32° parte

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Luis

Ho bisogno di confusione, di casino.

E la musica sicuramente mi aiuterà.

«Dove andiamo?» Chiede Ryan tutto a un tratto.

Io non rispondo, lascio che sia il principe seduto nel retro della macchina a decidere.

«Andiamo al lido?» Risponde suo figlio con un'altra domanda.

«Per me va bene, tu che dici Luis?»

«È uguale, voglio solo una cazzo di birra fresca in questo momento!»

«Va bene, mister simpatia!» Ryan lo dice in modo ironico, ma in realtà dietro quella risposta si cela la verità. So che in questo momento non gli sto molto simpatico, non sto simpatico a me stesso, pensa agli altri.

Mi sento nervoso, come se Cameron e Ryan stessero invadendo i miei spazi, improvvisamente non ho più voglia della birra, e nemmeno della loro compagnia.

Quando arriviamo al lido, prendiamo posto a un tavolo un po' lontano dal bancone, in cui intravedo Steve, con tanto di cappellino rosso e grembiule. Il rosso non è proprio il suo colore, e infatti maledico chi cazzo ha deciso proprio quel colore per la divisa del personale del lido.

Non devo proprio essere in forma per infastidirmi per così poco...

Steve ci sorride, facendoci capire di averci visto, mi ci avvicino e ordino tre birre, mentre gli altri due mi aspettano seduti, forse a chiedersi perché sono così poco simpatico oggi.

«La terza è per Cameron?»

«E per chi sennò?»

«Gliel'hai chiesto almeno?»

Mi irrito.

«Steve, dammi ste tre birre senza girarci così tanto intorno!» Sbotto. Mio figlio mi guarda come se non avesse più intenzione di replicare, poi si volta e prende tre birre dal frigo, porgendomele.

«Ecco, a lei, padre.» Credo che anche lui stia usando il sarcasmo, anzi, è proprio sarcastico.

Lo odio.

Mi sorride come un coglione, e io lo faccio a pezzi con uno sguardo.

Dovevo starmene a casa...

Mi siedo vicino agli altri due porgendogli le birre.

«Io non la voglio.» Mi guarda Cameron.

«E perché no? La birra è troppo poco regale per te, Garcia?»

«Sai, oggi mi stai più sul cazzo di ieri!» Afferra la bottiglia e la porta alla bocca. Mentre io mi siedo uccidendo anche lui con lo sguardo.

Finiamo per finire la bottiglia, senza mai aprire bocca, credo che ci sia molto imbarazzo fra di noi. Più che altro poco da dirci, ma invece da dire ci sarebbe tanto.

Il principe che poco fa non voleva la birra, ne ordina altre tre, e nello stesso momento in cui una delle cameriere ce le porta, a Ryan suona il cellulare.

«Devo assolutamente rispondere...» Si alza.

«Arrivo subito.» Afferra la bottiglia e se la porta con sè.

Spero solo che la sua non sia stata una tattica per lasciarmi solo con suo figlio.

Passano i minuti, ma di Ryan ancora niente, perciò decido di rompere il ghiaccio.

«Smetterai mai di odiarmi?» Gli chiedo di botto. Avevo questa domanda sulla gola, come quando mangi, ma non bevi per spingere giù il cibo.

Cameron si volta verso di me, beve una sorso, e poi si avvicina leggermente al mio viso.

Non mi allontano, mi pongo deciso e senza nessuna preoccupazione, un po' come sempre del resto.

Anche se, ma leggermente, la sua risposta la temo.

«Perché dovrei?»

«Smetterla di odiarmi, intendi?»

Ci guardiamo senza mai distogliere lo sguardo.

Lui annuisce, tornando dritto, con le spalle appoggiate alla sedia.

«Perché sto cercando di essere un padre diverso per Steve.»

«Spiegami cosa c'è di diverso in te, io se ti guardo in faccia vedo sempre quel figlio di puttana che ha pestato a sangue suo figlio, solo perché ha cercato di farsi vedere per quello che è!»

Le sue parole mi arrivano come dieci pallottole sul petto.

L'ennesimo intervento a cuore aperto.

Ma la mia espressione non cambia, lo guardo allo stesso modo di prima, deciso e sicuro di me.

«Sto cercando di annullarlo quel figlio di puttana...»

«Non puoi!» Risponde lui.

«E perché no?»

«Perché per quanto tu possa essere migliore di prima, quello che hai fatto non cambia. E per quanto io ci provi, vedo sempre la stessa cosa quando ti guardo negli occhi. Vedo cattiveria, superbia, malignità. Vedo la tua parte peggiore, e non c'è niente che tu possa fare per farmi cambiare idea!»

Undicesima pallottola. In quel preciso istante mi scompongo un po', abbasso lo sguardo, per poi alzarlo verso Steve.

Sta sorridendo ai clienti, sembra sua madre quando sorride, e questo mi dà la forza per tornare in me.

Lui è la mia parte migliore.

«Tu non sai cosa significa essere padre, Cameron...» Sono rare le volte in cui uso il suo nome.

«Questa risposta cosa mi rappresenterebbe?!»

«Tu non sai cosa significa avere paura per il tuo bambino che cresce. Tu non sai cosa significa sapere che prima o poi non sarà più dipendente da te. Tu non sai cosa significa sapere, che prima o poi, dovrai lasciarlo al mondo.»

Cameron torce la bocca, forse non sta capendo cosa ho intenzione di dirgli.

«Ho avuto paura del suo cambiamento.» Glielo spiego in parole povere.

«E questo cambiamento sarebbe il suo orientamento sessuale?» Sembra voglia capirne di più.

«Ho sempre avuto questo rapporto possessivo con Steve. Fin da piccolo, io e Kat lavoravamo, e lui era molto piccolo, non potevamo lasciarlo solo. Non volevo lasciarlo alla mamma di mia moglie, non ho nemmeno accettato una baby sitter, lui doveva stare con me. Dormiva con me, gli facevo io da mangiare, e anche il bagno.» Faccio una pausa bevendo un sorso di birra.

«Essendo una psicologa, Kat quando tornava dal lavoro voleva riposarsi. Con questo non sto dicendo che non si prendeva cura di lui, sto dicendo che passava molto tempo con me. E mi piaceva, me lo portavo in palestra, Steve era mio, doveva stare fra le mie braccia, ero gelosissimo.»

«Perché?» Mi interrompe Cameron.

«Non te lo so spiegare, so solo che era così. A mia moglie preoccupava questo rapporto morboso, e molte volte litigavamo per questo, ma a me non importava. Poi è cresciuto, la mia più grande paura...»

«Avevi paura diventasse frocio?!» So che ha usato quella parola perché l'ho usata io contro Steve, più di una volta.

«No, non me ne importava niente, avevo paura dell'impatto delle persone... il mio è stato un altro tentativo malato di proteggerlo. Lo trattavo male perché così facendo avrebbe capito che non doveva esserlo, non perché mi importasse qualcosa, ma per la gente lì fuori. E so che ho sbagliato, fino all'ultimo ho tentato questo giochetto malato, fin quando non l'ho visto con te.»

Fin quando non ho visto quanto fosse felice insieme al figlio del mio migliore amico.

Lo Yin e Lo YangDove le storie prendono vita. Scoprilo ora