- Un colpo l'ha raggiunta, le ha spaccato il cuore e l'ha spinta giù, vede la sedia lì? È una di quelle rovesciate, là in mezzo a quelle stoviglie rotte e al cibo sparso.
Il poliziotto sta aggiornando un detective spiegandogli la situazione, mentre davanti a loro passa la barella: lui la ferma un attimo, solleva il lenzuolo e guarda il corpo facendo una smorfia.
Poi si gira verso di me, mentre un sanitario sta finendo di controllare Tina. Mi presento, mi chiede cosa faccio a New York e accenno al mio lavoro, al che lui fa una faccia seria:
- Hai pestato i piedi a qualcuno? - mi dice nell'inglese smozzicato da strada.
- Non credo di aver fatto in tempo - rispondo sinceramente, poi faccio mente locale sui tre tipi che fingevano di giocare con le carte siciliane e controllavano il corridoio del figlio dell'ispettore.Poi si gira verso Tina, che è imbufalita per come si è sporcato il suo tailleur, più per la meatball e il pomodoro che per la caduta. Stesse domande, risposte simili.
Il detective ci guarda e poi chiede a entrambi se abbiamo visto chi ha sparato.
Io faccio cenno di no, ero girato di spalle alla strada, invece lei risponde stringendo gli occhi come a riavvolgere la memoria:
- Erano in due, su una moto da strada giapponese, entrambi con un casco nero, jeans e due felpe nere. Hanno rallentato a guardare bene, si sono quasi fermati, quello dietro ha sparato tre colpi con la mano sinistra e dopo ho solo sentito la moto ripartire alla svelta.Il detective non nasconde la sorpresa, non aveva tirato fuori l'iPhone per prendere appunti, lo pesca in fretta e scrive tutto, poi ci lascia un suo biglietto e ci chiede il numero di cellulare e gli alberghi dove dormiamo. Si allontana dopo averci detto, in tono molto serio, di non allontanarci dalla città.
- Ostriche e champagne? Non è che sei stata un po' troppo dura al lavoro...
- O forse volevano aggiungere un buco alla tua camicia, invece?
- Oppure volevano la signora dietro di noi...
- Povera - mi fa lei - ma credo stia peggio il suo ragazzo - era sbiancato, seduto su una sedia con i gomiti appoggiati sulle ginocchia che raccontava spasmodicamente la vicenda a qualcuno. Che evidentemente non era contento e si vedeva.- Devo cambiarmi, mi accompagni che vado in albergo? - mi chiede in tono casuale.
- Non vorrai dormire nello stesso posto - dico io.
- Ma neanche tu nel tuo, a questo punto, per quello che ne sappiamo - fa pensierosa.
- Vero. Recuperiamo il tuo bagaglio e troviamo un posto nuovo per stasera. Il mio trolley è in un armadietto del campus, ma per una sera ne posso fare a meno.Chiediamo al taxi di fermarsi ad attendere sotto l'hotel di Tina, poi ci facciamo trasportare in centro a Brooklyn, nel quartiere di Bensonhurst che una volta era una seconda little Italy, ma anche questa ormai sempre meno particolare e più integrata. Ma ancora oggi pasticcerie e panettieri tengono il posto con onore.
Ci facciamo portare davanti un nuovo albergo, aspettiamo che il taxi si allontani e andiamo a piedi a cercarne un altro.
Gli odori si mescolano in un turbinio sensoriale: il profumo di lei, quello intenso dei pretzel caldi, di pizze appena sfornate, quello delle piante di un chiosco di fiori che si fondono con punte dell'olezzo di smog. Anche i rumori sono un concerto caotico: il continuo sibilo dei taxi perlopiù elettrici, il fracasso dei tram, le sirene lontane della polizia e il ronzio delle conversazioni affrettate dei passanti.
Troviamo un hotel mediamente normale, entriamo diretti e prendiamo una camera sola, senza neanche discuterne molto.
L'ultima volta che sono stato a New York io e Tano avevamo condiviso la stessa camera, più che altro per sicurezza. Eravamo arrivati per un accordo con la famiglia italoamericana, ma in realtà avevamo fatto di tutto per spaventarli, soprattutto descrivendo controlli di polizia e finanza che nella realtà sapevamo fossero inesistenti.
Ma loro insistevano che volevano venire a Palermo ad aprire un locale, o un ristorante o una pizzeria. Allora avevamo detto che nessuno avrebbe comprato da mangiare dagli americani.
E a quel punto c'era stata maretta, con due scagnozzi che urlavano che erano Siciliani veri e noi che gli rispondevamo per le rime.
Quindi quella sera avevamo dormito in un letto matrimoniale, mettendo una sveglia alle 3, perché come diceva Tanu "il kgb arrivava sempre alle quattro del mattino"
In realtà arrivarono alle cinque, ma li accogliemmo come fosse stato mezzogiorno, con tazze di caffè e vassoi di toast e brioche fatte preparare dall'albergo con una richiesta la sera prima. Quindi invece di una sparatoria ce la cavammo con una colazione.
Mentre controllo messaggi e mail sul telefono, Tina ha occupato il bagno e da una buona oretta sento solo sciacquettii e a tratti anche canticchiare. Non accendo le luci in camera, perché le tende sono troppo leggere per i miei gusti: quando lei finalmente apre la porta appare illuminata da dietro vestita in un colore inatteso, tutta di bianco, con i capelli raccolti e un'aureola di luce attorno.
Cerco di trattenere la tentazione di fissarla, ma è in realtà uno spettacolo e non sembra le dispiaccia un po' di attenzione.
Si muove con leggerezza, come una ballerina classica, raggiunge la scrivania dove ha lasciato il suo cellulare e, prima di immergersi nelle sue operazioni, si gira verso di me con un sorriso come a scusarsi di darmi le spalle.
Uno strano profumo avvolge ogni cosa, non è il suo classico, ma in quel momento è ovunque nella camera e lo attraverso come un banco di nebbia mentre raggiungo il bagno per il mio turno.
Mi rendo conto che non ho ragionato bene sullo scegliere una camera sola, che la situazione nella mente fertile dell'adolescente che è in ognuno di noi poteva sembrare eccitante, ma che nella realtà può risultare solo come segno di disattenzione.
Le elucubrazioni vagano di problema in problema, del tipo che senza trolley sono anche senza pigiama, che fortunatamente i due letti sono separati ma quello vicino alla porta è lontano dal bagno, che se ci attaccano alle quattro ma non mi sembra sia il caso di preoccuparsi. Forse è il fatto che dopo la mezzagiornata di viaggio non ho dormito niente o il forte odore di profumo dell'albergo che ormai mi stona, ma parte il mio solito mal di testa e non capisco più niente.
Non ricordo di essere uscito dal bagno, se mi ha chiamato lei, se sono andato a letto in quello giusto, se lei fosse sotto le coperte o meno, quella maledetta emicrania divora ogni mio ricordo.

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Il patto del Borsalino
Misterio / SuspensoDisincantato ex-poliziotto che non ha mai fatto un giorno in divisa, si ritrova a fare l'investigatore un po' squattrinato in una metropoli milanese proiettata verso la modernità, ma con angoli di quartiere dove vivono le vecchie abitudini. Nonosta...