11. L'Eco Nascosto

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Seraphine's POV

"Nei momenti di fragilità, la verità si rivela nei dettagli più piccoli. A volte, è solo attraverso la tempesta che troviamo il coraggio di fare i conti con ciò che abbiamo cercato di dimenticare."

«Chi sono queste amiche?» chiese, mentre iniziava a scrivere con una rapidità sorprendente, gli occhi ancora puntati su di me, come se volesse analizzare ogni mio respiro.

Provai a concentrarmi, ma la testa mi pulsava e tutto intorno a me sembrava sfocato. «Lilith e... poi ci sono Elara e Selene... le ho conosciute oggi. Sono simpatiche...» risposi, biascicando le parole mentre cercavo di tenere insieme i ricordi confusi della serata. Ogni pensiero sembrava un'enorme fatica.

Asher non rispose. Scrisse qualcosa senza chiedere altro e poi mi restituì il telefono, come se fosse una questione già risolta. Non dissi niente. Ero troppo stanca, troppo confusa. Mi limitai a infilarlo nella borsa.

«Andiamo,» disse, senza attendere una risposta. In un attimo mi prese in braccio, stringendomi con sicurezza. Non ebbi nemmeno la forza di oppormi. Sprofondai contro il suo petto, sentendo il calore del suo corpo contrastare la sensazione di vertigine che mi annebbiava la testa.

Non sapevo quanto tempo fosse passato prima che ci trovassimo fuori, ma il freddo pungente dell'aria mi colpì improvviso. «Sta piovendo...» sussurrai, realizzando solo allora che la pioggia cadeva pesantemente, bagnandomi i capelli e gli abiti, mentre il vento tagliava la pelle come piccoli coltelli di ghiaccio.

Tremavo, e il mal di testa peggiorava. «Ho freddo,» mi lamentai, stringendomi le braccia al petto per cercare di riscaldarmi, anche se non serviva a nulla.

Asher si limitò a togliermi di dosso la borsa, poi si sfilò la sua giacca e me la mise sulle spalle, senza dire una parola.

«Asher...» provai a dire, ma la stanchezza e il freddo mi facevano faticare a formulare pensieri coerenti. Sentivo il suo corpo contro il mio, caldo e sicuro, e in un certo senso mi faceva sentire al sicuro, anche se la mia mente ancora lottava con la confusione.

Mentre camminava verso la sua macchina, aprì la portiera e mi adagiò con delicatezza sul sedile del passeggero. Si infilò al posto di guida, e mentre accendeva il motore, lasciò che il silenzio tra noi si allungasse per qualche istante. Poi, con quel suo tono calmo e velenosamente provocatorio, mi chiese: «Quindi... dov'è il castello della principessa?»

Lo fissai attraverso il velo della confusione, cercando di non perdermi nella sua voce, eppure il mal di testa e il caos nella mia testa sembravano amplificare ogni emozione. «È facile... trovare casa mia... io e mia madre... ogni anno piantiamo 999 tulipani...» balbettai, cercando di rispondere con qualche briciola di lucidità.

Lo sguardo di Asher era sempre fisso sulla strada, mentre girava un angolo dopo l'altro. Non diceva nulla, e la sua espressione era impassibile, come se quella situazione fosse solo un'altra notte qualunque. Io, invece, mi aggrappavo alla lucidità come potevo, il mio cervello ancora avvolto in una confusione appiccicosa.

«999 tulipani...» avevo balbettato poco prima, mentre tentavo di spiegargli dove abitavo. L'avevo detto come se fosse la cosa più ovvia al mondo. Ma più ci allontanavamo, più il dolore alla testa sembrava spingermi verso la realtà.

Asher continuava a guidare, girando strade che non riconoscevo, passando per quartieri familiari e altri sconosciuti. Ogni curva, ogni semaforo sembrava trascinarmi più a fondo in una nebbia mentale, finché non rimase solo la pioggia battente sui finestrini e il rumore costante delle ruote sull'asfalto bagnato.

Poi, lentamente, come un coltello che mi attraversava il petto, il ricordo emerse. Non era vero. Non piantavo più tulipani con mia madre. Non lo facevamo più da... da quando lei non c'era più. Il peso di quell'assenza mi colpì come un'onda.

«Non ci sono più...» sussurrai, la voce che tremava mentre mi rendevo conto di cosa avevo detto.

Asher non rispose, ma sentii un leggero cambio nel suo respiro, una tensione che si diffondeva nell'aria. Continuò a guidare, ma rallentò appena, come se sapesse che qualcosa stava per succedere.

Le lacrime iniziarono a scendere senza che me ne accorgessi. «Non ci sono più i tulipani...» balbettai, il nodo in gola diventava insopportabile. «Nessuno li pianta più... Mia madre...» Le parole uscirono spezzate, soffocate tra i singhiozzi che ormai non riuscivo più a trattenere. «Non c'è più nessuno che li pianta, Ash...»

Sentii il rumore del motore farsi più silenzioso mentre lui accostava l'auto. Il mondo intorno a noi sembrava fermarsi. Il mio respiro era irregolare, e le lacrime si mescolavano alla pioggia che rigava i finestrini.

Asher non parlava, ma la tensione nel suo corpo, nelle mani che stringevano il volante, era evidente. Alla fine, mi voltai verso di lui, cercando qualcosa nei suoi occhi che mi facesse sentire meno persa, meno spezzata.

Con voce bassa e ferma, finalmente parlò. «Seraphine...» Ma non c'era traccia di domande, solo il suono del mio nome, come se quello potesse bastare a contenere tutto il dolore che stavo provando.

Ma non poteva. «Non c'è più nessuno, Ash... Nessuno che pianta quei cazzo di tulipani...»

Asher mi fissò per un istante, il suo sguardo scuro e impenetrabile come la notte che ci avvolgeva. Poi, con un gesto lento e gentile, allungò una mano e mi asciugò una lacrima che scendeva sulla guancia. Il suo tocco era sorprendentemente delicato, ma portava con sé una strana sensazione di sollievo.

«Ci sono io ora, Seraphine,» disse infine, con una calma che mi fece tremare dentro. Non era una promessa dolce, non era una consolazione. Era una realtà ineluttabile.

Mi guardò con uno sguardo penetrante, e sentii una pesantezza al petto mentre la mia mente, sopraffatta dall'alcool e dal dolore, cominciava a spegnersi. La confusione e la tristezza che avevano saturato la mia mente si stavano lentamente dissolvendo in un torpore opprimente.

«Non ci sono più tulipani,» balbettai, la voce ormai una sottile vibrazione nel silenzio della macchina.

Asher non disse nulla. Solo mi avvolse nella sua giacca, il calore del suo corpo e il profumo muschiato che emanava sembravano avvolgermi come una coperta. Mi accorsi che le mie palpebre diventavano sempre più pesanti, e le ultime immagini che mi venivano in mente erano sfocate e distorte.

In quel momento, la mia testa crollò lentamente contro il suo petto, e con un sospiro quasi impercettibile, mi addormentai. Il mondo esterno divenne un indistinto mormorio, e mentre mi perdevo nel sonno, una parte di me si rese conto che, per la prima volta, c'era qualcuno che non mi stava giudicando, ma semplicemente... ci stava per me.

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