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POV: ETHAN

Non l'avrei lasciata da sola, non in quello stato. Avrei aspettato fino all'arrivo dei suoi genitori. Non che avessi di meglio da fare. La seguii dentro casa, assicurandomi di tenerla sempre d'occhio, pronto per aiutarla in caso fosse successo qualcosa.

Casa sua era calda e accogliente. Quando varcammo la soglia, la prima cosa che vidi fu il divano grigio con i suoi cuscini gialli e arancioni perfettamente sistemati. Sembrava che nessuno ci si sedesse mai ed era una strana sensazione pensare ad un divano sempre vuoto, così come pensare ad una camera sempre vuota. Alla destra della porta d'ingresso c'era un mobile con sopra un piccolo televisore, anche questi immacolati. Nessun oggetto fuori posto, né un bicchiere poggiato da qualche parte né un pacchetto di fazzoletti dimenticato. Le tende della finestra, rigorosamente bianche a strisce arancioni, erano aperte, perfettamente legate da un cordoncino sottile. C'erano quadretti di famiglia sulle due mensole di legno accanto al divano ed un mobiletto chiuso. Ma, per il resto, oltre all'ordine, era come se non ci fosse davvero qualcosa. Era come se non ci abitasse davvero qualcuno.

Ma ciò che mi stupì di più, furono le pareti dell'intera stanza. Era tutto dannatamente giallo.

Vidi il piccolo corpo di Amy che abbandonava le chiavi sul mobile, trascinando i piedi dentro casa. Sembrava distrutta, eppure continuava a ripetere che stava bene, che non aveva bisogno di aiuto, che poteva stare da sola.

Ma non l'avrei lasciata da sola, non quando stava male. L'avevo già vista svenire, e la preoccupazione mi era bastata per tutta la vita.

«Casa tua è molto...gialla?», provai a tagliare l'imbarazzo, ma peggiorai decisamente le cose.

«Oddio» non mi aspettavo di sentire così, improvvisamente, il suono della sua risata. Per quanto debole e sottile, conservava le dolci note della sua voce. Mi sentii le gambe molli.

«L'ultima persona a fare un commento del genere è stata mia nonna quando venne qui per la prima volta!» disse, continuando a ridere.

Non potei far altro che sorridere anch'io «Ma è vero, cazzo, è tutto giallo», non credevo di poterlo fare senza sentire un macigno sul petto.

«Non ci credo che la prima cosa che ti è venuta in mente quando sei entrato è questa».

«E invece...», trattenni una risata «No ma, davvero, perché è tutto dannatamente giallo?».

«Perché mia madre ama il giallo. O, meglio, è fissata con il giallo».

«Già, sì, molto razionale» risposi ironico. Lei scrollò semplicemente le spalle.

«E a te che colore piace, coccinella?» la domanda sfuggi spontanea dalle mie labbra.

«Il verde».

«Perché proprio il verde?».

«Perché mi ricorda la natura» mormorò, distogliendo lo sguardo. Sembrava imbarazzata.

«Indovina il mio colore preferito» dissi senza pensarci. Quando stavo con lei, non pensare sembrava ridicolmente facile.

«Mh...il nero?».

«No, che merda».

«Che principe» roteò gli occhi come per rimproverarmi. «Allora qual è?».

«Il viola».

«Perché proprio il viola?». Mi irrigidii.

«Perché sì» risposi duro. Avevo cacciato un argomento di merda, e lo avevo fatto da solo. Bravo, coglione.

Amy, stranamente, fece finta di nulla. Faceva così ogni volta che la trattavo o le rispondevo male. E questo mi faceva sentire ancora più stronzo. La vidi allontanarsi verso un corridoio e la seguii in silenzio. Camminava lentamente, come se il pavimento fosse fatto di fragile cristallo. Ma, lì, l'unica cosa fragile era proprio lei. Entrammo in cucina e si avvicinò ad un mobile. Rimasi vicino alla soglia, con lo sguardo che perlustrava i mobili di legno e la stanza vuota. Mi poggiai contro lo stipite della porta, incrociando le braccia al petto. Anche questa volta, ebbi l'impressione che non ci vivesse nessuno, in quella casa. La cucina era immacolata, nel lavandino non c'era neanche un piatto sporco e un odore di fiori impregnava l'aria. Era completamente l'opposto di casa mia, sempre piena di bottiglie vuote, piatti sporchi e puzza di alcool e fumo. Amy prese due bicchieri di vetro dalla credenza e li posò sul tavolo, lanciandomi un'occhiata. «Puoi entrare...non mordo», mormorò. Così mi scollai dalla porta, avvicinandomi lentamente, come un animale impaurito. Ma non avevo paura di lei, anzi. Avevo paura di me stesso.

Melancholy: oltre il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora