- Le parole non dette -

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Un gigantesco grazie a @_freedom_warrior_  per avermi dato l'idea!
Scusami per l'enorme ritardo. Spero di essere stata all'altezza.

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Il dio del mare non voleva essere lì.
Poseidone aveva un milione di faccende da sbrigare nel suo palazzo in fondo all'oceano, tritoni da coordinare, ippocampi da nutrire e potere da delegare.
Era stato uno dei primi consigli — se non il primissimo — che gli aveva dato suo fratello Zeus sull'essere il dio di un'intera zona della Terra: delega, delega e ancora delega, diceva, questo, fratello mio, è il vero potere.
Poseidone normalmente ascoltava il 20% di quello che usciva dalla bocca di Zeus, ma questo consiglio se l'era tenuto stretto.
Delegare, dici? Detto fatto: si era costruito un palazzo in fondo al mare e aveva eserciti di ciclopi, squali e pegasi al proprio servizio.
Ma era stato proprio per quell'aspetto prepotente del suo carattere che adesso si trovava sull'Olimpo, in compagnia della dea più odiosa, pallosa e asfissiante che fosse mai esistita. 

Neanche Atena voleva essere lì, che sia chiaro.
Anche la dea della saggezza aveva accettato il consiglio del padre — oltre ai regali, Zeus riciclava anche i consigli — e aveva scoperto che ci trovava un certo gusto nel dire agli altri cosa dovevano fare.
Bacchettona asociale, avrebbe detto Poseidone.
Lei preferiva definirsi una stratega.
Ma era proprio a causa dei suoi schemi che Atena si trovava sull'Olimpo insieme al dio delle alghe più insopportabile di tutti, ad aspettare qualcosa che forse non sarebbe mai arrivato. 

«Sei sicuro di aver spedito il biglietto?» sbottò Atena di punto in bianco, la sua voce che veniva amplificata dall'eco della sala del trono.
Un paio di posti più in là, Poseidone rispose infastidito. «Certo che l'ho spedito. Per chi mi hai scambiato, Ermes?»
Atena non rise alla battuta. «A meno che il biglietto non sia finito dritto in qualche corrente postale, sono ufficialmente in ritardo e io non tollero...»
«Ma fammi il piacere e statti un po' zitta!» la interruppe il dio, facendo la voce grossa, come quelle onde giganti che si abbattevano sugli scogli e che potevano spezzarti le ossa. «Devo ricordarti che sei immortale e che non devi neanche prendere il treno per andare via? Puoi materializzarti dove ti pare.»
Atena non gli diede la soddisfazione di rispondere. A volte la migliore arma era l'indifferenza. «La verità è che ci hanno ignorato, pallone gonfiato che non sei altro. Te lo avevo detto che non avrebbe mai funzionato. Dovevamo scendere noi, invece che far venire loro quassù ...»
L'enorme portone di marmo bianco si aprì lentamente. Due piccole figure comparvero sulla soglia. Una voce maschile chiamò nel silenzio «Ehilà?»
I due dei balzarono su dai rispettivi troni e si posizionarono l'uno affianco all'altra, come in una coreografia di danza. «Entrate.» dissero.

Percy e Annabeth non volevano essere lì.
Avrebbero voluto essere ovunque, ma non lì, in quel luogo maledetto che aveva lasciato loro troppe cicatrici.
Avevano avuto i loro dubbi a metà strada tra l'ascensore e l'Olimpo, e avevano i loro dubbi adesso che si trovavano in cima al monte, di fronte ai loro genitori.
Percy era attonito. «State scherzando?» Si stava già voltando per andare via, ma la porta si chiuse da sé e si sigillò magicamente.
«Non ancora, figliolo.» disse Poseidone, mentre lui e Atena scendevano quei pochi gradini che li dividevano dal pianerottolo.
Percy fece una risata amara. «Carino il trucchetto della porta. Adesso farai spuntare il coniglio fuori dal cilindro?»
Annabeth intraprese una strada diversa, quella della diplomazia. «Perché siamo qui?»
Aveva la voce stanca, provata. Non avrebbe retto un'altra missione, un'altra impresa per salvare il mondo.
Atena lanciò un'occhiata eloquente al partner, del tipo "mia figlia è molto più educata di tuo figlio, vecchio brontolone" e poi rispose. «Vedo che avete ricevuto il nostro invito.»
Percy alzò un palmo della mano, con fare ironico. «Ah sì, quello. Troppo faticoso dircelo di persona?»
Era arrabbiato, la sua rabbia era tangibile, consistente. Percy aveva visto fino a che punto poteva arrivare la sua furia, e non si sarebbe trattenuto, non più. Non adesso che aveva sperimentato la sua piena potenza.
Annabeth questa volta lo guardò malissimo, uno di quegli sguardi assassini che gli intimavano di chiudere la bocca e lasciar parlare lei. Anche Annabeth aveva visto Percy usare il veleno al posto dell'acqua. Non avrebbe permesso che succedesse di nuovo.
Atena ignorò la scenata e disse, in tono solenne, come se stesse parlando all'intero consiglio e non a due semidei malridotti. «Dobbiamo parlare.»
Percy fece per replicare, ma Annabeth fu più svelta. «Non abbiamo niente di cui parlare. Se avete altri incarichi da rifilarci, noi ci tiriamo fuori.» guardò sua madre, dritta in quegli occhi identici ai propri, vedendoci un'estranea. «Non abbiamo più niente da dirci.»
«Per favore.» La supplica suonava in modo strano, quasi sbagliato, se detto da un dio. Poseidone capì di avere attirato la loro attenzione e continuò. «Soltanto qualche minuto, poi sarete liberi di andarvene, lo promettiamo.» Anche le promesse suonavano strane, come le note giuste suonate da uno strumento non accordato.
Annabeth non voleva neanche pensarci, non aveva più diplomazia da offrire. Si voltò per andare alla porta, ma un polso la bloccò.
Sollevò lo sguardo incredulo su Percy, lui che aveva quasi rischiato di farsi arrostire da un fulmine.
«Pochi minuti.» ripeté le stesse parole di suo padre, serio negli occhi. «Neanche io vorrei, ma ormai siamo qui. Ascoltiamo e basta.»
Lei si divincolò dalla presa, ma tornò al suo posto, un tacito compromesso raggiunto.
«Va bene.» disse «Ma facciamo in fretta. Odio questo posto.»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 27 ⏰

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𝐄𝐫𝐨𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥'𝐎𝐥𝐢𝐦𝐩𝐨 ᵒⁿᵉ ˢʰᵒᵗDove le storie prendono vita. Scoprilo ora