12. Al verde

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È tarda mattina, il sole è già alto e mentre faccio colazione con pancetta e uova considero la situazione corrente. Visto che erano le ultime cose in frigo penso che dovranno fare anche da pranzo, quindi mi centellino ogni forchettata mentre sfoglio le carte dei miei lavori.

A parte una pratica impossibile aperta da settimane, di una madre che ha perso di vista la figlia maggiorenne, non c'è molto su cui lavorare. E uno degli ultimi lavori non me lo sono fatto pagare, perché invece di lavorare per il marito ho aiutato la moglie in una sua ricerca privata.

Tanto onore, poco denaro.

Prendo su il Borsalino solo per evitare il sole negli occhi e ritorno in strada a fare due passi, mentre una cappa di caldo mi avvolge. A cui si aggiunge anche quello emanato dalle strade, dove le moto cadono lentamente quando il cavalletto affonda nell'asfalto.

Procedo rasente ai muri per catturare qualche ombra di passaggio, finché arrivo all'ufficio postale, a spedire dei documenti con una richiesta di rimborso spese: ovviamente la risposta potrebbe anche arrivare ai miei eredi, meglio non farci affidamento.

Ci sarebbe un modo di far soldi veloci, ma non mi va di fare recupero crediti per gli strozzini, non oggi almeno. Forse domani.

Al mercato arrivo tardi, metà dei banchi sono vuoti e coperti. Non c'è neanche Agnese, magari mi dava una dritta se ci fosse qualcuno ad avere bisogno di un investigatore. Niente, tiro diritto e attraverso il quartiere silenzioso e abbandonato dai vacanzieri, in un clima post bellico: le auto parcheggiate sono poche e quelle scure emanano caldo come se fossero dei fornetti accesi.

Nel deserto di negozi chiusi, il bar di Viale Montenero sembra un'oasi, mi infilo dentro e chiedo un Amarum freddo. Gli amari come aperitivi non funzionano molto, ma non avendo intenzione di pranzare lo posso considerare un digestivo.

Chiedo al barista info su qualcuno dei miei contatti, ma la risposta è:
- Sarei dovuto andare in vacanza anch'io.

Mentre gioco col bicchiere ho un dejavu: la civetta della polizia che si ferma davanti al locale e i due ragazzini in divisa, gli stessi dell'altra volta, che entrano a cercarmi.

- Pagherò la prossima volta - dico alzandomi al barista, che fa un cenno col capo senza molte speranze.

- Ragazzi, non possiamo continuare a vederci così, sembra che mi arrestiate ogni settimana.

Loro non rispondono, effettivamente molto professionali. Come autisti, soprattutto.

In questura non sembra ci sia nessuno, so che Profeta in questo momento dovrebbe soggiornare sulle coste triestine dove si diletta con un certo natante di cui mi ha parlato, ma di cui non ricordo nessuna caratteristica, a parte la vela.

L'Ispettore Visconti di Qualchecosa è ansioso, mi fa sedere mentre lui rimane in piedi:
- Lei fa vacanza?
- No - sembra dispiaciuto, gli ho rovinato l'incipit del discorso.

- Quest'anno gliele voglio offrire io - dice anche se ho appena detto che non le faccio - Il 15 viene di metà settimana, ci potrebbe ricavare un bel ponte di 5-6 giorni.

Il mio calendario difficilmente distingue i feriali dai festivi, sto per rispondere in modo salace, ma poi mi fermo perché mi rendo conto che ha voglia di parlare.

- Per andare dove?
- Nella grande Mela, tutto spesato, non solo i giorni lavorativi, ma anche viaggio e alloggio. Adesso trovare quest'ultimo in estate non è stato facile perché dobbiamo evitare i posti troppo lussuosi... per motivi logistici, per non dare nell'occhio, chiaramente.

- New York? Devo accompagnare qualcuno?
- No, no, no, dovrà solo dare un'occhiata e dirmi cosa ne pensa della situazione. Poi si fa qualche giorno di vacanza in attesa di notizie e se non succede niente può tornare a casa.

- Dare un'occhiata a cosa?
- A chi, caro amico mio - rabbrividisco all'apertura - E il chi è mio figlio, quel bamboccione di mamma che non so come è riuscito a convincermi che avrebbe fatto un master di due anni alla Columbia Law School.

- E cosa devo guardare?
- Allora, allora - e si siede continuando a stringersi le mani mentre parla. Evidentemente sa di scoprirsi e ogni confidenza gli costerà perdita di autorità nel futuro.
- La storia è questa: è andato bene tutto il primo anno, poi doveva venire a casa questa estate per tornarci a settembre, ma non è mai arrivato.

- Sentire la Polizia di New York?
- Non posso, in effetti mi ha chiamato, ha detto che sta bene e di non preoccuparsi.

- Ah perfetto, quindi tutto a posto?
- No - fa disperato, mettendo le mani alle tempie - no!

Cambio posizione, mi sporgo in avanti per avere il massimo della sua attenzione.
- In pratica ho chiamato il campus e mi hanno detto che non dorme nella sua stanza da Giugno, quando molti europei sono partiti per le vacanze estive. Ho provato a richiamarlo, ma non risponde. Ho mandato dei messaggi cartacei e quelli li ha letti, perché mi ha richiamato dicendo di non disturbarlo che poi mi avrebbe spiegato.

- Va bene. Vado e lo trovo, ma se non vuole venire?
- A me basta sapere che non si droghi o che non sia traviato da qualche brutta compagnia: sa, è sempre mio figlio e io sono un nome noto.

Non lo sapevo, ma mi astengo dal dirlo.
- Va bene, mi dia qualche indicazione sugli indirizzi dove si dovrebbe trovare.

L'ispettore è visibilmente felice e quasi mi vuole abbracciare, ma il mio sguardo deve avergli ricordato le nostre posizioni.

Tende la mano e con l'altra mi passa un plico:
- Mi raccomando, non è una missione istituzionale. Il problema è  mio e sono soldi miei: qua c'è un po' di valuta, una carta di credito, i biglietti di andata e l'indirizzo dell'albergo. Si trova a Brooklyn perché costava meno, ma con la metro la Columbia Law School la raggiunge in venti minuti.

Il patto del BorsalinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora