30° Parte

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Luis

La mattina seguente mi sveglio di soprassalto, sento un orrendo trambusto in cucina.

Mi guardo intorno e Ryan non c'è, quindi presumo ne stia combinando una delle sue.

Ryan è sempre stato rinnominato "quello tranquillo' ma se solo avessero conosciuto bene Ryan si sarebbero resi conto che in realtà di tranquillo in lui non c'era niente, anzi.

Non potevano paragonarci, nessuno dei due era tranquillo. Diciamo solo che io sono sempre stato quello più pericoloso.

Perché Ryan ragionava con il cervello, io ero uno di pancia, uno d'istinto e impulsività.

E anche se ho cercato di lavorare su questo, la mia impulsività, purtroppo non è andata a scemare, anzi.

Vado a controllare cosa sta facendo... lo trovo piegato a frugare dentro uno scatolone che non ho ancora disfatto.

No, non è mio, è di mio mio padre.

Dentro quest'appartamento ci sono ancora moltissimi scatoloni di Joshua, che mia madre ai tempi ha lasciato qui a prendere polvere..

Ho ereditato questa casa non appena ho raggiunto la maggiore età.

L'aveva lasciata sia a me che a mia sorella, ma lei, come del resto, non era interessata nemmeno a questo.

Ma a me andava bene, perché come la maggior parte delle cose che reputo mie... ero terribilmente geloso che qualcun'altro, all'infuori di me potesse viverci.

Ryan è stata l'eccezione.

Che poi lui non ci è mai stato, gli ho dato le chiavi perché sapesse dove andare quando si trovava nei paraggi.

Anche perché, nostante fossi geloso di quest'appartamento, nemmeno io ci ho voluto mai starci per davvero.

Non ho il coraggio, perché questa casa profuma ancora di mio padre.

«Che stai facendo?!» Mi avvicino al mio amico per fermarlo.

«Perché questi scatoloni sono ancora qui?» Come se non sapesse il motivo...

Lì dentro ci sono ancora i vestiti che indossava mio padre quando è morto.

«Perché è lì che devono stare!»

«Luis, così non riuscirai mai a superarla...»

Forse non la voglio superare.

«Piantala, ho bisogno di un caffè!»

Lo lascio lì, usando tutto il menefreghismo che ho in corpo. Torno in camera da letto e mi faccio l'ennesima doccia fredda, con tanto di strofinamento compulsivo.

Strofino la spugna sul mio corpo con rabbia e frustrazione. Ho bisogno di questo in questo momento, perché l'unica cosa a rendermi più calmo è una doccia fredda.

Quando torno di là, Ryan è seduto sul divanetto, già vestito, forse lo era già prima, ma ero troppo infastidito per accorgermene.

«Andiamo al lido a prendere un caffè?» Propone Ryan.

«Dobbiamo stare insieme pure questa mattina?» Dico in modo seccato.

«Facciamo un salto al lido, prendiamo un caffè e poi andiamo dai nostri figli, anche perché porto sempre la colazione ai ragazzi.»

«Ma da quando?»

«Da quando sono in città.»

«E da quanto sei in città?»

«Da quendo Erika mi ha detto di venire da te.»

E io che pensavo che fosse ritornato da poco...

«Sì, lo so, non mi hai più visto, ma è stato fatto a posta, tu non hai bisogno di me, Luis, è una cosa che non ho mai pensato. Ero io ad avere bisogno di te, ma non volevo ammetterlo a me stesso. Per questo sono tornato...»

Lo Yin e Lo YangDove le storie prendono vita. Scoprilo ora