La luce del crepuscolo è stata appena sostituita da quella dei lampioni, le strade si sono svuotate di chi voleva tornare a casa e non si sono ancora riempite di chi vorrà uscire per la sera.
Sotto questa luce vado a un appuntamento con un nuovo cliente, sento il peso della piccola rivoltella che mi accompagna sempre, anche se non capita quasi mai di usarla. Fare l'investigatore privato oggi non è mica come nei film, è quasi un lavoro da impiegati, un sacco di ricerche al computer, qualche pedinamento. Al massimo si rischia un pugno da un amante colto in mutande.
Appena entrato in polizia ero stato mandato a fare l'infiltrato in una cosca del palermitano. In quei dieci anni le ho date e le ho prese; mi resta come ricordo un occasionale e micidiale mal di testa, causato da una bella dose di microfratture al cranio. Se fossero state cicatrici esterne le avrei potute mostrare come i veterani di guerra, invece stanno nascoste e so solo che quando arriva non capisco più niente, il dolore è così forte che sono escluso dal mondo.
Quando ho smesso con la missione, lunga dieci anni, non mi hanno voluto in servizio attivo, al massimo mi offrivano una scrivania. Li ho mandati a quel paese e mi sono dato alla libera professione.
Adesso sono qua, su un marciapiede della periferia di Milano che non è dei più puliti, faccio lo slalom attorno a stronzi di cani di padroni stronzi.
Il locale spunta come un'oasi nel deserto del quartiere desolato. Davanti c'è poca gente, dentro anche meno, ma vado lo stesso a prendere il tavolo nell'angolo più lontano con vista sull'ingresso. Come segnale convenuto con il cliente faccio una cosa che non si fa, appoggio il Borsalino sul tavolo.
Il tipo che poco dopo entra nel locale non mi piace per niente: braccia troppo grosse per stare in una giacca così elegante. Non mi guarda, sembra indeciso solo un paio di secondi, va a sedersi casualmente sul tavolino a sinistra del mio.
Passano un paio di minuti, poi entra il secondo. La giacca ha lo stesso taglio del precedente: questo è più rapido nel posizionarsi, si mette al banco alla mia destra. Sono sicuro che se non avessi preso un posto all'angolo, ne avrei uno seduto alle spalle.
Chi arriva deve essere un pezzo grosso, anche se col nome non ho trovato niente. Sui social troppi Andrea Mannino, sui giornali troppo pochi. Comunque i due gorilla parlano chiaro, se non è un politico sarà un malavitoso, nel caso peggiore entrambi.
Vorrei andarmene, non ho nessuna intenzione di fare del lavoro sporco. Non faccio in tempo a pensarlo che una signora attraente si viene a sedere davanti a me. Non l'ho vista entrare e questo mi fa infuriare con me stesso. Era già dentro e m'ha anticipato: alta, elegante, capelli tirati in uno chignon, occhi neri profondi, alcune rughe coerenti con l'età, un sorriso amaro.
— Caffè? — mi chiede.Faccio un cenno al ragazzo del posto, non devo lasciare l'iniziativa a lei, almeno non così facilmente.
— Due caffè — chiedo io al cameriere.
— Uno con cannella al posto dello zucchero — mi corregge lei, sorprendendomi una seconda volta. Taglio corto e con un po' di sgarbo apro le trattative:
— Cosa vuole da me?
— Un patto e un lavoro.— Se accetto costeranno, il primo anche di più del secondo — il mio tono è professionale, gelido.
— La pagherò in anticipo, la cifra che vuole lei, ma dopo che avremo fatto il patto.Arrivano i caffè in due tazzine disegnate: lei apre il piccolo barattolo di cannella e con la punta del cucchiaio smuove la superficie della polvere marrone, per poi prenderne un po' dallo strato sotto. La osservo, guardo le mani meticolose, con il profumo che mi aggredisce con violenza e mi fa venire voglia di assaggiare.
Ma non è il momento, mi dà anche fastidio essere ipnotizzato dal suo carisma silenzioso.
— Che lavoro?Lei mescola il caffè con cura, mentre mi guarda dritto negli occhi. Come dicevo il sorriso è amaro:
— Va bene — dice, e poi sorseggia con attenzione il caffè come fosse l'ultima cosa concessale prima dell'esecuzione.
— So che lei ha un grande senso dell'onore. E a quello faccio riferimento.Taccio, quando ero un affiliato questa frase era la solita premessa prima di farmi fare una porcheria.
— La faccio breve: ci sono tre donne, tre malviventi che lei deve far prendere dalla polizia, vive o morte.
— Nel secondo caso non sarebbe una cattura — ghigno, giocando con la tazzina.— Se la scoprono non credo si faranno prendere senza sparare.
— Perché io? Perché non va dalla polizia?Ha abbassato gli occhi e mentre parla le lunghe dita disegnano figure nell'aria. Poi tira su il capo, guarda a destra, verso il banco dove c'è lo specchio, forse a cercare conferma con se stessa di fare la cosa giusta.
— In polizia hanno contatti, vengono avvisate prima. Le chiamano le Furie. Due Furie e una Capa.
— E come dovrei farle arrestare?— Si riuniscono in una sala interna di un Piano Bar in via dei Percossi, conosce?
— Sì, fuori città.— Il Lunedì sera. Si accordano su pizzo, consegne di droga, anche chi va legnato, chi va fatto sparire in silenzio e chi scannato in pubblico. Forse la polizia lo sa già, ma non ci vanno perché di solito si circondano di un sacco di gente.
Le dico la mia cifra e chiedo almeno un paio di settimane di tempo.
— Va bene, e... — e inizia a scrivere la cifra su un libretto di assegni, con lettere non eleganti, ma regolari, precise. Poi strappa con un movimento netto e senza indecisioni.Mi dà l'assegno e subito ne compila un altro, uguale, stesse cifre e stesse lettere regolari. Quando finisce mi porge il secondo assegno e continua la frase sospesa:
— ...il patto è: qualsiasi cosa succeda, qualsiasi sia la persona da denunciare, qualsiasi siano le sue motivazioni, lei non si ferma.Io lo afferro, ma lei non lo molla, continua a guardarmi dritto negli occhi: mi ha sorpreso ancora una volta, continuo a tirare, mentre vedo che quello al banco si sporge a controllare se non è l'inizio di una colluttazione.
— Va bene — lei lascia l'assegno e mi tende la mano. Femminile, ma la stretta è decisa. Non lascia la mia, la signora non è una dama da salotto, ha muscoli d'acciaio, forse palestrata. S'avvicina e mi dice sottovoce, con il sorriso che è sparito e gli occhi gelidi:
— Ha solo quindici giorni, dopo non mi potrò più fidare di lei.

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Il patto del Borsalino
Mystery / ThrillerDisincantato ex-poliziotto che non ha mai fatto un giorno in divisa, si ritrova a fare l'investigatore un po' squattrinato in una metropoli milanese proiettata verso la modernità, ma con angoli di quartiere dove vivono le vecchie abitudini. Nonosta...