Capitolo 2

365 81 175
                                    

Mi corico sul letto e l'orario sul telefono segna le 3 di notte. Un promemoria per la mattina seguente mi ricorda l'esame di statistica avanzata.

Ovviamente non sono riuscita a sostenere nemmeno quello di statistica di base quindi dubito che abbia le capacità di fare questo.

Da quando non frequento più le lezioni la mia carriera universitaria sta andando in declino.

Eppure pensare di ricominciare a frequentare un'aula piena di persone che potrebbero sapere chi sono mi fa rabbrividire.
Non sono ancora pronta a sostenere quegli sguardi, il loro giudizio su quello che è successo quella notte dopo la festa di fine anno di quello che fu il mio primo anno universitario.

Vorrei avere la forza di andare, mi merito il loro disprezzo . Se riuscissi a sopportarlo forse riuscirei a sentirmi anche meno in colpa.

Ogni sera quando sono sola nel mio letto è una tortura del mio inconscio.
I pensieri mi logorano.

Chiudo gli occhi e anziché vedere il buio la mia mente mi riporta a quei momenti. Le sirene blu delle ambulanze, il sapore di ferro in bocca, l'umidità dell'asfalto e le urla dei soccorritori.

Spalanco le palpebre, terrorizzata da quei ricordi.

No.

Comincio ad agitarmi fino a sentire il sudore crearsi sulla fronte, l'affanno crescere inevitabilmente.

Mi metto seduta sul letto cercando di controllarmi.

Il mio cuore batte forte, quasi a voler uscire dal petto mentre l'aria non sembra volermi entrare nel corpo.

Scendo dal letto e mi rifugio in bagno, dove apro un po' la finestra e mi accascio per terra, sul pavimento freddo dove le mie mani lasciano impronte di sudore.

Uno, due, tre, quattro...

Respira Meg.

Mi rialzo da terra, aggrappandomi al lavandino e lavandomi il viso con acqua gelida.

La mia immagine allo specchio è pallida e provata.

Respira Meg.

Un altro attacco di panico, penso tra me e me quando riesco a calmarmi leggermente.

Anche questa notte non riuscirò a chiudere occhio.

Mi metto le scarpe e scendo le scale.
Nella grande camera da letto al primo piano scorgo mia madre, almeno lei sembra dormire serena nel suo letto.

Apro la scatola delle pastiglie e gliene preparo una sul comodino, riempiendo il solito bicchiere d'acqua.

Prendo le chiavi ed esco di casa.

Cammino senza una meta precisa finché non noto un locale ancora aperto.
Il dj deve aver tolto la musica da poco perché molte persone sono fuori a parlare in piccoli gruppi.

Passo sul marciapiede fuori dal locale, decisa a oltrepassarlo senza fermarmi.

Sento un verso strano e abbastanza disgustoso. Non faccio in tempo a voltarmi del tutto che in una frazione di secondo uno sconosciuto mi sta vomitando sulle scarpe e sulla parte bassa della tuta, che tra l'altro sarebbe anche il mio pigiama.

- Che schifo cazzo! -

- Scu...scusa...- dice il ragazzo tra i conati.

- Scusa una fottutissima minchia -
Il ragazzo continua a vomitare facendomi dei segni con la mano e cercando di non colpirmi nuovamente.

Mi tende la mano e io lo guardo qualche secondo, inorridita.

- Oh e va bene- borbotto in un moto di altruismo. Prendo la sua mano e gliela stringo, con l'altra gli prendo una spalla e cerco di aiutarlo a mantenere il suo equilibrio molto precario.

Escort or Brave Girl?Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora