- 1 luglio -

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Il primo di luglio. Il numero fatale di un normalissimo mese afoso, anch'esso fatale.
Non per tutti. Ma almeno per Jason Grace poteva essere motivo di gioia. Poteva.
Non lo fu.
Era il suo compleanno anche se non lo aveva ancora detto a nessuno sulla nave e preferiva che restasse così. Non si sentiva in vena di festeggiare. Per niente.
Forse un tempo lo aveva fatto, insieme a Talia e sua madre — Giove non era contemplato nel pacchetto famiglia — ma non ricordava di aver mai festeggiato un compleanno e di essere stato felice.
Mentre festeggiava il compleanno, si intende.
Jason era stato felice. Sicuramente lo era stato. Solo che non gli veniva in mente nessun ricordo sostanziale.
Una cosa era certa: quando stava con Piper era felice. E quando era con Leo. E adesso aveva nuovi amici, quindi di motivi per essere felice ne aveva molti...
Non aveva importanza, comunque.
Non quando il giorno del suo compleanno un'amica stava per partire per una missione dalla quale non sapeva se sarebbe tornata viva. E non quando il fratello di un'altra sua amica era prigioniero in una giara, solo e in fin di vita.
Non quando il destino del mondo dipendeva da un branco di adolescenti terrorizzati.
Annabeth era pronta a partire. Zaino in spalla, pugnale di lato, un finto sorriso sereno sulle labbra. Percy aspettava vicino alla passerella. Lui non fingeva di essere sereno. Non ci provava neanche.
Jason si immaginò per un momento che quel primo di luglio non fosse un numero sventurato di un mese sventurato.
Fosse stato un ragazzo normale forse gli sarebbe piaciuto festeggiare il compleanno insieme ai suoi amici normali, senza preoccuparsi del mondo e senza pensare al fatto che la sopravvivenza di quello stesso mondo dipendeva da loro.
Leo spense il motore della nave.
Non erano adolescenti normali. Quello non era un compleanno normale.
Annabeth stava andando in contro alla morte e non c'era niente che lui o chiunque altro avesse potuto dire per convincerla a non farlo.
Beh, Percy ci aveva provato.
Non era andata a finire bene.
Tutti e sette — otto, se si includeva il Coach Hedge sottocoperta — riuniti sul ponte principale, in silenzio con gli sguardi che non si incrociavano neanche per sbaglio.
Più che un saluto sembrava un funerale.
Forse erano la stessa cosa.
Annabeth si issò lo zaino su una spalla. Si schiarì la voce, come per iniziare a parlare. Non disse niente. Semplicemente non trovava le parole.
Piper tremava come una foglia al suo fianco. Avrebbe voluto abbracciarla ma sapeva che non lo avrebbe tollerato. Normalmente si. Il primo luglio no. «Fai attenzione.» disse, sforzandosi per non far tremare anche la voce.
Annabeth annuì, anche se più per cortesia che per vera convinzione. «Me la caverò. Non preoccupatevi per me.»
Bugia: sarebbero morti dalla preoccupazione in ogni istante di quel giorno. Anche fossero rimasti in videochiamata tutto il tempo.
«Se...» Annabeth prese un respiro profondo. La mano sulla bretella dello zaino tremava. Sembrava un sentimento condiviso da tutti. «Se non torno indietro... fate quel che dovete. Andate avanti. Mettete fine a tutto questo.»
Un singhiozzo scappò a qualcuno. Jason non avrebbe saputo dire da chi.
Avrebbe voluto dirle che non se ne sarebbero mai andati senza di lei, ma non credeva che quel pensiero avrebbe contribuito a sollevarle il morale.
«Tu vedi di tornare, allora.» disse Piper, convinta di quel che diceva. «Viva. Tutta intera. Capito?»
Sembrava un ordine più che una preghiera.
Annabeth annuì di nuovo.
Poi Piper si lanciò in avanti e l'abbracciò, talmente forte che Jason ebbe il timore che potesse spezzarle le ossa. Alla figlia di Atena scappò un singhiozzo. Poi un altro.
Jason si voltò dall'altro lato. Gli sembrava di violare un momento sacro.
Leo si avvicinò, con un'andatura incerta che rasentava l'imbarazzo. Si grattò i capelli ricci sulla nuca e poi disse. «Ho bisogno della mia assistente meccanico. Sennò con chi posso parlare di questa roba senza sembrare pazzo?» fece una risatina e poi aggiunse. «Torna. Con o senza quella statua del cazzo, d'accordo?»
A quel punto anche Jason si avvicinò, per partecipare all'abbraccio o per impedire che Annabeth picchiasse Leo per aver insultato la statua sacra di sua madre, non avrebbe saputo dirlo.
Per fortuna, scelse la prima.
Hazel e Frank avanzarono impacciati, come per timore di intromettersi in qualcosa che non era loro.
«Annabeth, so che non ci conosciamo da molto.» esordì Hazel. «Che ancora dobbiamo superare un po' di questo imbarazzo Greco-Romano e che in parte è colpa nostra se devi recuperare quella statua, ma... Per Giove, non doveva suonare come un addio... sei la persona più coraggiosa e intelligente che abbia mai conosciuto.» si allungò a stringerle una mano. «Nessuno al Campo Giove oserà più pronunciarsi a sproposito nei confronti dei figli di Atena. Te lo giuro.»
Annabeth — che ormai piangeva e non si premurava più di nasconderlo — abbracciò la figlia di Plutone.
Un Greco e un Romano che si abbracciavano in nome dell'amicizia e non per trucidarsi a vicenda. Fece pensare a Jason che forse la pace era ancora possibile.
«Mi dispiace, ma dobbiamo andare.» interruppe Percy. Aveva gli occhi cerchiati di rosso. Sicuramente non gli avrebbe chiesto se era per via di qualche allergia.
Aveva provato a opporsi, ovvio che ci aveva provato. La sua unica argomentazione era stata "ti uccideranno".
Non valeva molto, a rigor di logica.
Probabilmente si era rassegnato. O semplicemente era molto arrabbiato.
Hazel baciò la ragazza su una guancia — e dovette alzarsi in punta di piedi per farlo — e poi si staccò. Frank le strinse una spalla con la grossa mano. «A presto.»
Non un addio, solo un'arrivederci.
Annabeth si asciugò le guance umide e poi seguì Percy giù dalla nave. Si voltò una sola volta per salutare tutti loro con la mano.
Poi non si voltò più.
Jason odiava quel giorno.
Il primo luglio era stato l'ultimo giorno che aveva visto i suoi due amici prima che entrambi cadessero nell'abisso profondo che portava al Tartaro.
Forse il prossimo luglio sarebbe stato migliore. Forse finalmente avrebbe festeggiato il suo compleanno come un ragazzo normale e sarebbe stato un giorno felice.


Triste? Decisamente.
Tutto scritto a mezzanotte, più o meno in una mezz'ora.
E non è neanche più luglio!

𝐄𝐫𝐨𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥'𝐎𝐥𝐢𝐦𝐩𝐨 ᵒⁿᵉ ˢʰᵒᵗDove le storie prendono vita. Scoprilo ora