Capitolo 13

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Ho dormito tutta la mattina. Mi sveglio frastornata come se fossero passati solo pochi minuti da quando ho chiuso gli occhi, ma è addirittura passata l'ora di pranzo. Chan. Mi alzo di colpo e corro giù in cucina. Sofia è seduta al bancone, mentre mangia un piatto di uova strapazzate.

-"Buongiorno stellina, ben svegliata" mi dice con la bocca piena appena mi vede, facendomi un occhiolino.

-"Sai dove sono i.." inizio a chiedere, guardandomi intorno sperando di vederlo. –"I ragazzi?" conclude Sofia per me. Si gira a guardarmi con un sorriso malizioso stampato sulla faccia. –"Sono usciti mezz'ora fa, li hai persi per poco." mi spiega, prendendo un altro boccone della sua colazione o del suo pranzo, non so bene come considerarlo. Volevo vederlo, augurargli buona fortuna per oggi ma il sonno ha avuto la meglio su di me. Mi siedo vicino a lei e butto la testa sul bancone, punendomi da sola. Sofia ride piano alla mia reazione e mi da qualche pacca sulla schiena. –"Ha chiesto di te" mi dice e la mia testa scatta immediatamente all'insù. Ride ancora di più, quasi non sputa tutto quello che ha in bocca ma io la scuoto. Non può morire ora, voglio prima sapere che ha chiesto, poi può fare quello che vuole. Quando cessa il pericolo di una sua imminente morte a causa delle uova, bevendo un sorso d'acqua mi dice –"Ha chiesto se stessi ancora dormendo e gli ho detto di sì, che ti eri addormentata tardi. Aspetta, mi sento ancora le uova in gola." Inizia a tossire e si allunga a prendere un altro po' d'acqua. La strozzo io fra due secondi. –"Ha detto che torneranno nel pomeriggio, probabilmente non prima di cena. Ah, ha detto anche che ha una sorpresa". –"Sorpresa? Che sorpresa?" mi alzo in piedi e mi metto a saltare afferrandola per le spalle. –"Deniz! Non ne ho idea, non ho chiesto. È andato via prima che potessi chiedere" cerca di spiegarmi, tra uno strattone e l'altro. Saltello fino al frigo, cercando qualcosa da mangiare. Mi sono sempre piaciute le sorprese: papà tornava sempre con qualcosa per me dai suoi viaggi. Mi piazzavo sul balcone di casa e aspettavo che tornasse perché sapevo che mi avrebbe portato qualcosa, una piccola sorpresa solo per me. Dà allora mi basta sentire la parola che vado su di giri. Decido di copiare l'idea della mia migliore amica e mi preparo delle uova, poi mi metto seduta di fronte a lei e iniziamo a chiacchierare su cosa potrebbe essere ma non ne ho la più pallida idea. Non vedo l'ora di scoprirlo.

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Passo il pomeriggio a disegnare, cercando di tenere la mente occupata. Sofia è tornata in città per passare un attimo in ufficio: a seguito dell'intervista di Rachele, hanno iniziato a contattarla per cercare di avere una mia dichiarazione sulle azioni di Marco. Ovviamente, non voglio dire nulla per ora quindi parlerà lei con la stampa a mio nome, tenendoli occupati per un po'. Con la coda dell'occhio continuo a guardare lo schermo del mio telefono, abbandonato vicino ai miei materiali da disegno. Forse dovrei chiamarla. Allungo la mano e cerco il numero di Rachele, sono sicura di non averlo cancellato. Appena vedo il suo nome, prendo coraggio e faccio partire la chiamata. La linea è libera ma dopo un'eternità capisco che non risponderà. Non la biasimo, sono la prima a non volerne parlare. Decido che la richiamerò tra un po' di giorni, quando le acque si saranno calmate e lei sarà pronta. Un bicchiere di thè caldo turco mi viene messo davanti, mentre la zia prende posto vicino a me e beve un sorso dal suo. –"Stai bene?" mi chiede, passandomi le mani tra i capelli. Prendo tra le mani il piccolo bicchiere e lascio che il torpore mi scaldi e mi dia il coraggio di parlare. –"Mmm, si. Starò meglio", le sorrido rassicurante cercando di convincere anche me stessa. –"Se penso che viveva con te e che poteva farti del male..." la voce le trema, mentre chiude gli occhi e scuote piano la testa come a voler scacciare via i pensieri. Le prendo piano la mano e appoggio la testa sulla sua spalla. –"Non è successo, non pensarci. Io sono qui", alzo leggermente la testa a guardarla e vedo che sta piangendo. Si sarà terrorizzata all'idea che mi fosse successo qualcosa. È mia zia, ma per la maggior parte della mia vita è stata come una mamma per me. Nessuno vorrebbe questo per i propri figli. Mi stringo ancora di più a lei, in modo che possa sentirmi. –"Sto bene, non ho neanche un graffio. Guarda" mi tiro su e le mostro le braccia, il collo e le gambe facendo una piroetta. Non voglio che ciò che è successo condizioni ancora le nostre vite, quindi cerco di alleggerire l'umore. Voglio solo andare avanti, senza più lacrime e problemi. Ne ho avuti abbastanza per una vita intera. Ci meritiamo entrambe un po' di felicità. Mi butto di nuovo sulla sedia vicino a lei e mi lascio abbracciare e coccolare, con lei che mi accarezza i capelli e li apre districandomi i nodi che mi si formano sulle punte. –"Benim güzel kızım..." me lo dice come una cantilena. La mia figlia bellissima. Sorrido piano asciugandomi le ultime lacrime, poso il bicchiere ormai vuoto sul suo piattino e poi mi riaccoccolo. –"Deniz, prima hanno chiamato da Milano" mi dice piano cambiando argomento, senza smettere di accarezzarmi la schiena. Mi tiro su di colpo e mi giro a guardarla, preoccupata. –"E' successo qualcosa? Stanno bene?" inizio a tartassarla di domande, la mia mente va a 100 chilometri orari mentre mi alzo in piedi, già in preda al panico.

-"Stanno bene, stanno bene. Non è successo nulla di grave, perchè sei così preoccupata?" mi chiede di fronte alla mia reazione esagerata. Se solo sapessi, teyze. Tiro un sospiro di sollievo ed evito la domanda, facendole un segno di continuare. –"Hanno chiamato perchè non trovano una chiavetta con dei file e gli servirebbe che qualcuno glieli mandasse. Hanno detto che uno dei ragazzi - Chan credo o forse Felix – deve averla lasciata attaccata al computer. Mi hanno chiesto solo di controllare, ma io non voglio entrare nelle camere dei ragazzi. Puoi farlo tu?" mi chiede. E così era distratto stamattina, penso vittoriosa. Sistemo le mie cose e poi la zia mi allunga un bigliettino con scritto la password del computer, l'indirizzo a cui spedire i file e cosa cercare. Salgo su e trovo subito il suo computer: lo ha lasciato sulla scrivania. Lo apro e faccio quello che mi chiedono senza sbirciare nei suoi file, non voglio invadere la sua privacy. Una volta finito, sono due le cose che noto. La prima è che come sfondo ha una foto di tutti loro insieme – hanno le mascherine quindi sarà stato durante la pandemia, e posano in posano in posizioni strane come se fossero ubriachi. La seconda è un file salvato "Deniz". Lo apro e lo faccio partire: è la canzone con cui mi ha lasciato giocare. Non l'ha eliminata. Sorrido al pensiero e sentendo l'orrore che ho creato, poi mi viene un'idea. Anche io voglio sorprenderlo. Potrebbe non riaprire più il file, però mai dire mai. Vedo il microfono attaccato al pc, lo accendo e poi – ringraziando il programma di registrazione in inglese e non in coreano – premo "start" e inizio a registrare. 

Le stelle che ci guardano / bangchanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora