3. Botte

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La sera sono di nuovo al Piano Bar. I quattro sono al solito posto, lo Sveglio mi porta a fare un giro attorno al locale e mi interroga, mi chiede se maneggio armi, se le so prendere e se le so dare.

Non invento niente, chiaro che cerca un buttafuori, piuttosto gli chiedo la paga e quando inizio.

Mi riporta indietro al tavolo dove giocano a carte e mi presenta, nomi senza sorprese, Carmelo e Salvo, lui si fa chiamare Vanni. Il quarto è Franzo che non mi stringe la mano, ha la faccia che ride ma gli occhi piccoli e ravvicinati che mi ammazzerebbero di botte.

Il lavoro è tosto, all'inizio arriva un casino di gente, mi faccio vedere attivo, poi quando cala la tensione mi imbosco in mezzo alla gente. Insomma mi comporto come ci si aspetta da un balordo che cerca lavoro perché non sa tenersi il suo.

***

È di nuovo Lunedì. La settimana è passata veloce: su internet ho trovato le facce delle Furie, fotografate dietro ai mariti in arresto. Ho letto un po' di storie ma niente di nuovo: spaccio nel boschetto vicino alla ferrovia, qualche negozio bruciato perché indietro col pizzo, il pestaggio di rumeni che pensavano di venire a ripulire le case nel quartiere.

In realtà tutto tranquillo o quasi, come se le notizie brutte non avessero più posto nella cronaca locale. Anche Agnese al mercato mi dice allargando le braccia che si scannano fra di loro, ma la gente la lasciano stare.

Le serate volano, non sono riuscito neanche a entrare a guardare le stanze dentro, mi tengono lontano.

Venerdì ho fatto tardi, sono arrivato appena in tempo a intercettare il Gianni prima che salisse a casa sua. Una bestia di uomo, una spanna più alto di me, meno male che non era troppo arrabbiato, l'ho portato in giro intorno al parchetto facendolo parlare. M'ha raccontato sei o sette volte la stessa storia del filobus che non faceva contatto finché non l'ha tirato su con le sue mani, tutto il mezzo e la gente dentro. Alla fine s'è addormentato su una panchina e lì l'ho lasciato. Ho avvisato Agnese e me ne sono andato a casa: poi invece di dormire sono crollato a letto appena in tempo con un'enorme esplosione in testa.

Insomma oggi è Lunedì. Temevo che stasera mi dessero buca, ma nessuno ha detto niente, quindi mi presento come gli altri giorni. Ceno alle diciotto con loro con delle cofane di pasta e polpette come gli ultimi italoamericani di Brooklyn. Poi ci diamo da fare, sistemiamo i paletti all'ingresso, controlliamo che nessuno abbia lasciato roba nascosta sotto i tavoli.

Facendo dei giri fuori attorno al complesso di edifici mi sono fatto un'idea di come sono messe le stanze interne e ho identificato le finestre della sala più grande. Vado quindi all'esterno a infilare un telefono craccato nella fessura laterale della tapparella, sperando che a nessuno venga in mente di tirarla giù.

Torno all'ingresso, dove già arrivano. Comincio a riconoscere facce, dopo una settimana di ricerche su Google. I boss e i luogotenenti arrivano portandosi la banda dietro, i capoccia vanno nelle stanze dentro, gli altri stanno ai tavolini del locale. Non c'è nessuno a suonare al piano, anche il palo sta solitario sul palco con le luci accese.

Non ci sono le belle ragazze classiche da Piano Bar, ma mentre me lo dico ne vedo arrivare una da urlo. Abito stretto, gonna lunga, uno spacco che mostra una gamba da modella, quasi non riesco a staccarne gli occhi. Mi passa vicino, sento il profumo leggermente fruttato, sa di mandorla.

Arriva ancora gente, ecco finalmente le Furie, le riconosco in mezzo a un gruppo di donne, non proprio delle belle signorine. Facce dure, capelli tirati indietro, giubbotti di pelle, unica cosa femminile le borse di Valentino, quelle con le borchie alla moda. Alcune delle compagne rimangono in sala, sparpagliandosi fra i tavolini, mentre loro si introducono oltre le porte interne.

Il patto del BorsalinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora