Capitolo 13

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8 settembre 2020

«Mirco, non è possibile che non siamo neanche a metà del libro. Tra una settimana inizia la scuola!» Era ormai mezz'ora che Anita cercava di aiutare il bambino a fare i compiti. Non pretendeva che finisse tutte le pagine di esercizi, nessuno lo aveva mai fatto, ma in due mesi erano andati avanti a passo di lumaca. Oltre ad essere iperattivo, la ragazza sospettava che, dietro all'apparenza, si nascondesse qualcosa di più grande.

Mancava poco e la madre sarebbe rientrata da lavoro: doveva assolutamente parlarle. Lo osservava leggere lentamente, mentre lei teneva il dito fermo sulle frasi stampate, per evitare che perdesse di nuovo il segno. «Sono stanco, non ce la faccio più» Il piccolo si strofinò gli occhi visibilmente affaticati. Anita gli tirò indietro i capelli, accarezzandogli la testa.
«Va bene così, vuoi fare merenda?» Aspettò la sua risposta che risultò senza dubbio affermativa.

Si alzò per prendere i Baiocchi conservati nella credenza, ma lo scatto della maniglia del portone attirò la sua attenzione. Si voltò e vide Francesca, la mamma di Mirco, entrare nella cucina. Diede un bacio al bambino e poi salutò la ragazza.
«Ciao Anita, oggi com'è andata?»
«Meglio, posso parlarle un secondo?» Posò i biscotti sul tavolo e con la donna uscì dalla stanza.

«Era un po' che me lo chiedevo, ma le insegnanti hanno mai detto nulla sul fatto che vada molto lento?» La signora scosse la testa leggermente indispettita.
«Sì Mirco ha bisogno di tempo, ma le maestre hanno sempre ribadito che fosse normale al primo anno di elementari. Perché?»
«Lo pensavo anche io, ma credo che abbia qualche problema di dislessia» Francesca rimase perplessa.
«Mio figlio dislessico? No, non credo proprio, ti stai sbagliando»
«Non voglio essere impertinente ma se facesse una visita, avrebbe modo di ricevere aiuti specifici»

Anita, sempre pacata, anche in quella situazione fece trasparire tutte le sue buone intenzioni che, tuttavia, la donna parve non apprezzare.
«Mirco sta benissimo. Forse è il caso che tu adesso vada...prendi questi» Le diede i quindici euro come le spettava, ma non con il solito sorriso cordiale. Mirco le guardava, poggiato allo stipite della porta, non capendo di cosa stessero discutendo. La castana lo salutò abbassandosi alla sua altezza e lo abbracciò, lasciandolo ancora più confuso.

«Non penso ci sia il bisogno che ritorni, tra pochi giorni le vacanze finiscono. Ti ringrazio per la disponibilità... però dovresti imparare a fare il tuo lavoro in silenzio» Anita trattenne il respiro, avrebbe voluto risponderle che lo stava facendo per suo figlio, che non sembrava importarle, ma anche quella volta si bloccò. Si chiuse la porta alle spalle e a passo lento uscì dal palazzo.

Camminava verso la fermata dell'autobus. Il bunker era la sua prossima meta. Il desiderio di fare dietrofront e andarsene a casa si fece sentire insistente, ma sarebbe stato già il secondo rifiuto della settimana e i suoi amici si sarebbero arrabbiati. Il labbro inferiore le tremava, segno di un pianto imminente: aveva gli occhi gonfi di lacrime, teneva il capo abbassato, senza vedere dove stesse mettendo i piedi, con il rischio di andare addosso a qualcuno.

Il tragitto fu fin troppo breve, non le aveva dato il tempo di sfogarsi abbastanza. L'autobus vuoto era riempito dai suoi singhiozzi soffocati e dal rumore che faceva mentre si soffiava il naso col fazzoletto, probabilmente il terzo che prendeva nell'arco di venti minuti e il pacchetto era quasi del tutto consumato. Arrivò il momento di scendere e poté intravedere dallo specchietto l'occhiata impietosita che le lanciò l'autista, ci mancava solo lui.

Aveva ancora qualche minuto di strada prima di entrare al bunker. Cercò il piccolo specchio nella borsa per controllare in che condizioni fosse la sua faccia: le macchie rosse causate dalle lacrime coprivano le sue guance e si inorridì nel vedere il naso che poteva facilmente competere con quello di Rudolf, la renna di Babbo Natale. Non avrebbe potuto risolvere granché, per cui si rassegnò e raggiunse il seminterrato.

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