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POV: AMY

«Come mai non sei a lezione, tesoro?» mi chiese Zoe dolcemente, porgendomi una tazza di caffè senza zucchero. La afferrai, stringendola forte tra le dita che continuavano a tremare impercettibilmente.

Ti ha fatto qualcosa?

Sentivo la gola che si stringeva sempre di più in un nodo aggrovigliato.

«Volevo...darti una mano» accennai un sorriso. Volevo solo sapere e, in quel momento, non mi venne una scusa migliore.

Il suo sorriso, circondato da delle piccole rughe intorno alle labbra, fu doloroso. Perché Zoe non meritava le mie bugie. Eppure, le avevo mentito un'infinità di volte. Quando stavo male e anche quando fingevo di stare bene. E lei mi ha sempre trattato come una figlia.

Ero incredibilmente ingiusta.

«Sei sempre così dolce, Amy...ma non dovresti saltare le lezioni.»

«Non c'è problema, adoro aiutarti e saltare un'ora non sarà un problema». Lei guardò Ethan, una scintilla brillo nel suo sguardo.

«È già la seconda volta che voi due siete qui insieme» bevvi un sorso di caffè per tenermi occupata, «Sapete che l'infermeria non è un covo romantico e che non serve che mi facciate male per consolidare il vostro amore, vero?»

Per poco non mi strozzai. Tossii goffamente, mentre le guance mi andavano a fuoco.

«Noi non-» biascicai. «Ssh, non serve che me lo nascondete, ragazzi, ho visto come vi guardate. Starò anche invecchiando, ma conosco molto bene voi giovani!»

«No, Zoe, tra di noi non c'è-» nulla, assolutamente nulla.

«Certo, certo. Non sono nata ieri!» mi fece l'occhiolino. Gesù, vorrei sprofondare.

«Zoe, mi dispiace deluderti, ma tra me e la mocciosa non c'è nulla» esordì Ethan, visibilmente impegnato a trattenere una risata. Stavo andando a fuoco e il caffè caldo che stringevo tra le dita in confronto alla mia temperatura era un cubetto di ghiaccio.

Il ragazzo si alzò in piedi, sovrastandomi con la sua altezza. Gli arrivavo a stento al petto. Quanto poteva essere alto? Un metro e novanta? Più o meno come Bryan.

Zoe sbuffò, delusa «Mi dispiace, tesoro, ma non ti credo neanche un pochino. Forse non c'è nulla adesso» fece l'occhiolino verso quel gigante che, peggio di me, la torreggiava, «Ma ci sarà, eccome se ci sarà». Il suo sorriso dolce mi fece improvvisamente rabbrividire.

Oh, Dio.

Ethan rimase impassibile «Io vado» mormorò, infilando le mani nelle tasche dei jeans. «Aspetta, fammi dare un'occhiata» Zoe lo afferrò per il braccio, trascinandolo di nuovo sul letto. Non sembrava, ma quella donna piccola e leggermente in carne aveva una forza disumana che si scontrava con la sua estrema dolcezza. Quando lo sguardo di Ethan, di nuovo seduto sul tessuto bianco, incrociò il mio, sentii bruciare la punta delle orecchie e un paio di battiti rimbombarono nel mio cervello. Zoe guardò attentamente l'ecchimosi, che stava diventando sempre più evidente sulla pelle chiara del biondo, e sul taglio che ormai aveva smesso di sanguinare.

Dove hai imparato a farlo?

Quella domanda mi aveva presa alla sprovvista. Beh, sì, avevo imparato molto dai corsi di primo soccorso. Ma, prima di tutto, avevo imparato molto dalle mie, di ferite. Le avevo curate da sola. Da sempre. Quando vivi nell'ombra e gli altri si divertono con il tuo corpo, tutto ciò che puoi fare è sentirti come un animale indifeso. Ti feriscono e tu ti lecchi le ferite, disinfettandole con quel poco che l'istinto di sopravvivenza ti aveva insegnato. È così che si impara a curare le ferite nella propria malinconia.

Melancholy: oltre il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora