17. Provocazioni in Prima Fila

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Seraphine's POV

"Ogni pedina, anche la più piccola, ha il potere di scrivere la propria mossa e cambiare le sorti del gioco."

Gli sguardi mi perforavano da ogni angolo, ma cercai di ignorarli. Continuai a camminare con passo sicuro, come se non sentissi il mormorio che cresceva attorno a me. Dentro, però, sapevo che qualcosa non andava. Non poteva essere solo una mia impressione.

Una volta entrata, provai a svanire nella folla, a mischiarmi tra gli altri studenti come se non fossi la causa di quei sussurri. Ma non feci in tempo a calmarmi che Lilith mi venne incontro, con un'espressione incredula stampata sul volto. Non era il solito sorrisetto sarcastico: stavolta era davvero scioccata.

«Non provo neanche a chiederti perché hai la maglia di Asher White», disse, fissandomi negli occhi come se cercasse una risposta che sapeva non sarebbe arrivata facilmente. Poi, con un tono più diretto, aggiunse: «Ma perché cazzo hai la maglia di Asher White?»

Il mio respiro si bloccò per un attimo. Sapevo che era la sua maglia; l'avevo presa di fretta stamattina. Ma non potevo dirglielo. Dovevo negare.

«Non è la sua maglia», risposi in fretta, cercando di sembrare sicura di me. «È solo una maglia nera.»

Lilith alzò un sopracciglio, lo sguardo incredulo. «Sicura? Perché hai palesemente scritto 'White' sulle spalle, in caratteri cubitali. E il numero 21.»

Il cuore mi saltò un battito. Il sangue mi si gelò nelle vene. Tentai di girarmi, sentendo già il peso della verità su di me. Con un nodo in gola, guardai dietro di me. C'era scritto chiaramente: White 21.

Il sangue mi pulsava nelle orecchie e l'unico pensiero che riuscivo a formulare era che Asher White era uno stronzo. Aveva lasciato apposta quella maglia in bella vista, senza dire nulla, senza avvertirmi. Sapeva benissimo che l'avrei presa per sbaglio e si era goduto ogni singolo istante mentre io camminavo per la scuola come un'idiota con il suo nome stampato sulle spalle. E lui? Neanche una parola.

Avrei dovuto capirlo. Asher e il suo maledetto sorriso sornione. Era il tipo da orchestrare tutto questo per divertimento, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze. E ora, tutti mi guardavano come se fossi stata marchiata.

Lilith non smetteva di fissarmi, aspettando una risposta. Sentivo il suo sguardo, pesante come un macigno. Ma cosa avrei potuto dirle? Non potevo certo ammettere che avevo indossato la maglia di Asher per sbaglio, né tanto meno spiegare come ci fossi finita a casa sua.

«Tranquilla, non voglio davvero sapere cosa è successo tra di voi», disse, un sorriso che cercava di alleggerire la situazione.

Non potevo nascondere la mia frustrazione. «Non andare oltre, Lilith. Non c'è nessun 'noi'», risposi, cercando di mantenere un tono deciso.

Lilith sbuffò, incrociando le braccia. «Seraphine, non puoi essere così ingenua. Hai idea di cosa significhi indossare la maglia di Asher White? Qui non è solo una questione di abiti. Asher è il capitano della squadra di basket, Adrian, suo fratello, comanda la squadra di calcio, e Raven... beh, Raven è la regina indiscussa della pallavolo da quando ha messo piede in questa scuola. Sai cosa significa? Che sono al vertice. Tutto quello che fanno viene visto, analizzato, commentato.»

Mi fissò, il suo sguardo sempre più penetrante. «E ora tu stai camminando in giro con il nome di Asher stampato addosso. Lo capisci cosa pensano tutti? Non è solo una maglia. Stai lanciando un messaggio, anche se non vuoi. Con quella maglia, sembra che tu stia dicendo a tutti che sei sua, una sua proprietà, o che vorresti esserlo. In questa scuola, Asher non è solo un ragazzo qualunque: è una fottuta istituzione. Quindi, sì, tutti penseranno che tu e lui siete qualcosa. Che lui ti abbia marchiata.»

Lilith fece una pausa, incrociando le braccia e alzando un sopracciglio, come se si aspettasse che rispondessi. Poi sospirò, abbassando un po' la guardia.

«Ma, in fondo, è colpa mia. Mi ero dimenticata di spiegarti come funziona qui», continuò, con un tono meno accusatorio. «Devi prendere una posizione, Seraphine. Devi decidere chi vuoi essere in questa scuola. Non puoi semplicemente esistere, cercando di passare inosservata. O sei qualcuno o diventi la pedina di qualcun altro.»

«E tu chi sei?» chiesi a Lilith, inclinando la testa, curiosa di scoprire come si sentisse riguardo alla sua posizione.

Lilith sorrise, questa volta senza sarcasmo. «Io? Sono la capitana delle cheerleader. Non sarà come essere Asher o Adrian, ma è comunque una posizione che conta. Ho il mio posto, Seraphine, e so come muovermi. Nessuno mi dice cosa fare e nessuno mi considera una pedina.»

«E tu chi vuoi essere?» mi chiese, con uno sguardo serio.

«Certo, sicuramente una che non vuole girare con questa maglia addosso», risposi, ridacchiando, ma il mio tono era serio.

Lilith scrollò le spalle, con un'espressione di comprensione. «Vorrei poterti aiutare, ma non ho niente da darti.»

«Tranquilla, me la vedo io», risposi, decisa. Mi avvicinai al mio armadietto e lo aprii, frugando tra i libri e le cose sparse.

Mentre cercavo qualcosa, mi venne in mente un'idea audace. Senza pensarci troppo, mi tolsi la maglia di Asher, lasciandomi solo con il reggiseno. Lilith mi guardò, ma non sembrava scioccata; si limitò a sorridere divertita.

«Sei davvero seria?» chiese, divertita ma con un tono di incoraggiamento.

«Sì», dissi, capovolgendo la maglia e mettendola al contrario. «Adesso è solo una maglia nera, senza nome.» Me la rimisi e mi sistemai i capelli, cercando di sembrare sicura di me.

Proprio in quel momento, la campanella suonò, interrompendo il nostro momento di libertà. «Eccoci», dissi, prendendo un respiro profondo. «È ora di tornare in classe.»

«Ci vediamo dopo, ok?» disse Lilith, mentre si preparava a separarsi.

«Certo», risposi con un sorriso, sentendomi già un po' più leggera.

Quando entrai in aula, il suono della campanella che chiudeva il corridoio si mescolava al brusio degli studenti già seduti. La lezione di storia dell'arte era una delle mie preferite, ma oggi il mio umore era tutt'altro che entusiasta. Dovetti forzarmi a non pensare alla maglia di Asher mentre cercavo un posto libero.

Gli sguardi degli altri compagni si volgevano verso di me, alcuni curiosi, altri semplicemente divertiti. Mentre scansionavo la classe, notai che tutti i banchi erano occupati tranne uno: quello in prima fila, proprio davanti a quel fottuto stronzo di Asher White.

Le sue spalle larghe e il suo sorriso arrogante sembravano brillare sotto la luce dei fluorescenti, e la mia frustrazione aumentò. «Non posso davvero fare questo», pensai, ma l'unica opzione era quell'angusto spazio.

Mi sistemai nel banco, forzando il mio sguardo verso il davanti, ma la curiosità di Asher si sentiva come una pressione invisibile. Non potevo ignorarlo.

Appena mi sedetti, Asher si piegò in avanti, il suo sorriso arrogante era impossibile da ignorare. «Non riesci proprio a starmi lontana per neanche cinque minuti, eh?» disse, la voce carica di quel tono provocatorio che mi faceva impazzire.

«Ma che problemi hai?» gli chiesi, non riuscendo a nascondere la frustrazione nella mia voce. «Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace?»

Asher si piegò in avanti, il suo sorriso arrogante ancora presente. «Molti», rispose, con un tono che tradiva una certa soddisfazione. «Vuoi aiutarmi a risolverli?»

Ma proprio in quel momento, il professore alzò la voce, interrompendo il nostro scambio. «White e Saville, potreste farmi il favore di continuare la vostra discussione fuori dalla classe? Grazie.»

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