8. Verità e Maschere

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Seraphine's POV

"In ogni conflitto, c'è un momento in cui le maschere cadono e la verità si rivela. E quello è il momento in cui tutto cambia."

Il peso dello sguardo di Adrian mi cade addosso, e per un attimo mi sentii intrappolata, come se stessi camminando su un filo sottile sospeso sopra un abisso. Non c'era conforto nei suoi occhi, solo la stessa indifferenza che avevo visto troppe volte in altre persone, persone che non si erano mai preoccupate davvero di conoscermi. La sua presenza era come un muro impenetrabile, e io mi sentivo persa davanti a quell'intransigenza.

«Hey,» disse Adrian, con quella sua voce bassa e controllata che sembrava trasmettere un comando silenzioso. «Perché sei qui?»

La sua domanda mi colpì come un promemoria del motivo per cui avrei dovuto evitare di venire qui in primo luogo. Non c'era nulla di semplice in questa situazione; il fatto che fossi lì, davanti a lui e a suo fratello, mi faceva sentire come se fossi finita in un gioco che non ero preparata a giocare. La mia mente era in subbuglio, e ogni parola sembrava gravare su di me come un macigno.

«Dovevo riportarti la tua camicia,» risposi, cercando di mantenere la mia voce neutra e controllata. Non volevo che percepisse il minimo segno di debolezza, che sembrava essere il mio peggior nemico in quel momento. Le mie mani erano leggermente tremanti, ma cercai di nasconderlo.

Adrian annuì distrattamente, senza distogliere lo sguardo da me. Ma non sembrava minimamente interessato alla camicia che gli avevo portato. Era come se stesse cercando qualcosa di diverso, come se volesse capire il vero motivo per cui ero lì. La sua espressione era un miscuglio di curiosità e disinteresse, un cocktail che non riuscivo a decifrare.

Dietro di lui, Asher mi guardava con un sorriso che era una miscela di divertimento e sprezzanza. La sua presenza era come un veleno che si diffondeva nell'aria, e potevo percepire la sua sfida, il suo divertimento nel vedermi scomoda. Era chiaro che gli piaceva giocare con le persone, e probabilmente io non ero diversa ai suoi occhi. Solo un'altra pedina nel suo piccolo e perverso gioco.

«Ecco,» dissi infine, prendendo la camicia dalla borsa e porgendola ad Adrian. «Non volevo disturbare.»

La tensione nella stanza era palpabile, e per un istante nessuno di noi disse nulla. Il silenzio era carico di significato, e io sentivo il mio battito cardiaco accelerare. Adrian prese la camicia con un movimento lento, quasi meditativo, ma non disse grazie, non fece nemmeno un cenno di riconoscenza. Era come se il semplice atto di riceverla fosse un favore che mi stava concedendo, un segnale di quanto poco gli importasse.

«Non c'era bisogno di venire fino a qui per questo,» disse infine, con un tono che sfiorava la noia, come se il mio gesto fosse una seccatura insignificante.

«Sì, probabilmente no,» risposi, mantenendo lo sguardo fisso su di lui. «Ma ora che sono qui, posso andare, giusto?»

Asher si mosse, facendosi più vicino, e il suo sorriso si fece ancora più largo, come se trovasse particolarmente divertente la mia situazione. «Già stanca della nostra compagnia, Principessa? Non ti piace stare qui con noi?»

Le sue parole, cariche di ironia e sarcasmo, mi fecero stringere i denti. Ogni parola era una piccola pugnalata, e stavo per rispondere, ma mi bloccai, cercando di non reagire alle sue provocazioni. Era difficile mantenere la calma quando ogni sua mossa sembrava progettata per mettermi in difficoltà.

Asher si avvicinò, il suo sorriso sembrava un enigma che non riuscivo a decifrare, e io sentii il mio cuore accelerare di nuovo. Era come se stesse cercando di mettermi alla prova, e io ero troppo orgogliosa per farmi abbattere. Volevo andare via, ma era chiaro che Asher non aveva intenzione di lasciarmi partire senza un'ultima parola.

«Cosa stai cercando di ottenere, Asher?» chiesi, cercando di mantenere la calma e il controllo. «Perché non lasci semplicemente che io me ne vada?»

Lui inclinò la testa, il sorriso indossato come una maschera che nascondeva una verità più profonda. «E come lo sai il mio nome?» chiese, alzando un sopracciglio con un'espressione di sorpresa calcolata.

Mi sentii colta di sorpresa. In effetti, non aveva menzionato il suo nome; me lo aveva detto Lilith, e la mia sicurezza vacillò per un momento. «L'ho sentito da Adrian,» risposi, cercando di sembrare sicura e impassibile.

«Ah, capisco,» rispose Asher, il suo sorriso diventando leggermente più smorzato, ma ancora infuso di una sorta di maligno divertimento.

L'atmosfera tra di noi era carica di tensione e sarcasmo, e sentivo che ogni parola era una sfida, un duello di volti e di volontà. Non avevo intenzione di restare più a lungo di quanto fosse necessario, e ogni secondo in più mi sembrava un'eternità.

«Comunque,» dissi con una freddezza decisa, cercando di mantenere la mia dignità intatta, «ho finito qui. Mi limito a restituire questa camicia. Se vuoi sapere il mio nome, dovresti chiedere a Adrian.»

Con un ultimo sguardo sprezzante verso Asher, che mi osservava con un'espressione di interesse misto a divertimento, mi girai e mi avviai verso l'uscita. I miei passi erano decisi, ma il peso degli sguardi di Asher e Adrian sulla mia schiena era quasi fisico. Sentivo gli occhi di Asher come una presenza opprimente, che mi accompagnava fino alla porta.

Uscita dalla villa, il respiro si fece più leggero e il mio cuore rallentò finalmente il battito frenetico. La tensione che avevo provato all'interno della villa sembrava dissolversi all'aria aperta, ma l'angoscia e il turbamento rimanevano. Non volevo pensare a quanto fosse stato strano e angosciante quell'incontro, ma non potevo fare a meno di riflettere su quanto mi avesse messo in discussione.

Con la mente ancora turbata, accesi l'auto e iniziai il viaggio verso l'albergo, cercando di non pensare a quanto quel breve incontro avesse scosso le mie certezze. Ogni passo che facevo mi allontanava fisicamente dal caos che avevo appena lasciato, ma emotivamente, il tumulto continuava a frullare dentro di me. L'incontro con Adrian e Asher non era stato solo un'interazione scomoda; era stato un riflesso brutale di quanto poco riuscivo a controllare la mia vita, un promemoria del disordine che regnava nei miei pensieri.

Mentre guidavo l'auto che avevo noleggiato per questi giorni, riflettevo sul fatto che non avevo altra scelta: l'albergo in cui alloggiavo era troppo lontano dalla città. Aspettavo ancora di essere assegnata a una famiglia ospitante, e il paesaggio notturno scorreva accanto a me, una cornice silenziosa per il caos che mi agitava dentro.

Le luci delle strade sembravano quasi danzare, e la mia mente vagava tra pensieri confusi, cercando di mettere insieme i pezzi di quell'incontro. Era la prima volta in vita mia che cercavo di fare un gesto gentile, ma l'apparente freddezza di Adrian e la provocazione di Asher avevano toccato un nervo scoperto. Sentivo che qualcosa dentro di me si era incrinato, lasciandomi in bilico tra il desiderio di capire e il timore di essermi spinta troppo oltre.

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