🌿29🌿

44 1 0
                                    

POV: AMY

Avevo bisogno di fuggire. Le mie dita continuavano a tremare. Sentivo gli occhi di Ethan puntati addosso. Quando ero entrata in aula, desiderosa solo di essere risucchiata da qualche ente soprannaturale al centro della terra e lo avevo visto seduto poco distante dal mio banco, mi sentivo spacciata. Dovevo mantenere le distanze. Mi sentivo esposta, nuda. Avevo avuto un attacco di panico tra le sue braccia.

Mi aveva aiutata. Era passato velocemente. Ma realizzare cos'era successo...fu come un pugno in faccia.

Ethan mi rendeva vulnerabile. Mi rendeva leggibile. Era come se con lui ogni mia barriera di difesa andasse a farsi benedire.
E lo odiavo.

È il nostro segreto, piccola Amy.

Una persecuzione costante.

Rifugiarsi al primo banco era l'unica opzione, l'unico posto libero. Non mi sarei seduta vicino a lui. Ma, nonostante questo, la sua presenza era più pesante che mai.

Non riuscivo a capire come avesse potuto Lory definirlo un fantasma. Ethan era tutt'altro che un fantasma. Lui era completamente presente. Si sentiva nell'aria, come se tutto ciò che mi circondasse ci fosse perché c'era anche lui. Era costante. Persino i movimenti del professore davanti alla lavagna, mentre batteva il gessetto bianco durante la lezione, mi avvisavano della sua presenza. Ogni ticchettio, ogni tratto, mi ricordava la sua presenza. Era alle mie spalle, non lo vedevo.

Ma lo sentivo.

Come se fosse ad un soffio dal mio corpo.

Lo sentivo proprio come quando lo guardavo dritto negli occhi.
Ed Ethan non era un mistero. Era una mappa. Bisognava districarsi tra le vie e gli alberi per trovare la destinazione. Ma ogni passo ti diceva qualcosa. Bisognava solo continuare a camminare.

E io lo desideravo con tutta me stessa. Perché quel ragazzo che continuava ad allontanarmi e avvicinarmi come una calamita si era impresso nella mia mente e nel mio cuore, nell'unico punto in cui non c'erano schegge.

Glielo avrei mostrato, il mio cuore. Gli avrei fatto vedere l'esatto posto in cui la sua presenza stava facendo le radici.

Ma non potevo, perché avrebbe significato mostragli cosa ero. Cosa portavo dentro. Mostrargli quanto ero sbagliata. Quanto ero rotta.

E sapevo di non poterlo fare per diversi motivi.

Perché non lo avrei fatto con nessuno, mai.

Perché lui non volevo che io lo facessi, ed era evidente.

Perché lui soffriva. Lo sapevo, che soffriva.

E, spinta da quell'istinto che da sempre vigeva dentro di me, io avrei scoperto perché soffriva. Lo avrei fatto, a costo di essere scottata da lui milioni di volte. Poteva anche bruciarmi, incenerirmi.

Ma io lo avrei scoperto. Lo avrei aiutato. Non perché credevo di esserne capace, ma perché sentivo di doverlo fare.

Girai leggermente il capo nella sua direzione. Incrociai i suoi occhi, puntati su di me. Vidi il suo volto martoriato ancora una volta e distolsi subito lo sguardo, il cuore che mi batteva in gola.

In ogni caso, lo avrei fatto imparando a proteggere me stessa da lui.

Il mio telefono vibrò contro la mia coscia dalla tasca dei pantaloni, distogliendomi dai miei pensieri. Il professore Morris continuava a parlare e scrivere alla lavagna, lo accesi silenziosamente.

Avevo dieci messaggi non letti. Alcuni di Lory, che mi chiedeva perché non mi avesse visto in corridoio dopo la prima ora di lezione. Uno di Danis, che mi diceva di raggiungerli prima dell'inizio della lezione.
E quattro messaggi di Bryan.

Melancholy: oltre il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora