POV: AMY
Camminavo a passo lento anche se conoscevo perfettamente la strada. Era buio, ma nonostante questo i miei piedi seguivano perfettamente il percorso che la mia mente aveva registrato per ogni evenienza, per permettermi di percorrerlo anche con la testa altrove.
Anche con la testa piena.
Avevo chiesto a Ethan di farmi scendere lì perché, improvvisamente, l'idea di fare il bagno nella mia vasca per pulire ogni parte di me non mi bastava più. Volevo buttarmi nel fiume. Non importava se c'erano dieci gradi e se rischiavo di prendere di nuovo la febbre, avevo bisogno di sentirmi parte di qualcosa. E l'Oxmore era quella parte più estranea e lontana da me che mi apparteneva fin dentro le ossa.
Però Ethan non voleva lasciarmi andare e mi ero rassegnata, avrei affrontato tutto nelle solite quattro mura vuote.
Quando spalancò la portiera e mi fece scendere, fu come se il mondo avesse preso un colore nuovo. Voleva accompagnarmi.
L'Oxmore era uno dei miei innumerevoli posti di solitudine, ma era speciale. Perché lì la solitudine la richiedevo, non era una costrizione. Andarci con Ethan significava che, per una volta, stavo richiedendo di non stare da sola. E questa volta era una scelta possibile.
Non so perché, ma non protestai. Anzi. Continuai a camminare, sentendo il calore del suo corpo vicino alla schiena e l'inconfondibile puzza di sigaretta che ci seguiva come un'ombra. Ethan non fece nessuna domanda lungo il tragitto. Ogni tanto gli lanciavo un'occhiata e, sotto il chiarore della luna circondata da nuvole, riuscivo a intravedere i lineamenti esausti del suo volto e il cerotto ancora attaccato alla sua guancia.Quando sentii lo sciabordio dell'acqua, mi fermai di colpo ed Ethan si scontrò contro la mia schiena.
«Che cazzo...» borbottò, «Non siamo arrivati, perché ti sei fermata?».
«Shh» sibilai, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente, «Ascolta» sussurrai a fior di labbra.
Nel silenzio, assorbii il lago da sotto le mie palpebre. Non ero tra le sue acque, dove probabilmente non sarei neanche entrata, data la presenza di Ethan, ma il solo ascoltarlo fu rigenerante. Le foglie frusciavano e il vento colpiva la punta del mio naso, facendomi rabbrividire. Ma se mi fossi concentrata abbastanza, avrei potuto quasi sentire l'acqua sulla pelle.
Senza preavviso, riaprii gli occhi e ricominciai a camminare, calpestando le foglie secce e fangose. C'era un forte odore di petricore, ma ormai quella pioggerella che minacciava di diventare l'ennesimo temporale si era arrestata. Vigeva la calma.
Ethan, questa volta, mi affiancò, un'espressione indecifrabile sul volto.
«Vieni spesso qui?» questa volta, le parole le sussurrò. Forse anche lui non voleva spezzare il suono di quella magia in cui, tra gli alberi e le foglie, ci si sentiva immersi.
«Sì.»
«Come mai?», infilò le mani nelle tasche della giacca.
«Non è evidente?»
Sentii i suoi occhi bruciare sul lato destro del volto, ma non mi voltai a guardarlo.
«Non proprio evidente, se te lo sto chiedendo.»
Incurvai le labbra in un sorriso accennato, «Qui si sente.»
«Cosa?»
«La pace.»
«Sei alla ricerca di pace?»
«Tutti cercano la pace, Ethan.»
Pace, per me che ne avevo vissuta ben poca, significava mettere a tacere il cervello. Significava poter abbassare la guardia, sentirmi al sicuro. Perché nel tempo mi sentivo tutto, fuorché al sicuro. A scuola con i bulli, con zio Elliot a casa, la notte da sola: c'era sempre qualcuno o qualcosa che mi intimoriva, che accendeva ogni campanello d'allarme nel mio cervello. Non reagivo e la mia mente correva.
Reagire non faceva per me. Imbottigliavo tutto dentro. Quei prati, quegli alberi e quel lago erano l'unico posto in cui mi sentivo al sicuro. Perché lì, nonostante i pericoli del mondo, i miei mostri non potevano inseguirmi.
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Melancholy: oltre il buio
Teen Fiction🐞🌿 La paura più grande di chi nasconde la propria malinconia è solo una: esplodere. Lasciarsi andare. Lasciare che tutto esca fuori di botto, in un unico istante. Perchè, quando tieni tutto dentro, prima o poi perderai la strada. Amy Evans l'h...