Mi risveglio lungo il bordo di un fosso, è quasi mattino. Ho la camicia tagliuzzata e sporca qua e là di chiazzette di sangue, come un quadro di un pollock stanco e monocromatico. Non so se sanno che non mi hanno fatto fuori, o magari non gliene frega niente neanche del contrario.
La cosa che mi scoccia di più è che mi abbiano preso la pistola, la mia piccola S&W 357. Provo ad alzarmi ma non riesco neanche a tirarmi su un gomito. Mi rotolo sulla schiena, fortunatamente il telefono è rimasto in tasca. Fra i preferiti ho pochi numeri: scrivo un sms di aiuto ad Agnese mandandogli le mie coordinate. Risvengo mentre ondate di dolore mi passano sul viso e sulle costole, dove devono avermi preso anche a calci.
Non so quanto tempo passa, mi sveglio mentre il Gianni mi sta tirando su come un bambino e mi porta nella sua utilitaria. Non capisco come faccia lui così grosso a entrare e guidare la cinquecento, con lei che continua a dargli indicazioni di tutti i tipi.
Mi portano a casa, ma tento di non dormire, l'ho già fatto troppo. Mi faccio una doccia, una caraffa di caffè, cerco la registrazione, il telefono è andato avanti per più di un'ora e mezza. Sbobino, taglio pezzi, ne faccio un riassunto, lavoro senza pausa anche se sembro crollare da un momento all'altro.
Scrivo, abbozzo e prendo appunti, ci sono diverse cose interessanti come appuntamenti per il ritiro di spedizioni, resoconti di pizzo raccolto, nomi di politici contattati per un paio di appalti e la data di un meeting a tre delle Furie e della Capa, sempre al Piano Bar, una mattina senza compari.
***
È Giovedì, il tempo sta per finire e comincio a temere di non starci dentro. Profeta ha detto che oggi Polizia e Carabinieri avrebbero fatto irruzione per sorprendere le tipe nell'appuntamento in solitaria. Arrivo sul posto circondato di camionette e jeep, dicono che hanno già bloccato un paio di auto piene di gente che faceva la guardia fuori. Si preparano a sfondare le porte.
Mi faccio prestare un'arma da Profeta, ma prometto di stare lontano. Non ho davvero voglia di farmi sparare, vado solo a guardare le finestre dietro. Ci sono agenti, alcuni in borghese, anche lungo il perimetro; una volta tanto è organizzata bene, mi dico.
Ma non faccio in tempo a pensarlo che vedo uno di questi che si allontana a chiacchierare con degli altri e lascia un buco evidente, una finestra sul retro. Mi avvicino mentre si sentono alcuni spari sul lato dell'ingresso; invece qui m'accorgo che tirano su la tapparella.
Vedo una Furia affacciarsi e provare a scavalcare. Riconosco il viso anche se non ricordo se è la Strega o la Bastarda.
— Ferma! — dico spianando la pistola. Lei lo fa, poi mi sorride in faccia e riprende a saltare. Sto per reagire quando mi trovo la canna di un'arma infilata nella guancia.Mi muovo di scatto, tiro su il braccio e spingo sul suo gomito per allontanare la pistola e contemporaneamente dò un calcio sulla rotula più vicina. Lui si piega, io gli strappo di mano l'arma e lo spingo a terra.
La Furia è a cavalcioni sul davanzale, ha tirato fuori un pistolone con la canna lunga e mi punta. Io mi copro con l'agente doppiogiochista ancora piegato in due, lei non esita e spara. È un calibro grosso e ogni colpo è un boato; rimbomba due volte e sento i contraccolpi nel corpo del tipo. Io mi sono buttato a terra e da lì rispondo sparandole addosso, lei si muove rapida, salta giù e s'infila dietro un bidone.
Non ha via d'uscita, ma non arriva nessuno a darmi una mano. Il tipo davanti a me è a terra fermo e sanguinante, purtroppo non posso farci niente.
Tengo la sua pistola, della mia ho già fatto fuori il caricatore. Invece la Furia non spara, ci tiene ai suoi colpi.— Uomo a terra! — urlo, anche se non c'è nessuno in vista, ma lei non può vedere dietro l'angolo. E infatti la smuovo: spara una cannonata, si tira su, un'altra e viene verso di me, provo a tirare fuori la testa, ma lei spara ancora, sento lo spostamento d'aria. Il ferito davanti non è granché come scudo, quando lei arriva a tre metri sono costretto a rispondere, le sparo alla spalla destra per farle cadere l'arma.
La prendo, il contraccolpo da questa distanza la fa girare su se stessa e cadere all'indietro. Ma non sta ferma: con la sinistra già cerca la grossa pistola e prova a rialzarsi.
Mi muovo io per andare a disarmarla, ma un altro boato mi sorprende. Alla finestra è apparsa l'altra Furia che mi spara addosso, sento bruciare sul collo. Mi ributto a terra, da questa distanza non ho altre possibilità, mi tuffo in avanti addosso alle gambe dell'altra, per tenerla giù.
Un altro botto, ma adesso sono addosso alla sua amica e spero la smetterà. Quella giù mi dà un calcio in pancia, da terra, lo sento tutto, però riesco a portarle via il pistolone.
Ancora un colpo, la Furia che s'affaccia non teme di colpire la compagna: non riesco a capire perché non si fermino, fra poco arriveranno tutti gli altri.
Spara ancora, il boato ha un riverbero inquietante, sembra un tuono. Mi becco altri calci da quella ferita, mi sdraio sulle sue caviglie per fermarla e intanto sparo ancora. Ma quell'altra non si muove, non tenta neanche di evitare i colpi, tiene dritta la sua arma verso di me e spara di nuovo.
Ancora un frastuono, ma forse è l'ultimo, io sparo a colpo sicuro, la vedo finalmente cadere. Quella a terra sotto di me si divincola ancora, mi afferra un braccio e mi dà un morso. Non riesco a staccarla, sembra un cane che non molla la preda, smette solo quando le punto la pistola in mezzo agli occhi.
In quel momento arriva finalmente un gruppo di carabinieri in tenuta d'assalto, attirati dai colpi. Hanno i fucili spianati, mi riconoscono, mi lasciano andare. Ho una ferita di striscio sul collo, me ne accorgo solo perché toccandomi ho ritirato la mano piena di sangue.
Vado alla finestra, facendo segno di guardare a un paio dei militari. All'interno c'è l'altra Furia, degna anche lei del suo nome, solo che ci ha rimesso le penne. Mentre siamo lì alla finestra, vediamo dalle stanze interne arrivare la squadra che ha sfondato sul davanti.
Anche se sono un po' provato dallo scontro entro dalla finestra e li seguo, sono curioso di vedere questa famosa Capa. Effettivamente le parole di Tina, che me l'ha descritta quasi come una statista, un dirigente illuminato, fanno a pugni con la ferocia e la testardaggine delle due Furie.
Mi inoltro nei corridoi, finché vedo una zona zeppa di bossoli e una porta distrutta, dove i paramedici stanno portando via una barella con un corpo coperto. Io vado in giro a cercare la mia pistola, ci tengo. In una piccola sala vicina scorgo un particolare che mi dà da pensare, mi fermo un attimo, mi tolgo il Borsalino: c'era un vassoio con tre tazzine di caffè e, assieme allo zucchero, un contenitore di cannella.
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Il patto del Borsalino
Mystery / ThrillerDisincantato ex-poliziotto che non ha mai fatto un giorno in divisa, si ritrova a fare l'investigatore un po' squattrinato in una metropoli milanese proiettata verso la modernità, ma con angoli di quartiere dove vivono le vecchie abitudini. Nonosta...