3. Nel Cuore del Silenzio

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Seraphine's POV

"A volte le persone entrano nella nostra vita come ombre fugaci, ma lasciano un'impronta indelebile nel nostro cuore."

Il sole stava iniziando a calare, tingendo il cielo di sfumature arancioni e rosa, mentre camminavo lungo le strade semideserte del quartiere. Avevo bisogno di allontanarmi dalla scuola, da quel senso di inadeguatezza che sembrava seguirmi ovunque, dalla solitudine che ormai mi accompagnava come un'ombra. Camminare mi aiutava a schiarire i pensieri, a far scorrere il tempo senza dover affrontare direttamente tutto quello che mi opprimeva.

Mi fermai davanti a un piccolo bar dall'aria modesta, che avevo notato durante una delle mie passeggiate serali. Non era un bar qualsiasi, aveva qualcosa di speciale, forse per via dell'insegna in legno con scritte scolorite dal tempo o delle luci soffuse che filtravano dalle finestre. Sembrava uno di quei posti dove le persone venivano a nascondersi dal mondo, e in quel momento mi sembrava esattamente il luogo di cui avevo bisogno.

Decisi di entrare.

Appena varcata la soglia, un'ondata di calore mi avvolse. L'interno era accogliente, con mobili in legno scuro, pareti ricoperte di vecchie fotografie e una collezione di tazze appese dietro al bancone. L'odore di caffè appena macinato si mescolava a quello delle spezie, e una musica leggera riempiva l'aria, soffocando il brusio dei pochi clienti sparsi ai tavoli. Scelsi un angolo appartato vicino alla finestra, sperando di trovare un po' di pace. Mi sedetti e lasciai vagare lo sguardo, notando i dettagli che rendevano quel posto speciale: le piante appese in piccoli vasi di ceramica, le tovagliette ricamate a mano e il leggero tintinnio delle tazze che si sovrapponeva alla musica di sottofondo.

Stavo ancora cercando di rilassarmi quando la porta del bar si aprì di nuovo, e un movimento attirò la mia attenzione. Un ragazzo entrò, con i capelli scuri leggermente spettinati e un'aria stanca, come se il peso del mondo gravasse sulle sue spalle. Non sembrava accorgersi di me, ma c'era qualcosa in lui che mi incuriosì immediatamente. Era diverso dagli altri clienti: mentre tutti sembravano rilassati, immersi nelle loro conversazioni o concentrati sulle loro tazze di tè e caffè, lui sembrava isolato, distante, come se fosse lì fisicamente ma con la mente altrove.

Lo osservai mentre si avvicinava al bancone e ordinava qualcosa. La sua voce era bassa, e non riuscivo a capire cosa avesse detto. Mentre aspettava il suo drink, si guardò attorno, e per un attimo i nostri sguardi si incrociarono. Fu solo un secondo, ma bastò a farmi sentire una strana sensazione di connessione, come se ci fosse qualcosa di familiare in lui, anche se ero certa di non averlo mai visto prima.

Abbassai lo sguardo, cercando di ignorare l'improvviso nervosismo che mi aveva invaso. Non riuscivo a spiegarmi il perché, ma la sua presenza mi metteva a disagio, e allo stesso tempo mi incuriosiva. Mi sforzai di concentrarmi sul menù, fingendo di essere interessata ai nomi esotici delle bevande, ma ogni tanto il mio sguardo tornava a cercarlo, come se fossi attirata da una forza invisibile.

Il ragazzo prese il suo drink e si sedette dall'altra parte della stanza, lontano da me ma non abbastanza da impedirmi di percepire la sua presenza. Cercai di ignorarlo, di concentrarmi sul mio tè, ma ogni tanto alzavo lo sguardo e lo trovavo lì, assorto nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra. Mi chiedevo cosa stesse pensando, cosa lo avesse portato lì, in quel bar, proprio in quel momento. C'era qualcosa di malinconico in lui, qualcosa che mi faceva sentire una strana empatia, come se condividessimo lo stesso tipo di solitudine.

Ogni tanto i nostri occhi si incontravano, e ogni volta provavo una sensazione strana, come se stessi invadendo uno spazio privato, come se in quegli sguardi ci fosse qualcosa di non detto, un segreto che avrei dovuto capire ma che continuava a sfuggirmi.

La stanza sembrava improvvisamente troppo piccola, l'aria troppo densa. Il cuore mi batteva più velocemente del normale, e non riuscivo a spiegarmi il perché. Era solo un ragazzo, un estraneo in un bar, eppure c'era qualcosa di innegabilmente familiare in lui, qualcosa che mi faceva sentire inquieta e allo stesso tempo curiosa.

Quando lui finì il suo drink, si alzò con calma, lanciando un'ultima occhiata in mia direzione. Fu solo un attimo, ma mi sembrò che ci fosse qualcosa di significativo in quel gesto, come se volesse dirmi qualcosa, ma senza usare le parole. Poi, senza una parola, uscì dal bar. La porta si chiuse lentamente dietro di lui, e con essa sembrò chiudersi anche l'aria pesante che aveva riempito la stanza.

Rimasi seduta, con lo sguardo fisso sulla porta chiusa, come se aspettassi che lui tornasse indietro, come se in qualche modo avessi perso qualcosa senza sapere esattamente cosa fosse. Il silenzio che seguì la sua partenza mi sembrò diverso, più pesante. Non era più la tranquillità accogliente di prima, ma qualcosa di vuoto, come se il bar avesse perso la sua magia.

Quando finalmente decisi di alzarmi e andarmene, il cielo era ormai buio, e le strade erano deserte. Camminai lentamente verso l'albergo, cercando di convincermi che quello che avevo provato era solo il risultato di una giornata difficile, di un miscuglio di emozioni che mi aveva confusa. Ma, nonostante tutti i miei sforzi, non riuscivo a togliermi dalla mente il volto di quel ragazzo, e quella strana sensazione di vuoto che la sua partenza aveva lasciato dietro di sé.

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