18. Risposte

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- Cosa vuoi? - fa il più alto dei tre.
- Niente, bevo il mio caffè - rispondo alzando la tazza fumante.

- Non sei gradito - il più grasso.
- A chi?

- A noi - interviene il più magro, evidentemente era il più sveglio dei tre visto che gli altri due lo guardano per capire la mossa successiva.
- Non c'è bisogno di fare i bulli, vengo in pace.

Quello alto alla mia destra mi afferra il polso, stringendo con forza. Io con uno scatto tiro il braccio verso sinistra, mentre alzo l'altro pugno a incontrare la faccia che si proietta velocemente verso di me. Fare a pugni fa un male bestia alle nocche, non fatevi ingannare dai film, ma quando serve...
La scena è stata così veloce che agli altri due sono per qualche secondo basiti, mentre lui si tiene il naso rotto con entrambe le mani.

Quello grasso di fronte si sporge per afferrarmi oltre il piano, ma per me è facile tirarmi indietro di qualche centimetro e poi appoggiare entrambe le mani sulla sua testa, schiacciandola verso il basso. Altro naso malconcio.

- Voglio parlare con quel ragazzo che è andato via, smettetela di farvi male.
Il terzo alza le mani in segno di resa e dice:
- Che vuoi da loro... da lui?
- Vederlo e parlargli. L'ho già visto ieri peraltro. Ma che problemi avete? Lo tenete prigioniero?

- Ma... - salta su e sparisce in un attimo. Dall'ingresso sono entrate due guardie di sicurezza, forse chiamate dagli altri nella mensa.

Ovviamente con due nasi sanguinanti ai lati non posso sostenere molto il ruolo di indifeso turista e quindi vengo accompagnato più o meno bruscamente all'uscita, perché i due feriti insistono che non è successo niente.

Rimango in zona per un po', ma le due guardie restano sulla porta. Bisognerebbe aspettare che le acque si calmino un po', prima di tentare di rientrare: provo a sentire Tina, ma mette giù, sarà occupata al lavoro.
Ma se al suo filone di indagine ci pensa lei, io non ho finito le strade da esplorare, devo scoprire chi sono quelli che mi stavano seguendo.

Torno nel quartiere Dumbo, entro in un deli dove ordino un piatto di pancake con mirtilli e sciroppo d'acero. Quando la cameriera arriva le dico contento:
- In Italia non si usano i pancake, qua sono spettacolari.
Lei sorride, d'altro canto si deve guadagnare la mancia:
- Li facciamo noi, le uova sono delle galline del proprietario che le alleva qua a Brooklyn in un cortile tutto suo.
- È una bella zona, vero? Nei film la fanno sembrare più brutta.
- No, qua va bene, da diversi anni la polizia è sempre per strada, non ci sono più le gang di una volta, di solito occupano un angolo di qualche piazza e non fanno più fastidio.
- Si sono accordati con la polizia?
Lei si gira intorno, poi abbassa la voce:
- La polizia adesso usa sistemi forti, non lascia passare le cose, dicono che hanno iniziato a picchiare i bulli senza neanche portarli dentro.

Annuisco e penso che potrebbe essere una bella informazione da ricordarsi. Il telefono vibra, è un messaggio di Tina che mi dà appuntamento a più tardi in zona, vicino alla base del Ponte di Brooklyn.

Mi faccio una lunga passeggiata per le strade affollate di gente di tutti i tipi e di auto, soprattutto giallo taxi. Mi fermo in una piccola piazzetta con i piccioni e un vecchietto che dà loro briciole di qualcosa, ad alcuni tavolini giocatori di scacchi si scontrano serissimi, mentre gli skaters scorrono veloci per saltare dalla gradinata alle loro spalle.

Su una panchina controllo le mail, ci sono un paio di nuove richieste di appuntamenti: non male, speriamo di riprendere a lavorare bene. C'è anche una mail della signora che cerca la figlia, mi allega una foto più aggiornata della prima che mi aveva fatto vedere.
Si avvicina l'orario dell'appuntamento, metto via il telefono e mi sbrigo a passo veloce.

Lei arriva dall'altra direzione, sempre elegante, con un tailleur rosso così acceso che mi chiedo dove mai l'avrebbe potuto indossare se non negli USA. Sicuramente non teme di essere sotto mira, così vestita sarebbe il bersaglio perfetto.

Arriva con passo morbido, sicuramente si è accorta di essere guardata e toglie gli occhiali da sole all'ultimo istante, accompagnando lo sguardo indagatore con un bel sorriso.
Camminiamo lungo la riva, dove alcuni gabbiani passeggiano fra le gambe, indisturbati, andando in direzione del locale dell'altra sera.

- Ciao, come va? Hai scoperto qualcosa?
- Tutto a posto - dice lei, - come previsto il venditore del software voleva mantenere il suo margine molto alto pagandomi una cena. Il caviale era ottimo, devo ammettere.

- Ti ha offerto una parte del guadagno?
- No, no, sperava di essersela cavata con la cena, ti dico. Ma gli ho detto che se non mi dà il capitolato tecnico a giustificare il costo non glielo faccio passare.

- Lineare! Ti ha sparato?
- Ma no! - sorride - Però alla fine ha spifferato che un dieci per cento viene restituito al personale della ditta sotto forma di viaggio alle Hawaii per loro e le loro famiglie. Così si è assicurato la loro approvazione all'applicativo.

- Ma dai! Non lo avrai costretto a lasciare a casa i bambini dei dipendenti?
Lei ride. Mi dà un colpetto sul braccio e poi ritira subito la mano, forse un po' pentita di essersi presa troppo confidenza:
- Pensi che sia così cattiva? Abbiamo convenuto che mi dà il capitolato tecnico e che la percentuale per i dipendenti l'abbassi drasticamente. I bambini andranno con le famiglie alle cascate di Niagara che è comunque un bel viaggio.

- Bel colpo. Quindi possiamo depennare i tuoi amici dalla lista degli sparatori.
- Esatto. Anzi, adesso che ci penso se mi ridici il nome della signora che è rimasta uccisa faccio delle ricerche così escludiamo anche lei.

Mentre parla, prende il telefono in mano: evidentemente vibrava perché non l'ho sentito suonare, lo porta all'orecchio:
- No. Non posso, adesso - dall'altra parte c'è una voce d'uomo che va su e giù fra ragionamenti posati e richieste stridule - Dopo, più tardi. Lo so, lo so - la voce si fa più agitata e il viso di lei più scuro - A Brooklyn! Sì, proprio quella in america. Per lavoro. Domani torno. Ciao.
Abbassa il telefono, il viso è scuro.
- Problemi? Devi tornare?
- No, è solo il mio fidanzato e sì, in ogni caso qua ho finito.

Resto in silenzio. Fortunatamente siamo arrivati al locale dove avevamo deciso di restare a pranzo.
Non c'è più traccia di nastri della polizia e i tavoli sono tutti a posto: evidentemente le proteste del padrone del locale hanno avuto successo.

Ma prima che possiamo ordinare si siede al nostro tavolo il poliziotto irlandese, quello che mi aveva accolto con il detective, con la divisa un po' stazzonata come se ci avesse dormito dentro.
- Il colpevole torna sempre sul luogo del delitto - dice sorridendo in modo sgradevole.

Il patto del BorsalinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora