pioggia a cercare il piccolo animale ferito. Non si era fermato nemmeno subito dopo l'impatto, aveva corso zoppicante verso un'aiuola.
Aveva provato a richiamarlo e quello si era diretto fiducioso verso di lui, probabilmente aspettandosi del cibo, poi a un certo punto aveva perso l'equilibrio e si era accasciato a terra.

"Vedrai, la clinica dove lo stiamo portando è ottima, lo rimetteranno in sesto alla perfezione."
"Sono un mostro."
"Anthony, sarebbe successo a chiunque, col buio, questo tempaccio. A volte sono cose imprevedibili. Già che siate vivi entrambi date le premesse mi pare un miracolo."
"Ah quello è puro merito della Bentley. È lei che ci ha salvati. Le auto moderne se le sognano delle prestazioni del genere."
"Eccoci, la clinica è questa, se intanto vuoi scendere mentre parcheggio."
"Qui? Veramente? Abito a due passi e non mi ero mai reso conto ci fosse una clinica veterinaria."
"È la migliore di Roma sud. Maggie vi ha affidato dei casi quasi disperati. Pare facciano miracoli. Anche Albus è stato ricoverato qui quando era ancora nella colonia. Non so chi troveremo di turno a quest'ora ma sono comunque tutti veterinari molto validi. "
"Grazie, Angelo." Disse il rosso scendendo col gatto in braccio.


Quando entrò nella clinica Aziraphale trovò Crowley appoggiato a una parete, in piedi in una posizione che lui non avrebbe potuto replicare senza farsi venire una qualche contrattura muscolare. Grondava ancora pioggia dai capelli, i vestiti erano zuppi, ma almeno la temperatura della sala d'aspetto era tiepida. Si sbottonò il cappotto e gli fece un cenno di saluto.
"L'hanno portato via. Non mi hanno fatto entrare."
"Crowley, è comunque un ospedale."
"Ha una zampa rotta, forse anche la parte finale della coda. E devono valutare il bacino." Ed emise un altro singhiozzo che cercò di soffocare con un braccio.
"Antonio, guardami. Fidati di me. Andrà tutto bene."
"Però sono stati gentili. Non mi hanno trattato come avrebbero dovuto."
"Anthony... Sediamoci su quelle sedie, okay? Vuoi un caffè?" gli indicò la macchinetta delle bibite.
"Meglio di no." Però gli si sedette a fianco. Le loro cosce si sfiorarono.

Poi finalmente Anthony per la prima volta in quella sera lo guardò negli occhi.
Con le iridi più auree che mai, le pupille rese sottili dall'illuminazione ospedaliera. Le sclere ancora arrossate.
"Comunque andrà, non so come ringraziarti. Io non... non sapevo davvero chi chiamare. Scusami per averti telefonato di notte e scusami anche per...
Cazzo, io sono stato davvero uno stronzo con te negli ultimi tempi, ma mi sentivo così patetico, così in difetto e mi sono comportato così male... E tu sei venuto! Mi hai portato qui e se quel gatto si salverà e se io potrò non avere sulla coscienza una cosa simile... Se le ruote della Bentley non saranno sporche di sangue sarà solo grazie a te."
Fortunatamente Aziraphale era seduto, altrimenti dopo un discorso simile, così vicino a quell'uomo che non smetteva di fissarlo intensamente, avrebbe senz'altro barcollato.
"Non devi ringraziarmi. È a questo che servono gli... amici, no?"
Amici. Con due secondi di silenzio prima della parola chiave proprio a enfatizzarla. Perché, Aziraphale? Cosa ti dice la testa? Non siete amici.
"Am... Amici. Grazie. Sì. Senti se vuoi, se preferisci, se avevi di meglio da fare, insomma, non sentirti obbligato a... Hai già fatto tantissimo. Davvero."
"No, grazie. Rimango qui, anche io."


Aziraphale Fell trascorse circa due ore di quella strana notte di San Valentino su quella scomoda sedia di plastica, in quella clinica veterinaria. L'uomo al suo fianco rimase seduto accanto a lui per un lasso di tempo molto più breve. Poi si alzò, si appoggiò al muro, percorse ancheggiando il corridoio a fianco un numero di volte che il biondo non riuscì a contare, si risedette, si rialzò. Infine crollò nuovamente accanto all'archeologo. Si piegò in avanti con la testa tra le mani, Poi si sedette invece inarcando la schiena e lasciando le braccia lungo il corpo e chiuse gli occhi.

Una delle sue mani era davvero molto vicina a quella di Aziraphale.
Fell lottò contro sé stesso per sotterrare lo stimolo ad allungare di quei pochi centimetri il braccio, prendere quella mano perfetta tra le sue dita, magari portarsela al volto, stamparvi sopra le sue labbra. Annusarne l'odore, sentirne la temperatura, verificare se la pelle era davvero liscia come la ricordava...

E invece fu Crowley ad avvicinare la sua mano a quella di Aziraphale. I loro mignoli si sfiorarono. A quel punto Aziraphale accettò quell'invito e posò la sua mano su quella di Anthony. La trovò molto fredda. Le sue dita cominciarono ad accarezzare quelle più affusolate di Crowley, a trasmettergli un po' di calore, i suoi polpastrelli iniziarono a disegnare dei semicerchi. Poi con la ferma intenzione di scaldare davvero quella mano di marmo, stese completamente la sua mano su quella dell'altro a coprirla, cingerla, come in un abbraccio tra mani.
Non si guardarono in volto durante quel momento. Continuavano a fissare quelle mani unite come se non fossero le loro.
Poi una porta si aprì. Ne uscì un uomo dalla divisa verde. Un medico, un veterinario.
Le mani si scostarono di scatto. Crowley balzò in piedi come una molla.

Il veterinario si avvicinò a loro.
"Signor Crolli?"
"Eccomi."
"Dunque, la piccola è molto tenace. È fuori pericolo. Il bacino è a posto."
"È, è una lei? Ed è salva?" chiese con un filo di voce.
"Oh, menomale." Mormorò Aziraphale inserendosi nel discorso.
"La coda è semplicemente steccata, mentre la zampa posteriore destra è stata operata. Pare stia reagendo bene all'intervento, ma chiaramente preferiamo tenerla sotto osservazione per un po'.
Aveva già lasciato il suo numero, vero? La ricontatteremo noi per le dimissioni."
"Oh, okay. Grazie, senz'altro." Crowley aveva un'espressione finalmente più distesa, abbozzò un mezzo sorriso e sembrò finalmente tornare a respirare con regolarità.

Quando i due uomini uscirono dalla clinica stava imperversando una grandinata di cui non si erano accorti.
"Diamine. Angelo, non metterti in macchina con questo tempo allucinante. Io... Beh io abito letteralmente a quattro isolati. Posso... Offrirti da bere per sdebitarmi della nottata?"
"Tentazione riuscita. Non amo guidare con la pioggia, figurarsi con la grandine."

Pochi passi di corsa (in salita) dopo, sotto quella cascata incessante di bottoni di ghiaccio, che rischiò più volte di rompere l'ombrello di Aziraphale che stava riparando entrambi, Crowley digitò un codice e aprì il portone di un palazzo molto moderno dagli immensi balconi curvilinei.
Indicò l'ascensore ad Aziraphale e si diresse verso le scale. "Ultimo piano."

L'appartamento di Crowley era come Aziraphale aveva immaginato e forse sognato almeno un paio di volte.

Attico con super attico (ovviamente), moderno e sofisticato in ogni aspetto. Illuminazione a led, domotica di ultima generazione, con i tipici faretti che si accendevano o spegnevano schioccando le dita.

Il soggiorno era un ampio open space, dotato di angolo cottura e di un televisore da almeno sessanta pollici.

Una cosa, anzi tante cose, Aziraphale non si aspettava di trovare nella casa dello scrittore. Un quantitativo quasi esagerato di rigogliosissime piante da appartamento. In effetti gli aveva sentito nominare le sue piante in più di un'occasione, ma non si aspettava di certo quella specie di foresta pluviale nel corridoio di un appartamento in via di Sierra Nevada.
Forse quella con cui era scappato da casa sua qualche settimana prima non era una scusa campata per aria. Quelle piante sembravano curatissime. Chissà quanto amore e pazienza dedicava loro Anthony...

"Scusa il disordine. Puoi... puoi accomodarti intanto. Fai come se fossi a casa tua. Io, con permesso, andrei a togliermi di dosso questi stracci gelidi ormai asciutti. Anzi, forse farei anche una doccia..."
"Quoto la doccia. Cio... cioè credo sia il caso, avrai bisogno di... beh di scaldarti un po'." Balbettò esitante dopo aver pronunciato la prima parte della frase con decisamente troppo entusiasmo.
"A proposito, quella porta è un altro dei bagni, nel caso ti servisse... Quello di fronte invece è lo studio. Quella è la mia camera, di fronte vi è una camera per gli ospiti, mentre la scala porta a quello che chiamano super attico ma che è in pratica una mansarda dove..."

Crowley si stava letteralmente spogliando camminando per casa e indicando le varie stanze. Alle orecchie di Fell, conseguentemente, arrivavano circa la metà delle parole.
Dio santissimo.
Aveva ormai indosso solo uno striminzito e aderentissimo boxer nero quando propose ad Aziraphale:
"Per cui scegli tu come e dove aspettarmi, puoi accendere la tv in soggiorno se vuoi, oppure, se preferisci, nel mio studio se riavvii il pc dovresti già trovare il word con i primi due capitoli del romanzo. Completi. O quasi. Credo. Non ho fatto altro che scrivere negli ultimi giorni. Ero uscito solo stasera per... Sai... Volevo vedere una cosa degli scavi dalla via del Mare. E poi vabbè, è successo tutto."

Aziraphale si concentrò su un punto esatto sul muro alle spalle di Crowley per non guardarlo più e non rispondere che sentiva l'esigenza di una bella doccia anche lui. Gelata. O di uscire in terrazzo a godersi un po' di grandine.

Se fosse stato un professionista serio il professor Fell sarebbe andato di corsa nello studio del collega a leggere i primi due capitoli mentre l'altro si faceva la doccia. E invece si fiondò nel bagno libero a respirare e bagnarsi di acqua gelida almeno polsi e tempie.

Così il professionista serio riuscì a riprendere possesso del suo corpo e a dirigersi in quello che era stato indicato come lo studio.
Era una stanza abbastanza spoglia, quasi severa, meno moderna rispetto a salone e bagno.
Al centro vi era un grosso tavolo affatto moderno, con sopra un portatile e un piccolo mappamondo e davanti una strana sedia. Pareva quasi un trono antico, dalle rifiniture dorate e ricoperto di velluto rosso. Sulle pareti l'unica decorazione appesa era una copia della Gioconda.
Aziraphale si accomodò sullo strano trono e avviò il pc.
Chiaramente veniva richiesto un pin che lui non conosceva e che magari Crowley aveva provato a dirgli mentre lui non lo stava minimamente ascoltando, impegnato come era a seguire con lo sguardo i capi di abbigliamento che via via venivano allontanati dal corpo scultoreo di Crowley e finivano poi sul pavimento.

Il suo sguardo cadde su una serie di post-it gialli attaccati al tavolo con varie indicazioni e frecce.

GAIO. COSA SUCCEDE DOPO AFFRANCAZIONE? Chiedere ad Aziraphale.

41 d.C.

Porto di Claudio.

Sempre sul tavolo vi era la copia di Caligola che Aziraphale gli aveva autografato circa un mese prima. Il professore provò uno strano piacere nel vedere che la teneva sul tavolo di lavoro. Anche se, data la periodizzazione scelta, era ovvio in effetti trovarla lì. Sotto quel libro ne intravide altri, almeno tre. I bordi delle copertine gli sembravano familiari.
Non resistette e si alzò per andare a sfogliarli.
Nerone. Commodo. Eliogabalo.

Tutti e tre erano suoi romanzi. All'autore mancò il fiato.
Avrebbe voluto aprirli, sfogliarli, vedere se Crowley usasse segnalibri o fosse uno di quei figli del demonio che piegano le pagine per tenere il segno, scoprire se fosse solito scrivere annotazioni. Magari avrebbe potuto fare delle dediche anche su quegli altri tomi. Avrebbe fatto piacere a Crowley? Oppure l'avrebbe vista come una violazione della sua privacy e della sua volontà? L'ossigeno era davvero troppo poco. Il professor Fell uscì dallo studio.

Sgattaiolò in soggiorno e si sedette compostamente sul divano a forma di L grigio antracite. Guardò di sfuggita l'orario su quello che pareva essere un grosso e costoso impianto stereo. Erano passate le due. Fuori il meteo non pareva migliorare.

Pochi minuti dopo si affacciò il collega, con un asciugamano in testa indossato a mo' di turbante e un accappatoio entrambi grigi.
"Ho perso la scommessa con me stesso. Ti immaginavo nello studio."
"Io... beh... Non ricordavo il pin del computer, non sono riuscito a..."
"Cavoli che sbadato. Sapevo di aver dimenticato qualcosa. Non puoi ricordarlo, non te l'ho proprio detto. È 6669. Ma non ti alzare. Ti raggiungo tra poco qui. Magari beviamo qualcosa. Il tempo di dare un colpo di phon."

Aziraphale si tolse anche la giacca. Iniziava a sentire davvero caldo in quell'appartamento.

Crowley riapparve con una tuta da jogging nera.
Si affrettò in soggiorno e iniziò ad aprire nervosamente una credenza dopo l'altra.
"Per quanto ti possa sembrare strano, ormai non bevo molto. Non ho vino o birre o cose in fresco. Le poche volte che bevo lo faccio per bene. Whisky, prevalentemente. Ma forse ho anche del rum. Temo di non avere dello sherry..." sembrava quasi in affanno. Nemmeno si voltò verso Aziraphale.
"Il rum mi piace. Specialmente col succo di pera."
"Scusami, temo di non avere nemmeno succhi di frutta o cose così. Però aspetta... Forse ho ancora..." in pochi balzi attraversò tutto l'open space e raggiunse il frigorifero nell'angolo cottura.

"Oh sì. Crema di limoncello? Me la consegna dopo ogni Natale una vecchia amica di mia madre. Dovrebbe essere praticamente nuova."
"Criminale."
"Come scusa?"
"Che sei un criminale, per il limoncello o creme varie impazzisco. Artigianali, poi. Andrò in ufficio strisciando domani."
Risero entrambi.
"Allora le dosi le faccio io." Ridacchiò il rosso prendendo due bicchieri.
"Nemmeno per idea. Porta tutta la bottiglia e nessuno si farà male."
Crowley rise ancora di gusto. Sistemò i bicchieri e la bottiglia sul tavolino di fronte al divano. Fece appena in tempo perché poi fu colpito da una raffica di starnuti violentissimi.

"Cavoli, hai preso freddo?"
"Nah, con questo adesso passerà tutto" rise indicando il whisky nel suo bicchiere sedendosi sul lato opposto del divano.
Aziraphale prese un sorso della crema di limoncello e non riuscì ad evitare di emettere dei suoni che esprimessero tutta la sua goduria.
"Divino, veramente. Fai i complimenti a quella signora."
"A me nemmeno piace."
"Meglio, ce n'è di più per me."

Crowley rise sguaiatamente. "Non ti immaginavo fan delle creme o del rum e pera. Sapevo che gli archeologi fossero dei birraioli convinti. E invece un così sofisticato professore..."
"Piantala. Adoro le cose dolci. Credo si intuisca." E si indicò il ventre. "E sì, mi piacciono anche le pere. Quelle che ci sono in questo periodo poi."
"No, per entrambe le cose. Non capisco a cosa ti riferisci riguardo il discorso sui dolci. E no alle tue amate pere. Sono granulose. Le mele vincono tutto."
"Banali le mele."
"A una mela puoi dire di tutto tranne che sia banale. Il frutto di Newton, di Paride, di Eva..."
Risero ancora.

Poi al secondo bicchiere di quella bevanda estasiante Aziraphale decise di togliersi quel sassolino dalla scarpa che rischiava di ombreggiare ancora tutta quella nottata.
"Perché hai rimandato l'incontro con gli editori? Prima hai detto di avere scritto molto."
Crowley mandò giù tutto il contenuto del suo bicchiere.
"È stato un periodo strano. Ho scritto molto, è vero, ma Isabella vuole proprio leggere qualcosa. Non le basta la sinossi. E vorrei illustrarle anche il terzo capitolo, dove c'è un importante punto di svolta. E poi vorrei vedere alcune cose con te... Solo che non mi sentivo... Pronto, ecco."
"E adesso, come ti senti?" Aziraphale non riuscì a guardarlo in volto, abbassò lo sguardo sui piedi scalzi dell'altro. Aveva mai visto i suoi piedi nudi, prima? Sembravano perfetti anche quelli. Abbastanza lunghi, affusolati, con le unghie curate.
"Sento che puoi leggere tutto quello che ho scritto e bruciare il pc se non ti dovesse piacere." E lo guardò fisso negli occhi.
"Oh, beh, non... non credo arriveremo a tanto. Però sono davvero curioso."

Un tuono fece sobbalzare entrambi. La grandinata aveva lasciato spazio a un temporale vero e proprio.
"Che nottataccia." Crowley si stiracchiò e sbadigliò.
"Vero... Credo che..."
"La camera degli ospiti." Tossì Crowley.
"Cosa?"
"Ho... beh... ho una camera degli ospiti. È raro che abbia ospiti. Cioè giusto mio padre ogni... Però ho una camera degli ospiti, potresti..."
"Oh. Grazie. Grazie davvero. Sei gentile."
"Ma finiscila. Non sono affatto gentile. E poi non sono io quello che deve essere ringraziato stanotte." E risbadigliò.

"Crowley credo sia il caso che tu vada a dormire. Io dunque andrò nella camera degli ospiti, oppure..."
"Oppure...?" Crowley si ridestò totalmente, schiena dritta e petto in fuori.
"No, beh, ora che mi hai incuriosito così tanto, pensavo di leggere i due capitoli."
"Ah. Certo. Il libro. I capitoli. Certo. Ottimo." Rispose meccanicamente.

"Posso aprire la mia posta dal tuo computer? Vorrei mandare una mail programmata a Muriel, non è il caso di scriverle ora. Però vorrei farle spostare alla settimana prossima quell'unica riunione che avrei domani. Era previsto anche un sopralluogo, ma con questo tempo...Forse mi prenderò un giorno. O andrò più tardi."
"Il mio pc ne sarà onorato. E mi sembra una buona idea per domani. Non vorrei tu andassi in ufficio strisciante per la crema di limoncello."
Entrambi si alzarono e mossero verso il corridoio.

"Nella camera troverai anche un bagno interno, dovrebbe essere tutto in ordine, ma chiamami se ti occorre qualcosa."
"Buonanotte Crowley" sussurrò il biondo spostandosi verso lo studio.
"E ricorda, 6669, è il pin."
"Credo sia difficile da dimenticare" ridacchiò il professore.
"Lo avevo scelto con un quantitativo di whisky in corpo ben più sostanzioso di oggi."
"Non avevo dubbi. Buonanotte, Crowley."
"Buonanotte, Angelo".



I capitoli scorrevano benissimo. L' incipit già in medias res era accattivante. Lo stile di Crowley era un po' diverso dal suo solito, risultava meno diretto e graffiante, ma era assolutamente piacevole e adatto al tipo di testo. Sembrava di immergersi subito nella storia, nell'epoca, nella vicenda. I due personaggi principali, così diversi tra loro, erano entrambi verosimili e già ben tratteggiati fin da quelle prime ventimila battute. Aziraphale era entusiasta. Veramente un livello altissimo per una prima stesura.
Aggiunse giusto un paio di note evidenziando alcuni riferimenti spaziali al testo, perché venivano nominati alcuni edifici non ancora presenti a Ostia all'inizio della loro storia, ma tutto il resto agli occhi stanchi dell'archeologo pareva interessante e ben scritto.

Anzi, avrebbe quasi voluto verificare se Crowley fosse ancora sveglio per chiedergli esattamente come proseguiva il terzo capitolo e come si arrivava alla svolta, ma non gli sembrò decisamente il caso. Poi, nella stessa cartella notò un altro word intitolato semplicemente "Word_3"

Quasi gli scappò un gridolino di gioia quando lo aprì e intuì che era l'inizio del terzo capitolo.
Aziraphale avrebbe continuato a leggere ancora e ancora ma la stesura si concludeva dopo tre pagine.

Per cui osò. Fece una cosa che non aveva mai fatto nella sua vita.
Bene o male sapeva quale era la svolta di quel capitolo, sapeva grossomodo come Crowley voleva proseguire la narrazione. Ne avevano già parlato. Per cui, cercando di aderire il più perfettamente possibile allo stile del collega, provò ad andare avanti di qualche pagina.

Chissà se a Crowley sarebbe piaciuto oppure no, se si sarebbe arrabbiato. Nel dubbio, evidenziò la parte da lui aggiunta in giallo, così sarebbe stata semplice da tagliare, nel caso in cui l'altro non fosse stato d'accordo con quell'invasione.

Aziraphale dopo quelle tre pagine scritte di getto si sentì veramente bene. Completo, leggero, come se fosse libero.
Iniziò ad avere molto sonno. Quella specie di trono antico era così comodo... Chiuse appena in tempo il portatile e si addormentò con la testa sulle braccia conserte sulla grande scrivania del collega.


Poche ore dopo qualcosa lo svegliò.
Probabilmente la luce che filtrava dalle tende (non aveva chiuso la serranda), ma forse anche qualche rumore, come dei violenti colpi di tosse che provenivano dalla camera di fronte.

Aziraphale, ancora vestito con quel maglione chiaro e il pantalone indossati rapidamente la sera prima, si stiracchiò e gradualmente si alzò in piedi. Poi si toccò la parte bassa della schiena. Una fitta lancinante.
Avrebbe pagato quelle ore di sonno in quella posizione così poco ortodossa per settimane.
E dire che avrebbe potuto utilizzare un'intera camera.

Poi attraversò il corridoio e si mise in ascolto dei suoni provenienti dalla camera di Crowley. La porta era solo accostata. La stanza pareva in penombra.
Altri colpi di tosse. Poi il respiro tornò regolare, ma rumoroso. L'altro era ancora a letto, sicuramente dormiva, per quel che poteva vedere Aziraphale.

Sarebbe stato brutto prepararsi la colazione in casa di Crowley?
La notte era stata lunga e movimentata. E un languorino allo stomaco si fece insistente. Dopotutto se fosse uscito per andare in un bar non avrebbe più avuto modo di rientrare e non era certo quello cui aspirava. Preferì aprire il modernissimo frigorifero a due ante di Crowley.

Si ritrovò davanti la rappresentazione visiva della parola desolazione.

Due uova, mezzo limone, una busta di insalata aperta e la bottiglia della crema di limoncello della sera prima. In quel frigo immenso in cui sarebbe potuto entrare anche lui senza nemmeno essere fatto a pezzi (certo che la casa di Crowley lo influenzava anche nei pensieri).

Sofferente, Aziraphale chiuse il frigo.
Intravide però le cialde della macchina elettrica del caffè e le tazzine. Almeno si fece un caffè. Ma non trovò né zucchero, né miele, né latte. Non era abituato a bere il caffè amaro come la vita, perciò lo mandò giù in un unico sorso.

Mentre lavava la tazzina, sentì provenire dalla stanza un violento accesso di tosse che durò svariati secondi.
Questa volta si diresse in camera dell'uomo.
Bussò piano con la punta delle dita.
"Tutto... tutto a posto?"
"Entra pure, Aziraphale." La voce di Crowley era debole e terribilmente roca. Al telefono con una voce simile non lo avrebbe mai riconosciuto.
Nella penombra lo intravide semiseduto su un letto matrimoniale gigante, forse un king size, a petto nudo e coperto fino a mezzo busto da un piumone scuro.

Inspirò profondamente prima di avvicinarsi e chiedere "Vuoi che tiri un po' su la serranda?"
"No, anzi sì, ma solo poco, per favore. È quel pulsante lì."
Il biondo pigiò appena il tasto della serranda elettrica. Poi si voltò verso Anthony.
Aveva i capelli umidi, forse sudati. Gli occhi semichiusi. A terra stazionava quello che sembrava il pezzo superiore di un elegante pigiama nero.
"Così o è troppo?"
"È perfetto." E il rosso si distese completamente.

Sforzandosi di non pensare al fatto di trovarsi di fronte ad Anthony Crowley, seminudo, in casa sua, nella sua camera da letto, a un passo dal suo letto king-size (Dio del cielo benedetto e sacrosanto) Aziraphale gli si avvicinò.
"Non hai una bella cera."
"Nemmeno tu."
"Ah, grazie. Ti ho rubato una cialda. Di Cremosissimo."
"Ottimo. Era una confezione di cialde varie, ma Cremosissimo non è decisamente il mio preferito. Bevine quante ne vuoi."
"Non lo avrei mai detto." Scherzò Fell. "Comunque non credevo fosse possibile vivere in una casa sugar-free."
"Perdono. Non faccio la spesa da un po'. Quando scrivo non mi rendo conto nemmeno delle ore dei pasti. Ma oggi vado, giuro. Anzi, il tempo di cambiarmi e passo al bar, così facciamo colazione."
"Non c'è problema Anthony. Sembra aver smesso di piovere, esco tra poco, devo dare da mangiare ad Albus."
"Oh, certo. Certo, hai ragione."

Un altro violentissimo colpo di tosse, Crowley sembrava non riuscire a riprendere fiato. Scostò il piumone e quelle che parevano delle lenzuola di seta nere.
"Caspita Anthony, hai davvero preso freddo ieri. Ti porto dell'acqua."
"No, tranquillo, devo comunque alzarmi, devo andare, beh..." e indicò la porta del bagno all'interno della sua camera.
Si alzò di botto, rimase qualche secondo fermo, si portò una mano alla fronte e ricadde indietro sul letto.
Aziraphale scattò al suo fianco.
"Anthony, io non credo sia il caso tu esca oggi." Istintivamente, portò una mano sulla fronte dell'uomo disteso a un braccio di distanza da lui.
"Ma hai la febbre! Hai qualche medicina in casa? Paracetamolo? Un anti-infiammatorio?"
"Ho tutto. Questa casa è una farmacia illegale. Ma non è nulla. Forse sono solo digiuno da troppo. Magari prendo un'aspirina."
"Non prenderai nessuna aspirina senza fare colazione prima."
"Okay, papà."
"Dai appoggiati, ti accompagno in..." e indicò la porta che prima aveva indicato Crowley.
"Oh, non, no, tranquillo, un minuto e sarò in grado di raggiungerlo da solo, promesso."
"Riesci... riusciresti anche ad aprirmi al citofono? Vado io a prenderti la colazione. A prenderci la colazione."
"Oh, certo, sì, sì, ce la farò, grazie."
"Cornetto? Cioccolato, crema, marmellata?"
"Cornetto semplice. Grazie... Aziraphale?" mormorò quando Aziraphale era già sulla porta.
"Sì?"
"Sei... sei un amico."
Aziraphale Fell annuì sorridendo e mordendosi la lingua.


Quando suonò a casa di Crowley (a casa di Crowley!!!) col sacchetto della colazione e svariate bustine di zucchero, lo trovò in piedi, di nuovo in tuta e con i capelli ben legati. Il viso però pareva ancora molto sbattuto.
"Che bustona! Quante cose hai preso?"
"Il necessario."
Crowley rise e allungò le braccia. Per una frazione di secondo, la parte ormai andata del cervello di Aziraphale pregustò una specie di abbraccio. Invece semplicemente gli fu tolto il sacchetto dalle mani.
Fell espirò.

Si sedettero entrambi al tavolo del soggiorno. Aziraphale aveva appena convinto il raffreddato a prendere almeno due cornetti per mandare giù qualche medicina, quando il telefono di Crowley squillò.

"Te lo prendo io" si offrì il biondo cercando l'origine del suono.
"Grazie. Che palle, sarà Isabella. Già ieri non le ho risposto. Oggi verrà ad uccidermi. A mani nude."
"Vuoi che risponda io? Magari posso dirle che stai ancora dormendo..."
"Meglio di no. Sai, preferirei..."
"Certo, scusa. Hai ragione."
Poi preso lo smartphone in mano aggiunse: "Oh, è un numero fisso. Che non hai registrato."
Crowley aprì la telefonata.
"Pronto? Ah, certo, buongiorno. Sì, sì. Oh ma davvero? Certo, sì, dopo pranzo. Senz'altro. Grazie, grazie davvero."

Esplose in un colpo di tosse subito dopo aver riagganciato, ma il suo volto era diverso, luminoso, felice. Il viso di qualcuno che ha ricevuto una bella notizia e si è tolto un macigno dall'anima.
"Era... Era la clinica. La gatta è in dimissione. Posso andare a prenderla nel pomeriggio."
"Oh, Crowley, sono così felice."
"Già."
"Ma... Hai pensato di adottarla tu?"
"Io? Diamine, non ci avevo mica pensato. Non credo proprio di essere in grado di tenere in vita un altro essere vivente."
"Le tue piante mi sembrano offese. Specie quella sequoia laggiù."
"È una monstera." Rispose sorridendo e mostrando la dentatura sottile e affilata. "E non è affatto facile tenerle così in salute."
"Pensaci, altrimenti mi mobilito con Maggie."
"O...Okay, angelo."


"Prendi un paracetamolo, così starai meglio. Io mi avvio. Altrimenti Albus mi staccherà una gamba e farà colazione con quella non appena entrerò a casa."
"Secondo me stare qui con me ti sta rendendo ancora più simpatico, sai?"
Aziraphale ridacchiò. E sentì le guance scaldarsi.
"Però dovremmo... Dobbiamo parlare della storia! L'ho letta tutta stanotte!"
"L'hai letta tutta stanotte? E quando pensavi di dirmelo? Che ne pensi?"
"Veramente un ottimo lavoro, Anthony. Ma ne riparleremo con calma, intesi? Quando starai meglio, magari. Comunque ti ho scritto tutto, commenti, osservazioni, pochissime correzioni e... una piccola sorpresa nel terzo word."
"Nel terzo word? Oh no. Odio le sorprese. Ti prego dimmi tutto. Ora. ADESSO!"
"No, altrimenti il tuo prossimo romanzo avrà per protagonista un serial killer a pelo lungo e quattro zampe."
Anthony rise di cuore. "Sarebbe un successo assicurato. Va bene, sei libero... Ma ci possiamo sentire?"
"No. Passo nel pomeriggio. Con la gatta, se sei d'accordo. Intanto potresti provare a ospitarla, no? Poi parleremo con Maggie."
"Signor sì. Sai, quando sei così autorevole, sei..."
"Sono...?"
L'altro tentennò. "Niente. Senti, ti lascio la carta di credito, senza dubbio ci sarà da saldare la clinica. Il pin è..."
"No, scordatelo. Non mi assumo altre responsabilità oltre a trasportare gatti. E ne ho abbastanza dei tuoi pin allusivi." Risero.
"Faremo i conti più tardi. Quando starai meglio. E se sarai in condizioni di uscire vorrei accompagnarti a recuperare la macchina."
"La Bentley! Stavo dimenticando la mia adorata Bentley! Come diamine..." Crowley mandò giù una pasticca con mezzo bicchiere d'acqua.

"Per cui per favore fatti trovare in forma. Ho proprio voglia di scrivere. Con te" pronunciò le ultime due parole con voce più bassa.
"Sì." rispose l'altro con un filo di voce.

"E inizia a pensare un nome per la gatta. Non si sa mai".
"Siamo proprio sicuri sia una femmina?"
"Sì i gatti col pelo così sono praticamente solo femmine. Le definiscono tartarugate."
"Tartaruga... Uga? No, ti prego, sono pessimo. Non ho mai battezzato nulla di vivente. Aiutami, per favore."
Aziraphale rise. "Secondo me devi prima guardarla per bene prima di sceglierle un nome. Comunque Uga non è male, dai. Altrimenti, visto che ieri era San Valentino, potrebbe essere carino qualcosa come Valentina o un più gattesco, Tina."
"Ieri era San Valentino? Ma veramente?" il rosso rimase a bocca semiaperta qualche secondo e starnutì tre volte consecutive.
Aziraphale era ormai sulla porta.
"Già."
"Avevo proprio perso il conto dei giorni, per me poteva essere ancora gennaio. Tina è molto carino."
"A dopo, caro. Riposa mi raccomando." e simulò sorridente lo scrivere a macchina con le dita.
Crowley deglutì. "A dopo, angelo."

Penna d'angelo, penna di demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora