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POV: ETHAN

«Sei chiuso in camera da quattro giorni, Ethan.» la voce di mio padre rimbombò da dietro la porta.

E la mamma è chiusa in casa da tre anni, papà.

Odiavo quando tutto questo succedeva, ancora e ancora.

Io mi nascondevo dal mondo e mia madre, incapace di gestire quell'ammasso di problemi che ero diventato, chiamava mio padre.

Lo stesso padre che era andato via quanto avevamo bisogno di lui. Quando anche lui aveva bisogno di noi. Lo stesso padre che aveva cambiato casa e tentava di rimanere a galla costruendosi una nuova vita senza di noi.

Eppure, sapevo che ci teneva. Perché, quando mia madre chiamava, lui veniva subito.

«Non ho intenzione di uscire.»

«Non puoi fare sempre così Ethan.»

Non fare così.

So che stai male, ma non puoi fare così.

Smettila di essere così.

«Devi andare a scuola.»

«No.»

«Ethan.»

«Ho detto di no.»

«Non fare il bambino.»

«Sparisci.»

«Ethan.»

«Tornatene a casa tua, dannazione!»

Non so cosa lanciai contro la porta, perché a stento ebbi il tempo di vedere le mie mani che lo afferravano e di sentire il vetro che si infrangeva al suolo.

Il bicchiere, che tenevo sul comodino mezzo vuoto, giaceva vicino alla porta di legno, in mille pezzi.

Buttai la faccia nel cuscino e urlai con tutte le mie forze.

La rabbia era tornata.

Io non facevo così.

Io ero così.

Rotto.

Difettoso.

Gli altri non passavano le giornate nel letto a fissare il soffitto.

Gli altri non si rinchiudevano in casa.

Ma agli altri non mancava un pezzo.

Io, ormai, ero solo la metà mancante di qualcosa che era andato perduto.

«Ethan...per favore...» la voce della mamma mi fece tremare le ossa.

«Domani.» mugugnai. «Ci vado domani, a scuola.»

Afferrai il pacchetto di carta quasi vuoto sul mio comodino e mi accesi l'ennesima sigaretta.


POV: AMY

Il venerdì mattina avevamo educazione fisica alla prima ora. Io, però, quando si trattava di partica, non partecipavo mai.

L'anno prima avevo avuto un piccolo incidente. Svenire durante il riscaldamento, perché quella mattina ero particolarmente frustrata e non avevo toccato cibo, mi aveva trascinato in un turbine di bugie. Per fortuna, non chiamarono i miei genitori e me la cavai dicendo che soffrivo di pressione bassa. Così, da allora, rimanevo sempre seduta a guardare gli altri che correvano e si allenavano. Mi occupavo dell'acqua e delle eventuali medicazioni per piccoli infortuni.

Quando arrivammo al campetto fui sorpresa di vedere Ethan. Erano quattro giorni che non si faceva vivo e ora ricompariva come se nulla fosse. Dovevamo ancora finire il progetto. In quel momento mi vennero in mente le sue parole riguardo Bryan.

Melancholy: oltre il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora