Capitolo 28

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Deniz

Aveva ragione: adoro questo posto. Sul taxi, mi sono persa a guardare fuori dal finestrino i colori della città, i suoi palazzi, la quantità di persone che passeggiavano per le strade mangiando qualcosa che avevano comprato dalle bancarelle lì in strada. È tutto così...vivo e veloce qua che quasi non sapevo dove posare gli occhi, perché notavo sempre qualcosa di nuovo. Qui, nel giardino del palazzo reale, è esattamente l'opposto. È come se il tempo si fosse fermato; come se tutta la frenesia e la velocità del mondo fuori non potessero oltrepassare i cancelli, lasciando lo spazio incontaminato. Passeggio per ore, oltrepassando ponti dove hanno camminato re e principi ereditari, immersa nella foresta che è stata preservata perfettamente. È quando raggiungo il laghetto di Buyongji che rimango senza fiato: l'acqua, nonostante il freddo di fine novembre, non è ancora ghiacciata e riflette piccole strisce di luce calda dove il sole la colpisce. Al centro c'è una piccola isola naturale i cui alberi si piegano fino a sfiorare l'acqua. Chissà com'è sotto la neve o d'estate con i fiori di loto a colorare l'acqua, dev'essere il doppio – se non il triplo più suggestiva di così. Mi siedo sulle piccole scale in pietra della casa sull'acqua, sfiorando con le dita i ghirigori azzurri e dorati sulle porte di legno, portando lo sguardo al padiglione di fronte a me. È tutto così bello che fremo dalla voglia di disegnarlo, ma non voglio fare foto. Voglio tornarci e farlo dal vivo, come facevo una volta, prima di lavorare. Ci sono tante coppie qui che passeggiano, mano nella mano. Alcune in vestiti contemporanei, altre in colorati vestiti tradizionali coreani. Più li vedo e più non riesco a non pensare a quanto vorrei che ci fosse anche lui. Vorrei parlargli delle piante che conosco e di quelle che invece, siccome crescono solo qua, per me non hanno un nome. Vorrei poter passeggiare con lui, farmi riscaldare le mani nella sua giacca mentre siamo seduti a osservare i piccoli movimenti dell'acqua. È dolce amaro: vorrei fare tante cose "normali" con Chan, ma preferisco essere al suo fianco così piuttosto dell'inferno degli ultimi sei mesi. Il suono di una videochiamata dal mio telefono mi distoglie dal mio sogno ad occhi aperti di come potrebbe essere baciarlo sotto la calda luce del sole d'estate, avvolti dalle tettoie azzurre e rosse del padiglione. Mi metto le cuffie, per non disturbare il silenzio di questo posto, e rispondo.

–"Buon compleanno, stellina!", Sofia urla gioiosa suonando poi una di quelle trombette da un euro. Mi aveva cercato per giorni ma l'ho richiamata solo ieri dalla scrivania della sua camera con Chan sdraiato nel letto a cercare un film da guardare. Ha avuto la stessa identica reazione della zia, solo meno terrificante. Mi ha fatto mettere in vivavoce perché – "Devo fargli il discorso da migliore amica". Il classico "se le fai ancora del male, ti uccido" tipo discorso, ma la conosco troppo bene. Lo sentivo nella voce quanto fosse felice per me. –"Dove sei?" mi chiede curiosa, cercando di guardare alle mie spalle. Giro la telecamera del telefono per farle vedere il giardino segreto di Huwon. È sempre stato il suo sogno viaggiare in Corea, quindi non mi stupisco quando dice che mi odia. –"Non è carino da dire il giorno del mio compleanno", dico fra le risate. –"Beh, sei lì senza di me quindi te lo meriti. Chan è con te?", inclina piano la testa addolcendo lo sguardo. Faccio segno di no con la testa. –"E' a lavoro, ci vediamo stasera", le rispondo ma non riesco a nascondere la nota di preoccupazione nella mia voce ogni volta che penso all'agenzia e Sofia si mette subito sull'attenti. –"Che è successo? Avete litigato? Giuro, che lo am-" –"Sofi, no. Niente del genere, anzi. Va tutto bene.", dico addolcendo il tono per fermarla, anche perché è vero. È tutto perfetto fra di noi. –"Allora, cosa ti preoccupa?". Non si fa sfuggire veramente nulla. Sospiro piano, creando una piccola nuvoletta bianca di fronte a me con il mio respiro. –"E' solo che...non ne abbiamo parlato, dell'agenzia. Abbiamo parlato di tutto il resto, ma di quello no. L'unica cosa che mi ha detto è che gli parlerà, ma non so quando o cosa dirà. E se dovessero dire di nuovo di no? E se-", lascio andare tutte le mie paure, le nostre paure. Non ne parliamo perché siamo terrorizzati della risposta. Vogliamo mantenere questa piccola bolla di felicità, ma dovremo farlo, prima o poi. –"Li convincerà, andrà bene.", è il suo tono di voce a tranquillizzarmi, ci crede davvero. –"Me lo ha detto lui ieri sera che non ha mai smesso di pensarti e che non vuole più farti soffrire. Aveva un tono di voce Deniz...farà di tutto per evitarlo". L'ho visto anch'io nel suo sguardo: non era cattivo o cupo, solo determinato, sicuro di sè. Mi ha rassicurata vederlo così, tanto quanto sta facendo ora Sofia. Le sorrido alzando leggermente gli angoli della bocca, cercando di far andar via i pensieri. –"Gli altri come stanno? Rachele?" chiedo, cambiando argomento. Non la sento da quando sono partita da Istanbul. Le ho solo inviato un messaggio dicendole che partivo per un lavoro urgente e che non sapevo quando sarei tornata. Negli ultimi mesi ha lavorato sodo, nonostante gli impegni universitari e il processo. Per distrarsi, più che altro. L'ultima udienza a cui ho assistito è stato un massacro: continuavano ad accusarla, appigliandosi al fatto che sicuramente l'ha sedotto per avere un qualche torna conto; che avendo perso conoscenza non può essere sicura di essere stata stuprata. Guardava gli avvocati della difesa con sguardo vacuo, come se una parte di lei pensasse che è veramente colpa sua se lui ha fatto ciò che ha fatto. Avevo voglia di urlare o strangolare gli avvocati, ma non l'avrebbe aiutata. Marco non era presente in aula, non può più starle vicino. Né a me, né a lei: dopo le rose e la notte nel mio ufficio, abbiamo entrambe stilato un ordine restrittivo sotto consiglio degli avvocati, per sicurezza. –"Noi stiamo bene. Rachele...", le muore la voce in gola, -"Non voglio farti preoccupare ma lei non sta bene. Gli avvocati di Marco hanno aperto una causa. Vogliono farla passare per malata di mente siccome va in terapia", dice abbassando la voce, come se volesse proteggermi. –"Dimmi che stai scherzando", la voce mi esce in un sussurro sprezzante, carico di rabbia mentre Sofia scuote leggermente la testa. Lo so che non scherza, non scherzerebbe nessuno su una cosa del genere; semplicemente, non voglio crederci. –"Quel grandissimo figlio di –" –"Deniz...", la voce di Sofia mi blocca dall'insultarlo in tutte le lingue che conosco. –"Cosa?! Non è vero?", al diavolo il silenzio del giardino, mi stanno sentendo tutti. Una coppia di ragazzi mi lancia un'occhiata di fuoco a sentirmi parlare a voce così alta. Potrei spingerli nel laghetto. –"Si, è vero ma insultarlo non aiuta.", faccio per aprire bocca ma non mi da manco il tempo, -"E no, non puoi fare nulla tu. Le hai già trovato i migliori avvocati. Lascia fare a loro.". So che ha ragione, ma odio sentirmi così inutile, specialmente quando mi sento così coinvolta. –"Che posso fare allora?", le chiedo sospirando. Inclina leggermente la testa, poi mi sorride. –"Solo...continua a fare ciò che hai sempre fatto e oggi goditi il tuo compleanno. Ci penserai domani, ok?" mi dice ma sa anche lei che non ne sono capace quindi rincara la dose. –"Sei in una delle città più belle dell'Asia con la persona che ami, pensa a questo", mi strappa un sorriso. Parliamo ancora un po': di cosa farò stasera, se Chan mi farà un regalo ma le dico che probabilmente uscirà da lavoro poco prima di mezzanotte e non avrà tempo di prendere nulla – non che voglia, mi basta passare il tempo con lui. Mi chiede di passare da Olive Young a comprarle delle cose ma non capisco neanche di cosa stia parlando, quindi annuisco facendo finta di sapere. Quando chiudo la chiamata sto pensando ancora a Rachele. Sono preoccupata per lei: è bloccata in questo incubo e lui non smette di torturarla, per il suo tornaconto. Decido di scriverle un messaggio per dirle di chiamarmi quando vuole, che possiamo parlare e che, nonostante sia lontana, non vuol dire che non penso a lei e a ciò che sta passando. Sulla schermata vedo tanti messaggi di auguri: la zia, la signora Zeynep, colleghi, alcuni clienti. Poi ce n'è un altro. Era da settimane che non ne ricevevo, pensavo fossero finiti. Mi trema la mano mentre apro la foto di me seduta sugli scalini della casa sull'acqua, scattata da lontano. Il messaggio è quello che mi terrorizza di più.

"Non c'è un angolo di questo mondo dove io non possa raggiungerti".

Inizio a guardami intorno, scrutando le facce e le persone che mi circondano, cercando qualcuno di sospetto o che conosco, ma nulla. Ci sono solo coppie o persone normali che passeggiano tranquille. Il cuore mi rimbomba nelle orecchie così tanto che non sento il telefono squillare, non finché non mi richiama. –"Ehi", la voce di Chan dall'altro lato della linea è come un balsamo, dolce e tenera. –"Ehi...", la mia invece esce smorzata, attanagliata dalla paura. –"Deniz, stai bene? Hai una voce strana", sento il tono preoccupato della sua voce e altri rumori in sottofondo, come se stesse aprendo le porte per uscire e raggiungermi. Mi schiarisco la voce continuando a guardarmi intorno. –"Io...Sto bene. È solo il freddo" dico piano ma lui rimane in silenzio, dubbioso. –"Deniz, se c'è qualcosa che non va posso raggiungerti...". Ti prego, vieni subito. Vorrei dirglielo, urlarlo in mezzo secondo, ma lo farei preoccupare ancora di più. –"No, no. Resta a lavoro, sto bene. Sto tornando a casa in ogni caso, ho troppo freddo", dico mentre inizio ad incamminarmi verso l'uscita, continuando a guardarmi dietro. Faccio una piccola risata per cercare di tranquillizzarlo, e tranquillizzare anche me. Sento i ragazzi che lo chiamano in sottofondo e poi fa un respiro profondo. –"Devo andare..." mi dice ma, da come gli trema la voce, è ancora preoccupato. Vedo un taxi con la coda dell'occhio e alzo la mano per chiamarlo. –"Dovrei essere a casa per le 23 circa, poi ti porto in un posto", mi dice cambiando tono. È più vivace, riesco ad immaginare il suo sorriso mentre lo dice e il cuore rallenta, si calma sempre di più. –"Dove andiamo?" gli chiedo, salendo sul taxi e mostrando l'indirizzo che mi ha scritto Chan su un biglietto in coreano, per non sbagliare. Mi sento più al sicuro dentro la macchina che si allontana dal palazzo reale, ma non vedo l'ora di essere a casa. Chan torna a casa tra poche ore, penso e me lo ripeto più e più volte per rilassarmi. È la piccola risatina che fa prima di rispondere che mi calma totalmente. –"Sorpresa. Ah, prenditi un mio maglione dall'armadio. Ci sarà freddo".

Le stelle che ci guardano / bangchanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora