Capitolo 4

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Capitolo 4


Venerdì 19 gennaio


Aziraphale Fell aveva avuto una settimana lavorativa molto intensa.
Solo quel venerdì finalmente era riuscito ad arrivare in palestra in anticipo rispetto all'inizio della sua lezione. Le volte precedenti era arrivato appena in tempo per allenare i suoi allievi. Ma finalmente aveva mezz'ora da poter dedicare a sé stesso prima di immergersi nel ruolo che tanto amava.
Indossò il pantalone del karategi e una t-shirt bianca. In seguito sarebbe ripassato in spogliatoio per la giacca e la cintura per la lezione.

Prima di uscire si guardò allo specchio. Ogni settimana lavorativa così intensa si rifletteva poi sul suo corpo. Aveva il collo indolenzito e la sua posa generalmente così fiera, era sì, sempre rigida, ma la parte alta della schiena pareva quasi curva. Il lavoro alla scrivania tra riunioni infinite e centinaia di pratiche da studiare e firmare lo ingobbiva. Aveva due borse evidentissime sotto gli occhi. Dormiva meno del solito e molto male. I pensieri si accavallavano in una folle lotta ogni notte. E il ventre pareva sempre più tondo. Un piccolo palloncino gonfio. Non sopportava vedersi così. O meglio, lo accettava eccome dopo le feste natalizie, ma in seguito a pranzi allegri con amici e vino, o a delle vacanze culinarie. Dopo periodi felici e mangerecci. Ma le feste trascorse da poco non erano state affatto rilassanti e goduriose. La pancia era sicuramente causata dalle abbuffate da stress, dai pasti irregolari, dagli snack non necessari.
Il pensiero per superare la settimana era stato uno solo: il sabato.

Era elettrizzato all'idea di tornare a passeggiare con Crowley, mostrargli ogni angolo di Ostia Antica, condividere un paio di idee che gli frullavano in testa per il romanzo. Da quanto tempo guizzi e lampi letterari non arrivavano alla sua testa? Finalmente si sentiva sbloccato, come se si fosse tolto almeno su quel fronte un grosso peso dalle spalle. E poi quello scrittore lo intrigava. Aveva delle idee fresche, alcune geniali, era appassionato, amava quello che scriveva. E poi beh, lo trattava con una devozione tale che a volte lo faceva sentire inadeguato. Non credeva di poter essere degno di una simile reverenza. Non era mai stato trattato così da un uomo così dannatamente affascinante.

E invece il meteo attuale e le previsioni per tutto il fine settimana non lasciavano scampo: pioveva ininterrottamente dalla mattina ed erano previsti rovesci e temporali fino al lunedì. Per cui era tutto maledettamente rimandato.

Si erano mandati alcuni messaggi in quei giorni. Perlopiù iniziava Anthony che aggiungeva qualcosa al loro schema narrativo o proponeva qualche periodizzazione per la storia. E Aziraphale cercava di rispondere sempre entro pochi minuti. Gli ultimi messaggi erano di quel giorno in pausa pranzo. Anthony gli aveva mandato lo screenshot delle previsioni prese da internet con un'emoticon triste. Aziraphale nel vedere l'anteprima del messaggio col nome dello scrittore accompagnato dall'icona di una fotografia aveva sentito lo stomaco spostarsi e il respiro farsi corto, ma aveva cercato di non dargli peso, accusando il panino alla n'duja con cui stava pranzando. E quell'emoticon. Era la prima emoticon ad apparire in quella chat, fino a quel momento molto professionale.
Avrebbe voluto rispondere con una fila di emoticon piangenti, ma alla fine la professionalità aveva prevalso e aveva risposto con un:

Ci rifaremo. Prossimo weekend?
(senza emoticon)

Pollice su, pollice su, pollice su.

E qualche secondo dopo Crowley aveva anche aggiunto:
Domani posso chiamarti? È per un consiglio tecnico. Ma faccio prima a voce.

Certamente, quando vuoi.

Poi l'ultima riunione lavorativa lo aveva assorbito e condotto lontano da quella piacevole parentesi.



Il maestro si avvicinò alla porta dello spogliatoio, i suoi allievi non erano ancora arrivati. Guardò l'orologio a muro: aveva ben venticinque minuti per scaricare un po' di stress e anche un po' di pancetta magari.

Il suo sguardo cadde sulla panca dove aveva intravisto per la prima volta quello che poi aveva scoperto essere il suo nuovo collega. Ma non sembrava esservi nessun borsone nero. Non si erano più incontrati in quella sede. Il corso di pugilato finiva troppo presto rispetto al suo corso. Ma ad Aziraphale veniva sempre spontaneo controllare quella panca.
In sala, i tapis roulant e le ellittiche erano tutti occupati. Per cui si avvicinò a qualche attrezzo tra quelli che sembravano strumenti di tortura, nella parte della palestra meno affollata, vicino alla sua sala tatami. Scelse la pressa. Avrebbe allenato i quadricipiti e i polpacci.
Il peso con cui la caricò era assolutamente alla sua portata. Dopo cinque serie da venti ripetizioni si ritenne soddisfatto e provò a sbloccare il meccanismo per lasciare il macchinario e dedicarsi ad altro. Alla panca per gli addominali, magari.
Ma l'attrezzo non reagì. Spinse ancora un paio di volte le gambe per far sì che qualcosa cambiasse nel meccanismo ma inutilmente. Tirò con vigore nuovamente la leva ma nulla. Ancora e ancora, ma niente. Era di fatto incastrato lì. Con sessanta chili da sostenere con le gambe in eterno. In effetti i macchinari in quella palestra erano tutti un po' datati e sicuramente poco oliati, ma rimanere a gambe in su, bloccato da una pressa, non era esattamente come voleva apparire ai suoi allievi che a breve lo avrebbero raggiunto per recarsi nella sala a pochi metri. Si sentiva davvero...

"In trappola, Angelo?"
Un uomo di bell'aspetto e rosso si affacciò sulla pressa e guardò il biondo all' incontrario. Una visione. Un miracolo. Altro che daimon, demone o come voleva passare.
"Crowley!"
"Shh. Crolli o Antonio qui!!" sibilò in modo strano il pugile, forse aveva il paradenti per l'allenamento in bocca.
"Oh, scusa."
"Sembra una fortuna che io sia passato qui in questo momento." Gli sorrise. Sì aveva decisamente un paradenti. Rosa.
"Suppongo di sì." Il karateka cercò di sorridergli di rimando ma iniziava a non sentire più le gambe.
"Dunque, prova a spingere con le gambe, io intanto..." il pugile si posizionò al suo fianco. La maglia grigia che indossava presentava dei vistosi aloni di sudore all'altezza del petto. Aveva i capelli legati in un cipollotto alto, ma una ciocca umida e ondulata, sfuggita all'elastico, cadeva sbarazzina davanti a una spalla. Gli occhi liberi da qualsiasi lente parevano sorridere nell'incontrare quelli del maestro.
Aziraphale si voltò verso l'uomo che adesso era a pochi centimetri da lui. Nonostante paresse sudato, emanava un ottimo odore che il karateka non poté evitare di aspirare. A prevalere era il profumo di bucato, ma vi era anche qualcosa di deciso ma piacevole, sembrava muschio, forse un deodorante.
Poi Crowley poggiò una mano sulla sua e insieme tirarono la leva. La mano del pugile era fasciata dal bendaggio, ma la presa era comunque salda, le sue dita a contatto con quelle di Aziraphale erano calde, lisce, era una mano ben curata per essere la mano di un pugile, di un atleta.
Il suo aiuto fu fondamentale. La leva trascinò con sé la base del macchinario che finalmente si andò a fissare nell'apposito alloggiamento. Aziraphale era libero.
Gli sfuggì un risolino sollevato.
"Devo proprio ringraziarti."
"Ma figurati, per così poco."
"Ti sembra poco? Mi hai salvato da un bell'imbarazzo."
Il rosso rise, di gusto.
"Dai, mi offrirai da bere."
"Sicuro. Stasera hai impegni? Potremmo beh... Volevi parlare del libro, giusto?" dove trovò quel coraggio, Aziraphale non lo seppe mai.
"Sta... stasera?" balbettò il rosso. Sembrava preso alla sprovvista.
Aziraphale si rese conto di aver osato troppo. E si pentì dell'ardita proposta.
"Nessun problema se hai da fare, capisco. Avevo pensato a dopo gli allenamenti, ma tu hai già concluso, credo. Io devo ancora allenare i ragazzi... Era una sciocchezza. È venerdì sera, avrai sicuramente di meglio da f..." iniziò a tentennare e a parlare a vanvera ma fu interrotto.
"Nessun impegno. Stasera è perfetto. Faccio qualche macchinario mentre tu tieni il tuo corso. E ti aspetto al parcheggio, dopo la doccia." Sorrise appena e sorrisero anche i suoi occhi d'oro.
Qualcosa nel petto di Aziraphale sprofondò nel suo addome con violenza e rimbalzò in alto, forse nella trachea.
Sorrise come un ebete. Sì era senz'altro il suo sorrisino da ebete. Capiva quando lo faceva.
"Allora perfetto, tickety-boo."
Fantastico. Adesso dopo le parole a vanvera gli uscivano anche le espressioni di nonna Adele.
"Tickety-boo?" rise il rosso. "Erano secoli che non sentivo quest'espressione."
Aziraphale si morse la lingua. Ci mancava solo che gli scappasse che era un'espressione di sua nonna.
"Vado a mettermi la giacca del kimono ed entro in sala. A dopo" e si salutarono con la mano.


Quell'allenamento volò. Aziraphale si riscaldò con i ragazzi, poi la lezione fu incentrata su un ripasso di tre kata superiori, oltre ai pinan per gli allievi meno esperti.

In spogliatoio fu più veloce del solito a prepararsi e ringraziò il cielo di avere una camicia pulita di riserva nel suo armadietto. Per le emergenze. Quella, decisamente, lo era. Per il resto, indossò il completo color sabbia che aveva avuto al lavoro quel giorno. Non indossò il papillon. Non lo indossava mai dopo gli allenamenti. E poi il tempo per allacciarlo quella sera era davvero prezioso.

Trovò il pugile davanti alla sua macchina nel piazzale di fronte alla palestra.
Per fortuna aveva smesso di piovere. Ma l'aria era decisamente fredda e umida. E le nubi che affollavano il cielo non promettevano una grande nottata.
Crowley aveva gli occhiali sopra la testa, anche se oltre che coperto il cielo era ormai buio, lo stesso cappotto del loro primo incontro professionale e un jeans nero sbiadito all'altezza delle ginocchia. La capigliatura sciolta e perfettamente ondulata. Era più bello che mai.
"Allora, dove vanno a bere gli angeli da queste parti?"

Aziraphale non aveva minimamente pensato a un posto dove andare. Erano secoli che non andava a bere di venerdì sera. Iniziò a fare mente locale. Poi gli sovvenne il locale dove anni prima aveva conosciuto Nina. La gestione era cambiata, ma la proprietaria, una minuta donna francese, era cordiale. L'ambiente grazioso e illuminato in maniera non eccessiva. Sarebbe stato perfetto per Crowley. E poi era letteralmente a due passi da casa sua. Se avesse bevuto troppo non avrebbe dovuto guidare.

"Te lo mostrerò. Seguimi."
"Oh no ti prego. Mandami l'indirizzo e ci incontriamo lì" rispose il rosso divertito.
"Ah va bene." Rise Fell un po' indispettito. "Sarà tua missione allora trovare un parcheggio lì vicino."
"Senz'altro." Risero entrambi.

Le rossignol era un piccolo e grazioso locale a Ostia lido, non lontano dal mare. Era sia pub che tavola calda, hamburgeria e pizzeria.

Justine salutò caldamente l'archeologo, si presentò al suo accompagnatore e propose loro un tavolo tranquillo nella zona più riservata del locale. Ordinarono due birre, poi Aziraphale si lasciò tentare dall'hamburger del giorno. Crowley impiegò più tempo nella scelta. Alla fine scelse un filetto alla griglia in un letto di rucola.

Fu il rosso poi a rompere il silenzio mentre attendevano le portate.
"Ci sono usignoli a Ostia?"
"Cosa?"
"Scherzavo sul nome. Non conosce il francese, professor Fell?"
"Oh no, sono pessimo in francese. Sono stato anche alla Sorbona vent'anni fa, ma adesso ricordo solo bonsoir e bonjour."
"Nemmeno bonne nuit?"
"Peut-être." osò con una pronuncia decisamente maccheronica.
"In che lingua comunicano gli angeli?"
"Quelli che non sono editori, spero tu intenda." E risero. "So un po' di giapponese, per il karate ovviamente. Ah, e sono forte in greco. No, non guardarmi così, non solo antico. Ho vissuto ad Atene dieci anni fa."
"Dieci anni fa" ripeté Crowley pensieroso giocando con la forchetta.
"E i demoni, in che lingua tentano?"
"Scozzese di Glasgow, senza dubbio."
Risero di gusto.
Poi arrivarono le birre.
"Non credevo fossi tipo da rossa." Scherzò colui che di rosso aveva i capelli.
"Potrei dire lo stesso. Non sembri un tipo da bionde."
"Un tempo non lo ero in effetti. Solo brune." E gli strizzò l'occhio.

Quando arrivarono anche le portate la conversazione rallentò e si spostò sulla qualità dei piatti.
"Bel gioiellino questo posto. Non lo conoscevo."
"Io lo conosco da decenni, da molto prima di abitare in zona. E pensa, è qui che conobbi Nina. Tu dove abiti?"
"All'Eur."
"E cosa ti spinge a frequentare una palestra a mezz'ora d'auto?"
"A mezz'ora d'auto se guidi tu." E gli strizzò nuovamente l'occhio. "Mi piace l'ambiente. Shax è una furia. I suoi allenamenti sono variegati e interessanti. Non è la tipa che ti abbandona a mezz'ora di ripetute. Sa il fatto suo. E poi lì dentro nessuno conosce The Snake. Il che fa guadagnare punti persino alle presse difettose."
Ad Aziraphale scappò una risata imbarazzata.
"Ah the Snake era il mio nome da pugile, forse avrei dovuto specificare."
"Forse mi era stato detto." Aziraphale strizzò un occhio. "O magari ci sarei arrivato..." e arrossì lievemente a ricordare il grosso tatuaggio sulla schiena del collega, nudo in doccia.
Il rosso fece per proporre un brindisi ma i bicchieri di entrambi erano praticamente vuoti.
"Ordino altro? Dell'acqua, magari?"
"Acqua solo se santa, offerta da un angelo."
"Non sarebbe pericoloso per un daimon?"
"Oh sì, mi liquefarebbe all'istante. E la chiazza che lascerei sul pavimento sarebbe ben difficile da lavare per la tua amica."
"Sei sempre così... torbido?"
"Sono un demone. È la mia natura. Comunque un whisky andrà benissimo."

Quando tornò la cameriera richiesero le successive bevande che arrivarono dopo pochi minuti.
Un Talisker per Crowley, uno sherry per Aziraphale.
"Alle presse difettose" propose il brindisi il rosso.
"Alle presse difettose" gli fece eco il collega.

Mezz'ora dopo, a piatti e bicchieri vuoti, la conversazione proseguiva a briglia sciolta senza essere mai, nemmeno per sbaglio, ricaduta in ambito professionale o letterario.
Aziraphale era così felice di poter conoscere meglio quel collega, quell'uomo così interessante, che pur pensandoci non chiese a Crowley nulla al riguardo.
Il pugile gli stava raccontando delle sue brevi esperienze universitarie.
"Due fallimenti totali. Astrofisica fu proprio un salto nel buio. Non avevo proprio la preparazione necessaria in matematica. Già ai primi esami mi bloccai. Ma lo spazio, i pianeti, le stelle hanno continuato ad affascinarmi, ho letto e studiato svariati libri da autodidatta. Avevo anche un telescopio professionale fino a qualche anno fa. Ci passavo intere nottate. Ma uno degli ultimi traslochi gli fu fatale."
"No, che peccato! E che coincidenza essere approdato a una casa editrice chiamata Alpha Centauri, allora!"
"Coincidenza? Assolutamente no, ho scelto la casa editrice cui mandare il primo manoscritto proprio per il nome. Quasi non ci credevo quando dopo un mesetto risposero positivamente."
"Ed eccoci qui."
"Ero indeciso con la casa editrice Aldrovanda."
"Ammettilo, ti eri fermato alla A nella ricerca di un editore."
"Beccato! Ma anche in onore dell'altra carriera che forse in un'altra vita avrei intrapreso."
"Spara."
"Non sai cos'è un'aldrovanda?"
"Dovrei?"
"È una pianta carnivora con la trappola dal meccanismo a scatto. Però acquatica. Non è di quelle che prendono le mosche, quelle sono le dionee. Le avrai senz'altro viste in qualche film. O documentario." E simulò una bocca di coccodrillo con le mani.
"Ah, capito quale intendi. Dunque in un'altra vita avrei avuto di fronte un biologo?"
"Forse. Un botanico per l'esattezza. Ma non andò in porto nemmeno quel percorso. Non sono riuscito a coniugare l'agonismo sportivo con lo studio universitario. Anzi, sono curioso. Tu come ci sei riuscito?"
"Ma io non mi sono mai lontanamente avvicinato ai tuoi livelli sportivi, Antonio. Ho preso i dan, certo, ma le gare le ho smesse, pff, intorno a vent'anni. Poi mi sono sempre dedicato all'insegnamento. E poi ho sempre dormito poco. Il che mi è utile anche adesso."
"No, angelo, fa malissimo non dormire."
"Caro, sono così da sempre. Fin da bambino."
"No, per Satana, io dormirei anche qui adesso."
"Vuoi che inizi a chiedere il conto?"
"No, non intendevo... Era per dire."
"Ah, ecco..." il biondo ingoiò un menomale.

"Hai parlato di insegnamento. Come mai invece hai smesso di insegnare all'Università? Non avevi già vinto il concorso, giusto? E sembri amare insegnare, appunto."
"Non c'è abbastanza alcol in questo locale per parlare di questo."
"Uh, non voleva essere una domanda scomoda. Ma adesso mi hai troppo incuriosito." Un guizzo nello sguardo del rosso, fece venire la pelle d'oca al divulgatore.
"Non sono abbastanza alticcio per parlare di ex, Crowley."
"Stai peggiorando la mia curiosità, angelo. Se oserai tacere soffrirò tantissimo."
"Te ne parlerò prima o poi. Magari quando mi parlerai della tua rottura con la boxe agonistica. Anche io ho delle curiosità" sussurrò Aziraphale con un piccolo ghigno di sfida.
"Ah, un habanero per un habanero, eh? Affare fatto. Io ho bevuto a sufficienza. Ma preferirei non parlarne qui. Però potremmo... Abiti qui vicino?"

Fell non era abbastanza brillo per non sentire il cuore martellargli nelle orecchie a quella domanda. Quell'uomo si stava autoinvitando a casa sua? A quell'ora?
Il professore cercò di portare alla mente quando fosse passata la colf. Quella mattina. Perfetto. La casa era presentabile.
"Letteralmente a dieci passi."
"Oh, perfetto. Hai da bere a casa? Non eri abbastanza ubriaco per..."
"Del vino sicuramente. Anzi, così smaltiamo qualche regalo natalizio: non avevo idea di quanti panettoni e bottiglie potesse ricevere un direttore di un piccolo parco archeologico. Lo avrei fatto molto prima quel concorso, altrimenti."
"Se la metti così, sono pronto a immolarmi per la causa. Non si spreca del vino. Mai. Nemmeno se regalato."

Dopo essere usciti dal locale, il biondo gli fece strada verso il villino che aveva acquistato e fatto ristrutturare appena ricevuto l'esito del concorso. Stava pioviccicando appena, ma dovendo attraversare solo due isolati Fell non se ne curò e il rosso lo seguì.

Per anni quando passeggiava su quel lungomare (una delle sue attività preferite in qualunque stagione) aveva letto il cartello vendesi. Ed era sempre stato un sollievo vedere che, nonostante il grande cartello, nessuno acquistava quella splendida proprietà. Probabilmente era per il prezzo spropositato rispetto ai lavori da fare ma ad Aziraphale piaceva pensare che fosse quasi un segno che quella splendida casa aspettasse proprio lui. Per cui appena confermato in quel ruolo, aveva venduto l'appartamento al Torrino e chiamato poi quel numero che ormai sapeva a memoria.

"Ecco, esattamente qui." Disse, mentre iniziò a cercare le chiavi nelle tasche del cappotto. Che ovviamente, nervoso com'era, non trovava.
"Cielo-terra, stile liberty, color crema. Questa casa urla Aziraphale Fell da ogni mattone. Sei in affitto o è tua?"
"È mia, ho venduto la casa di prima appena saputo del concorso. Era una vita che sognavo di abitare vicino al mare e ho colto l'occasione. Era da ristrutturare, ovviamente, ma da circa tre mesi è quasi a posto. Tranne il secondo piano, quello è da sistemare ancora." Disse tutto d'un fiato.
Entrarono nel giardino attraverso il portoncino in ferro battuto. Le luci da giardino a pannelli fotovoltaici facevano il loro dovere nonostante il meteo. Il giardino faceva la sua bella figura. Ogni angolo caratteristico ne usciva esaltato. Il piccolo vialetto, la fontana di pietra, il portico. Fell trattenne un sospiro di sollievo.
"Ma che bel pergolato! E quelle siepi! Curi tu il giardino, angelo?"
"Ti ricordo che sono quello che non conosce nemmeno le piante carnivore dei cartoni animati, mio caro. Mi faccio aiutare. Altrimenti sarebbe un cimitero per piante."
Risero.
Poi non appena aprì la porta di casa, Fell chiamò: "Albus! Tesoro, sono a casa!"
Il rosso dietro di lui si irrigidì e spalancò la bocca.
"Ma non... Hai... hai un... abiti con qualcuno?" balbettò a fatica.
Poi un miagolio provenne dall'uscio.
Mentre chiudeva la porta alle spalle del collega, Aziraphale rispose sorridendo: "Certo, vivo con Albus. Proviene dalla colonia felina di Maggie. Era un vecchio scheletrino malandato, aveva bisogno di vivere in casa. Mi ha quasi scelto. Mi seguiva fino in ufficio." Prese in braccio il gatto dal pelo chiaro e lo avvicinò al suo ospite.
"E che lavoro magnifico hai fatto. È proprio un bel gattone. Guarda che bel pelo."
Anthony avvicinò un dito al muso del gatto che annusò incuriosito l'intruso e si strofinò poi sulla sua mano.
"Ma guarda, già gli stai simpatico. Non ricevo molti ospiti, non credevo avrebbe reagito così bene. In genere è molto restio con gli estranei."
"Ma io non sono un estraneo Albus, vero? Mi chiamo Anthony, micio bello." E continuò ad accarezzarlo sopra la testa e dietro le orecchie.
Poi il padrone adagiò il gatto al suolo e si sfilò il cappotto.
"Lì c'è l'attaccapanni. Puoi posare le tue cose. Vado a dargli da mangiare in cucina e torno. Puoi aspettarmi in salotto: è esattamente dopo quell'archetto a destra. La porta di fronte è invece il bagno di servizio nel caso in cui volessi lavarti le mani oppure..." Diede quelle indicazioni senza voltarsi e seguì il gatto in cucina.

Quando tornò dal suo ospite lo trovò già accomodato su uno dei divani. Aveva un braccio mollemente abbandonato su un bracciolo e le gambe allungate fin sotto il tavolino. A Fell non sembrava una posizione esattamente comoda.
Il biondo aveva portato con sé una bottiglia e un cavatappi. Posò tutto sul tavolinetto di vetro tra i due divani e iniziò a cercare due calici in una credenza.
"Dunque, eccoci qui."
Nonostante l'alcol già in corpo prese ben coscienza di dove si trovasse e con chi e iniziò a sentirsi ulteriormente nervoso. Eppure era stato a suo agio tutta la sera. Cercò di respirare con calma. Presi i calici, li posò accanto al cavatappi. Anthony aveva già preso in mano la bottiglia.
"Un chateau-neuf du Pape. Perché non mi sorprende trovare una bottiglia simile in casa di un angelo?"
"E non è nemmeno l'artiglieria pesante." Riuscì a scherzare il professore.
"Riscaldiamoci subito allora."
Il pugile aveva tolto anche la giacca oltre al cappotto. Il maglione nero gli arrivava a metà del lungo collo, ma lasciava ben scoperto il pomo d'Adamo. Lo guardava sorridente senza occhiali da sole, con gli occhi resi ancor più dorati dalla luminosità calda delle tenui lampade del salotto, mentre gli porgeva uno dei calici e andava a sedersi sul suo divano. Nel suo salotto. In casa sua.
Aziraphale aveva decisamente bisogno di bere.

Dopo un paio di bicchieri Fell aveva già vuotato il sacco.
Raccontò al collega della fine della sua carriera come professore universitario. Della storia con Davide, fin dagli albori. Non voleva essere giudicato male anche da lui per aver preso una sbandata per uno studente. Un dottorando, certo, un ventisettenne. Non di certo una matricola. Ma lui aveva quasi dieci anni di più. E quel ruolo... Per cui gli raccontò dei primi tempi, dei caffè di nascosto, delle settimane sullo scavo, delle infinite revisioni della tesi... Capitolare a quella corte divenuta ormai spudorata era stato inevitabile. E poi ci aveva creduto davvero. Si era davvero innamorato. Aveva persino pensato di essere ricambiato in maniera disinteressata. Mentre l' altro probabilmente l'aveva semplicemente usato per studiare meno e concludere con la lode. E divertirsi a far inquietare la famiglia, senza dubbio.
Senza sottolineare l'effettiva durata di quella storia, ne descrisse poi il drammatico epilogo. L' opposizione della facoltosa famiglia di Davide, l'ostracizzazione nel dipartimento, il tragico addio all'amato e le dimissioni quasi obbligate. Il ruolo accettato alla Scuola Archeologica di Atene in fretta e furia. Non voleva suscitare alcuna pietà in Crowley, voleva solo essere sincero. Dopotutto lui aveva domandato e Aziraphale aveva risposto.
Secondo l'archeologo la sincerità doveva essere alla base del loro rapporto se volevano funzionare professionalmente. Trovò giusto che Crowley conoscesse questo suo bagaglio di esperienze. Più si conoscevano, meglio avrebbero potuto svolgere insieme un lavoro così intimo e personale come scrivere un romanzo.
A fine racconto scolò un terzo bicchiere di vino.
"Dunque hai avuto un Bosie, caro il mio Oscar." Mormorò Anthony a fine narrazione.
"Un... Cosa?"
"Dai, la biografia di Oscar Wilde la avrai presente."
"Da sobrio sicuramente di più."
"Beh non hai mai riscontrato un'analogia con la tua vita?"
"Uhm, qualcosa, in effetti, magari... ma ti prego, ho bevuto troppo per parlare di letteratura, perdonami, non sono solito bere molto."
"Ma come, e io che volevo dilungarmi in una lunga dissertazione sul Ritratto di Dorian Gray e la sua importanza per la narrativa noir e quanto io ne sia stato influenzato per l'avvicinamento al punto di vista dell'assassino..."
"Pietà."
"Accolta. Comunque scherzavo. Ho bevuto anche io, non si sente? E poi ti devo il mio habanero."
"Non è necessario, Anthony. Parlare con te è stato liberatorio, non ho bisogno di nulla in cambio, davvero."
"Beh, allora sarà liberatorio anche per me. Fammi solo capire da dove iniziare." Finì anche lui il suo secondo bicchiere e si massaggiò una tempia.
"Dunque, non è una storia nemmeno così tanto lontana dalla tua, in fondo, sai?"
"Sc... Scusa? Io credevo..."
"Allora, ipotizzo che qualcuno ti abbia detto che una decina di anni fa ebbi un problema di salute, diciamo importante, che mi tenne lontano da ring, palestra e guantoni per un bel po'. Tre anni pieni. Quando iniziai a stare davvero meglio, post terapie, approdai in una nuova palestra, dati i vari problemi avuti con la precedente società non solo legati alla malattia, ma anche a tutta la gestione della fine della carriera professionistica, agli sponsor e ad altre rogne allucinanti che ti risparmio... In breve avevo bisogno di cambiare aria."
"Ma adesso stai bene sì?" quel terzo bicchiere aveva tolto ad Aziraphale ogni filtro testa (o quel che ne rimaneva) bocca. Ricordò qualche frase della Zebu. E la cicatrice sull'addome di quello splendido pugile sotto l'acqua della doccia. "Ma tutto questo vino puoi berlo? Non..."
"No. Tecnicamente non dovrei. Ma non succede spesso. Solo in occasioni speciali. Anzi, ormai reggo pochissimo. Da ragazzo ho davvero esagerato invece." E si spostò delle ciocche di capelli quasi a creare una mezza coda ma che poi non legò.

"Dicevo, il nuovo maestro mi raccolse letteralmente col cucchiaino. La prima volta che tornai ad allenarmi non riuscivo a fare nemmeno tre minuti di colpi liberi al sacco. Nemmeno un giro di corsa intorno all'isolato. Ma ebbe una pazienza infinita con me. Puntò su di me come nessuno nella vita. Si dedicò quasi totalmente a me giorno e notte. In un anno o poco più riuscì a riportarmi sul ring. Non ai livelli pro di una volta ovviamente, ma mi tolsi delle belle soddisfazioni."
"E allora com'è finita?"
"Sua moglie ci trovò a letto insieme. Dopo mesi sul filo del rasoio era solo questione di tempo, dopotutto. Non fummo così, diciamo, sufficientemente attenti. Eravamo troppo, ehm, appassionati." E fece un sorrisetto sghembo rivolto al bicchiere più che ad Aziraphale.
"Ah." Mormorò appena il biondo. Ingoiando una valanga di parole e gridolini che non vedeva l'ora di poter emettere.

Stesso campionato. Stesso campionato!!!
Si morse la lingua. Ma possibile? Stavano in pratica entrambi raccontando quanto fosse deleterio mescolare vita privata e lavoro e l'unica frase che nuotava nei fiumi alcolici in cui era immerso il cervello di Aziraphale Fell era: Oddio sì.
Ma la storia lo aveva colto di sorpresa. Credeva fosse qualcosa di sportivo, qualche divergenza tecnica magari. Non si aspettava di certo un coming out. Oddio sì.
"Brutta specie gli uomini sposati."
"Oh sì, immagino di sì."
"Poi beh la notizia iniziò a circolare nei nostri ambienti. Non si estese mai troppo come temevo ed ero certo che accadesse da un momento all'altro. Ma in una piccola realtà e in un ambiente come quello del pugilato... Fu meglio cambiare aria. Anzi, iniziai letteralmente a migrare da un posto all'altro. Sono stato in almeno dieci cittadine solo nel Lazio. È la prima volta che sono in una grande città dopo quella che pare una vita intera. Ma basta cose tristi" chiosò poi il rosso. "Alticci così... Giochiamo?" Crowley si sistemò meglio, anzi peggio, sul divano. Si inclinò sull'altro lato, distese una gamba e poggiò la testa su una mano. Continuava a non sembrare comodo a vedersi, in realtà.

Fell espirò a fatica. "Non giochi alcolici, per favore."
"No. Una domanda ciascuno. Ti faccio una domanda, ma poi sono costretto a rispondere io stesso alla stessa domanda."
"Ci sto. Inizia tu."
"No, tu."
"Animale preferito?"
"Uh, questa è buona. Per una vita ho amato i serpenti ovviamente, ma anche i rettili in generale. Sognavo di acquistare un grande terrario e comprare un piccolo amico, ma la mia vita non è mai stata adatta a prendermi cura di qualcuno. Adesso come adesso i delfini, credo, sono così intelligenti. O le balene. Anzi no, le anatre. Volano, nuotano, camminano. Cosa si può desiderare di più?"
Fell rise e pensò che quel terzo bicchiere Crowley avrebbe proprio dovuto evitarlo.
"Il tuo?"
"Albus mi costringe a dire i gatti, ma amo molto anche i conigli. Da bambino ne ebbi uno, tutto bianco, una meraviglia. Harry. Si faceva fare di tutto. Ero convinto sarei diventato un grande prestigiatore con Harry al mio fianco. Poi un giorno scomparve dal giardino. Non lo vidi mai più. Non fu una bella magia."
"Oh, che dolore. Ma... Un prestigiatore. Volevi fare il prestigiatore da grande?"
"Esattamente. Ma mai stato bravo davvero. Non ho la manualità sufficiente. Tu?"
"Banalissimo. L' astronauta."
"Potevo arrivarci."
"Sta a te."
"Cosa faresti in caso di Apocalisse?"
"Ma che razza di domanda è?"
"Stiamo o non stiamo giocando?"
"Correrei qui da te. Dobbiamo finire il libro! Anche se il mondo finisce. E tu?"
Fell cercò di mascherare il fiatone che l'ultima risposta dell'altro gli aveva provocato.
"Da bravo archeologo cercherei una collocazione di spicco e una posa insolita per farmi trovare dagli archeologi del futuro."
"Ma se il mondo finisce non ci saranno archeologi del futuro."
"Hai ragione. Adesso è indubbio. Ho bevuto troppo. Senti, vado a prendere dell'acqua. Anche per te."
"Grazie, angelo. Volentieri." E fece per stendersi su un fianco.
"Posso togliermi le scarpe?"
"Certo, fa' come se fossi a casa tua."
"Ti prendo in parola eh."

Aziraphale fece scorrere l'acqua del rubinetto della cucina. Si tirò su le maniche della camicia, si bagnò i polsi e sciacquò anche il viso. Era bollente. E l'alcol c'entrava poco. Poi si allungò a prendere la caraffa. Maledisse per la millesima volta chi gli aveva montato i mobili della cucina così in alto. Da brillo era tutto più difficile. Prese anche due bicchieri e riempì la brocca. Prese un grosso respiro e lentamente si avviò verso il salotto. Riusciva ancora a camminare dritto, non male. Ma andava piano per paura di far cadere tutti quei vetri che aveva tra le mani.

In salotto trovò lo scrittore addormentato sul divano.
Completamente disteso, con un braccio dietro la testa verso il bracciolo e l'altro penzolante fuori dal divano. I capelli disordinati e sciolti gli incorniciavano perfettamente il volto affilato ma rilassato. Gli stivali neri giacevano abbandonati a terra.
Il petto si gonfiava e sgonfiava in maniera perfettamente regolare, ma non si sentiva alcun suono. Solo quello della pioggia lieve ma costante che proveniva dalla portafinestra che conduceva al balcone.

Con cautela il biondo posò caraffa e bicchieri sul tavolo di vetro, cercando di fare il minor rumore possibile. Si riempì un bicchiere d'acqua e tornò a sedersi sull'altro divano.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dall'uomo che gli dormiva di fronte, a così pochi centimetri da lui. Sul suo divano. Nel suo salotto. In casa sua.
Era un incanto, dalla testa ai piedi. Sarebbe potuto rimanere a guardarlo tutta la notte. Non era un cattivo programma in effetti. Poteva sempre fingere di essersi addormentato a sua volta.
Un brivido lo colse e subito ebbe il pensiero che il bello addormentato potesse prendere freddo. Corse in corridoio a recuperare una coperta dall'armadio a muro.
Una delle sue adorate coperte in tartan. La aprì e adagiò piano sul corpo dell'altro. Era così alto che se gli copriva il petto gli rimanevano scoperti i piedi. Mentre lo copriva meglio, ebbe l'occasione per osservarne meglio il viso. Così da vicino poteva notare le chiare e vezzose lentiggini che decoravano delicatamente naso e zigomi e le lunghe ciglia rossastre in genere mascherate dagli occhiali o messe in secondo piano da quegli occhi incredibili.

Andò poi a togliersi il completo e in bagno a sistemarsi per la notte.
Quando tornò in salotto a controllare l'ospite, trasalì.

"No! Cosa fai!!! Scendi! Gli darai fastidio." Sussurrò minaccioso al gatto che troneggiava sulla coperta in tartan all'altezza dell'addome dell'uomo addormentato.
Il felino non si mosse di un millimetro e lo fissava con aria di sfida con gli occhi verdi.
"Sei tremendo."
Il gatto si acciambellò meglio e iniziò a fare le fusa.
"Sì, piace anche a me." Mormorò a voce ancora più bassa Aziraphale Fell.





Penna d'angelo, penna di demoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora