20. Convergenze

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I due inseguitori non si fanno seguire per molto tempo: forse già in accordo o grazie a una telefonata, ci seminano perché un grosso suv nero arriva a prenderli e riparte velocemente nonostante il traffico.

Cerco di fermare un taxi, invano, poi Tina mi indica uno Starbucks e quindi lascio perdere. Andiamo a prenderci un caffè dei loro, quasi mezzo litro di liquido denso, caldo e profumato in un ambiente accogliente. Ci sono studenti con libri aperti, professionisti con portatili, anche un paio di tavoli pieni di manager in riunione.

Ci sediamo a uno dei tavoli d'angolo dove lei tira fuori dalla borsa, come un prestigiatore, un portatile MacBook 12. Guardo stupito il colore dorato di tonalità rosa, mentre inizia rapidamente a spostare le dita sulla trackpad, alternando ogni tanto una svolazzata sulla tastiera.

- La targa è di un noleggiatore.
Non rispondo, se mi dà quella info non è sicuramente per fermarsi nella ricerca.

Continua:
- Ho chattato con il servizio di supporto e mi hanno dato il nome dell'azienda che ha noleggiato quell'auto. 

- Davvero?
- Ho scritto che è parcheggiata davanti alla mia e che avrei chiamato il carro attrezzi.

- Gentili, comunque.
- Ecco, il cliente è un'agenzia di sorveglianza e investigativa privata, non tanto grande.

- Adesso ci serve capire per chi lavorano.
- Allora, - continua a scorrere e scrivere mordendosi il labbro inferiore - ti faccio un riassunto veloce: ho letto nel loro sito la lista delle aziende per cui lavorano, i loro clienti migliori. Poi ho cercato conferenze stampa ed eventi organizzati da questi ultimi. Così ho trovato la faccia di uno che abbiamo visto oggi che appare alle spalle dei dirigenti di una ditta.

- Non male, chi sono? - le faccio un sorriso di sinceri complimenti.
- Gestiscono una catena di pizzerie in diverse città, con sede a Brooklyn.

- Andiamo a trovarli? - propongo.
- Dammi un quarto d'ora, finisci il tuo bicchierone - mi dice sorridendo, ma intanto ha ripreso a manipolare il povero portatile.

Ne approfitto per chiederle un'altra cosa:
- So che non c'entra, ma potresti farmi anche una ricerca su questa foto? È una ragazza di Milano che non torna da mesi a casa, anche se sembra una con la testa a posto, seria. La madre mi ha appena mandato questa foto, puoi fare qualche ricerca? Solo qualche minuto, dopo ti spiego.

Quando ho quasi finito il caffé, mi dice:
- Ho trovato delle info interessanti, per strada ti racconto.
- Andiamo - faccio alzandomi - se entriamo dalla porta principale non ci spareranno addosso. Credo.

Mi aspettavo un posto losco, una qualche dimora di inizio novecento nascosta in un giardino con alberi secolari e guardie armate ovunque.

Invece l'azienda sta in una palazzina moderna, tutta a vetri, su una piazza affollata. Il taxi ci lascia dal lato opposto dello slargo, che è per la maggior parte pedonale, con fontane raso terra da cui escono schizzi d'acqua dove dei bimbetti giocano. C'è un venditore di ciambelle di mille gusti e colori piazzato in centro, con una coda ordinata di mamme e impiegati.

Noi passiamo lungo il marciapiede, un po' per non stare scoperti, anche se il posto rende improbabili agguati. Come quasi dappertutto a New York in estate, il problema più grosso nel camminare sui marciapiedi è costituito dalla folata di aria gelida fuori dai negozi che stanno con le porte aperte.

Anche dal loro ingresso, un enorme porta di vetri, esce un getto di aria fredda che pizzica sulla pelle. L'atrio è ampio e circolare, con una statua sferica stile Giò Pomodoro al centro e una reception con tre addetti. Pensavo dovessimo litigare per avere un accesso al CEO dell'azienda, ma uno di loro si alza e ci porta verso degli ascensori tutti di vetro in un modo che sembra anche gentile.

Guardo Tina, anche lei è un po' sorpresa dall'ambiente così moderno e elegante. Dopo un lungo corridoio ci lascia in una sala riunioni piena di poster pubblicitari di piatti italiani, soprattutto pizza, tutte in stile molto glamour, con foto d'autore.

Dopo qualche secondo entrano nella sala quattro tipi enormi, di cui due già conosciuti, che si sistemano ai due lati della sedia a capotavola. I due ci guardano col cipiglio, ma nessuno parla, finché la porta non si apre e spunta il boss, il grande capo.

Dieci anni prima, quando alla fine della missione a New York ci avevano riportato in aeroporto, uno degli accompagnatori mi aveva stretto la mano e detto:
- Mi scuso dei ragazzi, sono giovani e impulsivi - lui era uno della generazione precedente, di quelli che erano stati esclusi dal progetto di sbarco a Palermo e lo avevano scoperto la sera della nostra discussione.
Aveva un bel viso dove si riconosceva qualche tratto genetico siciliano, pelle scura, occhi marroni, un baffo importante, un sigaro toscano ammezzato fra le labbra.

Lo rivedo adesso, identico, solo che il baffo è screziato di grigio con un alone giallo dove il sigaro è sempre allo stesso posto, sempre spento.
Mi guarda anche lui di traverso e chiede:
- Ci conosciamo?

Non rispondo, indeciso se spacciarmi suo ex-compagno di merenda o poliziotto infiltrato. Vado per entrambe le soluzioni:
- Dieci anni fa vi ho salvato da uno sbarco in Sicilia che vi avrebbe solo fatto del male.

- Adesso ricordo - sorride, ma non è proprio gioviale - Ti devo un favore come membro della famiglia, ma dovrei anche spararti come poliziotto.
Il clima è teso, ma conclude:
- Comunque ognuno deve fare il suo lavoro e questo lo rispetto, a quei tempi hai fatto il tuo sia come l'uno che l'altro. Se non sei venuto a darmi fastidio per me siamo pari.

- Ma? - chiedo, vista la pausa che ha fatto.
- Cosa ne sapete del locale in cui c'è stata la sparatoria?
Non rispondiamo. Sembrare ignoranti della situazione non è sempre una buona cosa, speriamo ci prenda solo per reticenti.

- Chiariamo subito che noi agiamo nella piena legalità e in accordo con le leggi dello Stato - aggiunge.
- Sì? E noi non siamo poliziotti - rispondo.

Lui stringe gli occhi e la bocca, sembra indeciso su come continuare.
Tina interviene:
- So che non siete più proprietari di quel ristorante.
- Il ristorante era nostro, di famiglia.

- Quindi? Lo rivolete? E sparate per questo?
- Noi siamo le vittime, cara signorina.

Mi sto chiedendo cosa succede. Chi sono loro? Perché non ci sparano subito? Perché farci seguire e poi ci ricevono senza problemi? Non ci hanno perquisito e la mia S&W pesa nella tasca della giacca.

- Se voi siete le vittime, chi sono quelli che hanno sparato?
Il capo non risponde, giocherella con il sigaro. Poi prende un gran respiro e disse:
- Vediamo, se vi dico cosa è successo voi mi aiuterete a prendere i criminali? Vi pagherò per il disturbo, ma non dovrete tirarvi indietro una volta che abbiamo iniziato. Mi aiuterete chiunque essi siano?

- Quelli che ci hanno sparato addosso? - risponde Tina - Assolutamente sì.
- Chiunque essi siano? - ribadisco io, non vorrei promettere cose che poi non siamo in grado di mantenere.

- Sì, ve lo dico, ma prima voglio sentire anche la tua parola che ci aiuterai.
- Va bene - rispondo dopo qualche secondo - Chi sono questi?

- Poliziotti, ecco chi sono.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 21 ⏰

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