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POV: ETHAN

«Ethan, come ti senti?». Quest'uomo continua a farmi sempre le stesse domande. E io do sempre le stesse risposte. Perché non ho altro da dire. Lo vedo quasi tutti i giorni. Vorrei solo rimanere a casa a guardare il soffitto.

«Non sento niente.»

«Proprio niente? Non sei triste, dispiaciuto, arrabbiato, sofferente?»

«No.»

«Non provi proprio niente?». Perché continua a chiedermelo?

«No.»

«Ma a volte provi qualcosa?». Mi mordo la guancia, perché lui sa già la risposta.

«Sì.»

«E cosa?», sempre le stesse cose.

«Rabbia.»

«Solo?»

«Tanta rabbia e dopo mi sento vuoto» dico meccanicamente, come ho fatto per tutte le altre sedute. È sempre la stessa risposta e, a quanto pare, è quello che il dottore vuole sentire.

«Vuoto e triste?»

«Sì, penso di sì.»

«Hai sentito cambiamenti con le nuove medicine che ti ho dato, Ethan?» questa domanda è nuova. Non ho la risposta pronta, quindi ci penso per un'istante.

«No, non è cambiato nulla». Lui appunta qualcosa sul suo quadernino. A volte immagino cosa ci potrebbe essere scritto e nella mia mente riesco a figurare solo una parola, quella che disse ai miei genitori dopo le prime due sedute.

DEPRESSO.

«Sei depresso, Ethan. Per questo ti sembra di non funzionare più come prima e dovrai prendere delle medicine per sentirti meglio» mi ha detto. Ma io non sono sicuro che sia quello il problema.
Forse sì, sono depresso. E sì, sono sicuramente rotto e non funziono più. Però non posso essere aggiustato con le medicine. Perché nessuno cambierà le cose
.

...


«Faccio del caffè» annunciò la donna dai capelli ingrigiti sulla cute. Mi sedetti sul lettino duro senza fiatare, lo sguardo sulla punta delle mie scarpe. Mentre sentivo quella familiare stanchezza che si insinuava nelle mie vene, la mia mente correva. Sentivo la sua presenza. Non la stavo guardando, ma il solo sapere che lei era lì, mi stava facendo impazzire. Volevo che uscisse dalla mia testa perché avrebbe portato solo problemi. Io avrei portato solo problemi. Come avevo sempre fatto. Chiusi gli occhi, avevo bisogno di fumare. Bruciare i miei polmoni e, occasionalmente, la mia pelle era diventato parte integrante di quel loop continuo che si era attaccato alle mie carni. Spesso mi fermavo a pensare a quanto fosse strana la vita.

Un giorno hai quindici anni e credi di essere invincibile, di poter goderti ogni singolo istante della tua vita.

Il giorno dopo, inizi a dimenticare quanti anni hai e capisci che della tua vita non puoi goderti proprio nulla, perché non ti appartiene più. Perché non c'è un solo istante in cui ti senta davvero vivo. Persino la speranza diventa solo una flebile immaginazione. Avere quindici anni è stato bello fin quando non mi sono reso conto che ero incredibilmente fragile. Che, per spaccarmi in due, era bastato un solo momento, durato ore e concluso in un battito di ciglia. Mentirei se dicessi di non desiderare di avere di nuovo quindici anni, perché sì, è stato bello. È stato bellissimo avere un'infanzia felice e una famiglia felice. Ma, purtroppo, abbiamo tutti dovuto pagare il prezzo della felicità. E forse era per questo che la mia mente scheggiata si era ribellata, impedendomi di essere di nuovo felice. Era questa la forma che avevo dato alla depressione, che da sempre non era né nitida né comprensibile. Per me quel mostro oscuro era paragonabile al buio. Il buio in cui il mio cuore ferito era stato spedito dal mio cervello, con l'intendo di proteggermi. Voleva tenermi alla larga dalla felicità. Era una bestia troppo grande da affrontare e il buio era l'unico luogo in cui nascondersi.
Quindi, alla fine, mi ero semplicemente arreso ed ero disceso sempre più in profondità, spinto anche dalla decadenza che mi circondava. Semplicemente, più il tempo passava, più mia madre beveva e mio padre si allontanava, più io smettevo di essere un vegetale. Perché era quello che ero diventato, con le medicine con cui mi imbottivano pur di placare quelle uniche due emozioni che mi erano rimaste e far tornare le altre. Con il solo risultato di annullarmi. Non provavo più niente. Anche tolte rabbia e tristezza, il resto rimaneva nascosto. Quindi, più il tempo passava, più io mi ribellavo. Poi, semplicemente, avevo smesso di prendere le medicine. Avevo iniziato a fumare. Avevo iniziato a sfogarmi e rifugiarmi in me stesso.
Così, Ethan-il-vegetale-depresso era diventato Ethan-che-odiava-il-mondo.

Melancholy: oltre il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora