Lilith's POV
"Le parole sono come le frecce: una volta lanciate, non puoi più controllarle."
La festa era un vortice di luci e suoni, ma io mi sentivo come se fossi in una bolla, distante da tutto ciò che accadeva intorno a me. Le risate, la musica e il chiacchiericcio erano un sottofondo lontano, quasi ovattato. Ero immersa nei miei pensieri quando il mio telefono vibrò sul tavolo. Estrassi il cellulare e vidi un messaggio di Seraphine: "Lilith, ero stanca, sto tornando a casa."
Sospirai e mi guardai intorno. Non riuscivo a scorgere né Elara né Selene. Forse erano già andate via, o erano semplicemente nascoste tra la folla festante. Decisi di mandare loro un messaggio per avvisarle che sarei tornata a piedi. Cominciai a digitare, il mio umore già incerto, influenzato dal peso della pioggia che si intravedeva attraverso le finestre della villa.
Il cielo fuori era scuro e minaccioso, e il vento gelido soffiava tra gli alberi, mentre la pioggia cominciava a cadere in modo sempre più insistente. Mi avviai verso l'uscita, cercando di muovermi con cautela attraverso il fango e le pozzanghere che si erano formate lungo il percorso. La sensazione dell'acqua che mi penetrava attraverso i vestiti era sgradevole e il freddo sembrava penetrare fino alle ossa.
Camminavo lentamente, cercando di abituarmi al clima umido e al freddo che mi bagnava. La strada era lucida e scivolosa, e ogni passo che facevo sembrava più pesante. La pioggia mi colpiva senza pietà, facendomi rabbrividire attraverso il sottile vestito che indossavo. Non avevo pensato a portare una giacca o un ombrello, perché ero convinta che sarei tornata in macchina. Ma ora mi ritrovavo a camminare da sola, sotto il temporale, con il freddo che mi penetrava nelle ossa.
Le gocce scivolavano lungo la mia pelle, bagnandomi i capelli e appiccicando il vestito alle gambe. Non c'era molto da fare se non continuare a camminare e cercare di ignorare il disagio. Ogni tanto mi stringevo le braccia attorno al corpo, cercando invano di trattenere un po' di calore. La strada sembrava non finire mai, e il rumore della pioggia era l'unico suono a riempire il silenzio.
Improvvisamente, un rombo assordante interruppe la quiete della notte. Una moto. Non ci feci troppo caso all'inizio, pensando fosse solo qualcuno che passava per caso. Ma il rombo si avvicinava velocemente, diventando sempre più forte. Prima che potessi rendermene conto, un'enorme onda d'acqua mi colpì in pieno.
L'acqua fredda mi travolse dalla testa ai piedi, bagnandomi ancora di più. Mi fermai di colpo, sentendo l'acqua gelida scorrere lungo il viso e i vestiti già fradici. Il mio cuore accelerò mentre mi giravo di scatto per vedere chi fosse stato così imprudente. E lì lo vidi, la moto si allontanava con Adrian al volante. Mi guardò dallo specchietto retrovisore, il suo volto si illuminò con un sorriso malizioso prima che scomparisse nella distanza.
Avevo mentito a Seraphine dicendole che non conoscevo Adrian, ma in un certo senso era vero. Da quando ero tornata a Los Angeles, sembrava che un velo di nebbia si fosse steso tra di noi.
La rabbia esplose dentro di me come un fuoco improvviso. Quella guida spericolata e arrogante era la sua firma. Non si era nemmeno fermato. La mia frustrazione montava sempre di più, mescolandosi al freddo che mi avvolgeva.
Senza pensarci due volte, decisi che dovevo andare a casa sua. Non potevo lasciar correre. La rabbia montava dentro di me, alimentata dal freddo e dalla pioggia che continuava a cadere incessante, appesantendo il mio corpo e rendendo ogni passo verso casa sua una sfida. Ma non mi importava. Dovevo affrontarlo.
Arrivai davanti alla sua porta, bagnata fradicia e tremante, ma non era solo il freddo a farmi tremare. Era la frustrazione, la rabbia. Alzai la mano e suonai il campanello con forza. Nessuna risposta.
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NOTHING
RomansaChi mai chiamerebbe un locale a Los Angeles, "Los Angeles"? E soprattutto, chi sono questi cosiddetti "angeli"? Gli angeli di Los Angeles non hanno nulla di divino. Sono i fratelli White: Asher e Adrian, insieme a Raven, una ragazza priva di sentime...