Capitolo 21

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Settembre

Deniz

Mi sembra di essermi addormentata da 5 minuti quando sento il telefono squillare. Ero così stanca che non ho raggiunto manco la camera, sono crollata direttamente sul divano con la televisione ancora accesa. Mi allungo per prenderlo dal tavolino, con ancora gli occhi chiusi; quindi, non vedo chi mi sta chiamando e non so nemmeno che ore sono. Per me sono le 23.15 circa, ma chissà quanto ho dormito. –"Pronto?" dico prendendo la telefonata, senza controllare uno sbadiglio. –"Deniz...", è la voce di Rachele. Sembra...terrorizzata a morte, le trema tantissimo la voce. Guardo lo schermo del telefono: sono le quattro del mattino. –"Rachele, che succede?" dico, molto più sveglia di prima. Sentire la sua voce è stato come un secchio d'acqua gelido in faccia. –"P-puoi venire qui? Non so a chi chiedere, non volevo svegliarti. Io...", non riesce a finire tanto è scossa dal pianto. Salgo in macchina che la sto ancora rassicurando al telefono e in cinque minuti sono a casa sua. Ha cambiato appartamento da un po': gli avvocati le hanno consigliato di spostarsi e lei non voleva manco più stare nel suo vecchio appartamento. Diceva che sentiva la presenza di Marco e la capisco: me ne sono andata da casa mia per lo stesso motivo. Quando metto una mano sulla porta e questa si apre senza protestare, mi si stringe lo stomaco. Entro dentro chiamandola a gran voce, terrorizzata ma non risponde. Ti prego, fa che stia bene. La trovo raggomitolata sul pavimento della cucina che si tiene le gambe con le braccia. Ha lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi pieni di lacrime. Mi inginocchio davanti a lei ma non mi vede, finché non le appoggio le mie mani sulle sue. Sposta lentamente il suo sguardo su di me e poi lo alza verso il tavolo. Mi tiro su per vedere cosa l'ha turbata così tanto. Un mazzo di rose bianche, perfettamente confezionate. Saranno minimo cento, è gigantesco e occupa tutto lo spazio del piccolo tavolo del suo appartamento. Le stringo le mani per un secondo, per segnalarle che mi allontano da lei e lo guardo più da vicino. Riconosco il marchio del fioraio: ha sempre comprato li i fiori per il nostro anniversario. Solo a sentirne l'odore mi viene da vomitare. In mezzo alle rose c'è un piccolo biglietto che prendo con la mano che mi trema, incontrollabile.

"Fai la brava domani in tribunale"

Lo leggo più e più volte. La vista mi si annebbia, sento che potrei svenire da un momento all'altro ma Rachele fa un piccolo suono smorzato e rimetto a fuoco dove mi trovo. Strappo il biglietto e la raggiungo, costringendola ad alzarsi ma è un peso morto, non si regge in piedi. Quasi non cado sotto di lei, mi ci vuole tutta la forza che ho in corpo per trascinarla in bagno. Le bagno la faccia con acqua gelida, poi i polsi ma lei non risponde. È totalmente assente, chiusa nella sua mente. –"Rachele, ti prego. Guardami, sono qui" la imploro, dandole dei piccoli colpi sulle spalle ma non funziona. –"Mi dispiace ma non so che altro fare" le dico, spingendola in doccia e apro l'acqua fredda. Fa un piccolo urletto e mi guarda, finalmente, spaesata poi scoppia a piangere. –"Scusa, scusami. Non sapevo che fare" le dico abbracciandola, anche io sotto la doccia perché ho paura che crolli a terra. Ci vuole almeno un'ora e tre tazze di camomilla per calmarla. Non voglio lasciarla sola non quando è così terrorizzata, quindi decido di restare con lei. Si è rintanata sotto le coperte quando mi chiama piano, tirandomi la maglietta. –"E' stato lui", la sua non è una domanda. È una constatazione di fatto. –"Non mi lascerà mai andare, resterà sempre lì come un'ombra. Non riuscirò mai ad andare avanti" continua sottovoce, con gli occhi lucidi. Sentirla e vederla così mi distrugge. Lui le ha rovinato la vita, si è approfittato delle sue debolezze ma non più, non da domani. –"Tu stai già andando avanti, Rachele. Sei più forte di quanto tu creda. Non permettergli di avere ancora controllo sulla tua vita" le dico, abbracciandola forte. Più forte che posso. Non so cosa mi porti a tenere così tanto a lei. Altre persone nella mia situazione se ne sarebbero andate, l'avrebbero lasciata sola ma io non ce la faccio. Forse, è perché siamo entrambe sue vittime o forse è perché mi sento in colpa di non essere stata in grado di accorgermi di chi lui fosse veramente. Si addormenta dopo poco, anche se la sento che piange nel sonno e trema scossa dagli incubi. Io non riesco a dormire, penso a tutti quei messaggi. Pensavo che fossero scherzi, che me li mandasse qualcuno solo per spaventarmi. Li rivedo tutti nella mia testa. Mi sento gelare il sangue nelle vene quando capisco che potrebbe essere stato lui, che potrebbe avermi raggiunta nonostante lo abbia escluso dalla mia vita. Non dormo, non chiudo occhio pensando e ripensando a tutti i messaggi. Cercando un collegamento, qualcosa che mi dica che non è stato lui. Fisso il soffitto pietrificata, giocando con il braccialetto, cercando di calmare i battiti e non farmi prendere dal panico. Resto così immobile dalla paura, che non me ne accorgo quando sorge il sole. 

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Non sono riuscita ad andare in tribunale. Volevo darletutto il mio supporto ma un cliente mi ha bloccata a lavoro. L'ho chiamataappena è uscita: era più calma, nonostante la difesa l'abbia tarchiata e cercatodi denigrare con insinuazioni sulla sua persona, affermando che l'abbia sedottolei. Rachele non ha ceduto, però. Un piccolo passo. Ormai è diventato ilmantra della mia vita e spero con tutto il cuore che, passo dopo passo, Rachelericominci a vivere la sua, senza più fantasmi del passato. Mi sento ancoraterrorizzata da ieri notte: sento ancora la puzza delle rose sotto il naso, provocandomiun senso di nausea. Mi porto la testa fra le mani, cercando di calmare irespiri. In un angolo remoto della mia mente sento la voce di Chan checanticchia piano per calmarmi, esattamente come ha fatto sul prato. Ci ripensoogni volta che mi sento sopraffatta, che sia dal lavoro o da altro, ma oggi non basta. Apro delicatamente il computer e cerco un video, uno qualsiasi, dove ci sialui. Mi sono sempre proibita di farlo, non volevo soffrire ancora di più. Non volevoricadere in quel buco oscuro di pochi mesi fa ma voglio solo sentire la suavoce. Solo per un po'. Ne scelgo uno a caso e non appena inizia a parlare ilmio cuore salta un battito. È come se lo chiamasse. Chiudo gli occhi e ascolto,portandomi una mano sul cuore e respirando lentamente. Mi manchi così tanto,penso. Ricomincio a respirare e riapro piano gli occhi, liberando le lacrime mentrelo sento ridere dagli autoparlanti del computer. Sorrido tristemente e,nonostante voglia continuare a guardare, chiudo il pc perché altri due minuti e mi sarei messa a piangere disperata. Esco fuori sul piccolo balconcino del mioufficio a sentire l'aria fresca della sera. Ho scelto di proposito questa stanza, nonostante fosse la più piccola: volevo avere la possibilità di uscire fuori e respirare quando sento che le mura intorno a me si fanno più strette. Il mio sguardo si sposta verso l'alto, verso le stelle. Se ne vedono così tante stasera che non sembra di essere in città, sembra il cielo sopra la villa della zia. Chissà cosa stai facendo ora, penso e sovrappensiero la mia mano raggiunge il freddo del braccialetto. È diventato un movimento meccanico ormai,lo faccio ogni volta che la sua mancanza è troppo forte da levarmi il fiato. Sono così persa fra i miei pensieri che non sento i passi dietro di me e mi accorgo della sua presenza solo quando chiama il mio nome. Mi si gela il sangue a sentirglielo dire. Voltandomi, Marco è fermo sulla porta scorrevole del balconcino, bloccandomi l'uscita. Alza piano le mani sopra la testa come un carcerato. –"Voglio solo parlarti, 5 minuti" mi dice calmo, rilassato, sicurodi sé. Sa che non posso uscire, conosce questo ufficio a memoria. Ha sempre avuto quest'aura di perfezione intorno a sé. Si è sempre mostrato dolce e calmo, maadesso lo vedo nel suo sorriso calcolatore, mentre io rimango zitta, quanto tutto quello che mi ha mostrato e dato non sia stato solo che una maschera. –"Non sono mai riuscito a raggiungerti, a spiegare ...", parla lentamente come se fossiuna preda e potrei fuggire da un momento all'altro. Vorrei farlo. –"Non ci sonospiegazioni, non le voglio" dico, studiando ogni sua mossa, cercando di nascondere la paura ma lui non si avvicina. –"Io invece voglio che mi ascolti.Ti ho sempre amata, ho sempre cercato di proteggerti. Dal mondo, da me. Volevo dirti tutto, ma te ne saresti andata e non potevo perderti.", parla con un tono dolce ma il suo corpo dice altro, come se avesse studiato ciò che voleva dirmi per farmi tornare da lui. –"Ho preferito nascondertelo, piuttosto che ferirti.Non ti avrei mai fatto del male.", mi scappa una risata sprezzante e i suoi occhi cambiano, diventano più cupi, carichi di una furia silenziosa che non gli ho mai visto. –"Puoi continuare a raccontarmi le tue favole, ma sono parole vuote. Non contano niente" parlo con una voce ferma, ma sento le ossa tremare quando si sposta dallo stipite della porta per raggiungermi. –"Non ti avvicinare", per ogni suo passo in avanti, faccio un passo indietro finché non sento con la schiena la ringhiera del balcone. –"Deniz...non sono un mostro"bisbiglia. Parlare con lui è come vedere mille maschere intercambiarsi incontinuazione: un secondo prima è acceso dalla rabbia, poi è calmo, poi triste.Non ha nulla di vero. Sposto il telefono che tenevo dietro la schiena da quandoha iniziato a parlare, mostrandogli lo schermo. –"Hai chiamato la polizia?", mi raggiunge in due falcate e mi afferra per il polso, stringendolo. Sento il braccialetto che mi si conficca nella pelle. –"Vuoi un'altra denuncia o te ne vai?" gli chiedo, non lasciando mai il suo sguardo. Sostiene il mio sguardo perquelli che mi sembrano secondi interminabili, poi molla la presa e si allontanaverso la porta. –"Non hai mai portato braccialetti. Te ne ho regalati tanti, manon li hai mai messi perché dicevi che ti davano fastidio" gli sento dire mentre è di spalle, con solo la testa girata verso di me. Non rispondo, non si merita una spiegazione ma aspetta che dica qualcosa, qualsiasi cosa. –"Forse, non mi conosci bene come credi" dico sottovoce. Resta a fissarmi ancora un po' con uno sguardo gelido, poi annuisce piano e va via. Non mi ero resa conto di aver trattenuto il respiro, finché non mi lascio cadere a terra per riprendere fiato.

Le stelle che ci guardano / bangchanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora