Capitolo 34

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Deniz

Nevica da ieri notte. Non avevo mai visto la neve. In Italia non ho mai avuto modo di fare una vacanza in montagna, quindi me la sono sempre persa. Qui invece è la normalità: "la prima neve" l'ha chiamata Chan la scorsa notte, sdraiato di fianco a me, lo sguardo verso la finestra della sua stanza. Mi sono sporta per prendere la sua maglia da terra e sono corsa a vedere più da vicino, così vicino che la punta del naso sfiorava il vetro gelido. La risata leggera di Chan alle mie spalle riempiva la stanza e non so cosa fosse più bello: se il panorama dei piccoli fiocchi bianchi che cadono illuminati dai palazzi della città o lui sdraiato a letto che mi guarda con un sorriso dolce, uno di quelli che mi fanno vedere solo una delle fossette, e con i capelli ricci scompigliati. Vedevo il suo petto alzarsi e abbassarsi lentamente, mentre allungava una mano fuori dal letto per richiamarmi a lui. Come se fossi lontana chilometri e non pochi passi. –"Non l'ho mai vista...", bisbigliai per non svegliare Jeongin nell'altra stanza, sedendomi vicino a lui sempre continuando a guardare fuori. Sentii la sua mano che delicatamente mi spostava i capelli dietro l'orecchio, fermandosi sulla mia guancia accarezzandola sovrappensiero mentre l'altra tracciava delle piccole linee sul mio fianco. C'era una dolcezza nel suo sguardo nuova: così pura, così profonda da togliermi il fiato. –"Cosa?" –"Sei bellissima", bisbigliò senza lasciare il mio sguardo. Si tirò su, continuando a passarmi le mani nei capelli delicatamente, come se potessi spezzarmi al suo tocco. –"Sei la cosa più bella della mia vita". Sembrava un momento sacro, così perfetto da fermare il tempo. Quando le sue labbra sfiorarono le mie fu delicato, come la neve che cade fuori nella notte, ma mi tolse le forze e il mio corpo si abbandonò totalmente a lui. –"Ti amo anch'io" sussurrai sulle sue labbra sentendo il suo sorriso. –"Vuoi vederla più da vicino?" mi chiese, ma lo stavo già tirando giù dal letto, lanciandogli dei vestiti da mettere. Si stava ancora mettendo il berretto mentre mi spingeva fuori dalla porta del palazzo sotto la neve. Rimase lì fermo sulla porta a guardarmi, mentre correvo tenendo le mani davanti a me cercando di prendere i fiocchi bianchi. Era incantato. Mi ha raggiunta in due falcate, sollevandomi da terra e facendomi girare. Non sentivo freddo, non con lui a stringermi così forte, non con i suoi baci che mi riscaldavano il cuore e l'anima. Ho capito ieri notte che non potrei mai essere più felice di così.

-"Signora Deniz, sta bene?", la voce di Garrett, la guardia del corpo di Chan, mi risveglia dal sogno ad occhi aperti. È seduto vicino a me al tavolo di un caffè, una tazza di caffè americano ormai freddo davanti a lui, e mi guarda con uno sguardo preoccupato. Annuisco piano e riporto lo sguardo sul computer davanti a me, cercando di lavorare. Sta con me dalla mattina presto fino a quando Chan non finisce di lavorare e può stare con me. Non mi lasciano mai da sola. All'inizio detestavo la sua presenza: era come un'ombra asfissiante. Non si avvicinava mai ma era sempre lì, ad osservarmi e controllare tutto ciò che mi circondava. Però, ogni volta che l'istinto mi diceva di scappare, ripensavo a Chan che crolla a terra terrorizzato che mi supplica di accettare. Quella sera, ha fatto fatica ad addormentarsi da quanto era irrequieto. Mi ha stretta forte sotto al piumino, come ad assicurarsi che fossi lì in carne ed ossa. Sentivo la sua voce tremante che ripeteva –"Non posso perderti, non posso perderti...", vicino a singhiozzare. Ho passato tutta la notte a rassicurarlo, anche dopo che ha chiuso gli occhi, bisbigliando –"Non mi perderai. Sono qui" mentre sentivo il suo corpo che tremava scosso dagli incubi. Per questo, non sono mai scappata ma non potevo sopportare che fosse solo un'ombra. Una mattina stava per sedersi a due tavoli più distante da me ma l'ho costretto a prendere posto vicino a me. Se mi deve fare da scudo, tanto vale che mi stia appiccicato e che mi parli. È affezionato a Chan in una maniera indescrivibile: si conoscono da moltissimi anni e mi racconta un aneddoto nuovo su di lui almeno una volta al giorno. Per Garrett è come un fratello più piccolo. Mi ha detto che, quando lo ha chiamato chiedendogli di proteggere la sua ragazza, non l'aveva mai sentito così spaventato. Non ha potuto dirgli di no. Oggi però è in silenzio mentre guarda intorno a noi, lanciando delle piccole occhiate al suo telefono abbandonato sul tavolo. Ogni notifica che gli arriva si lancia dalla sedia per prenderlo e guardarlo, per poi rimetterlo dove l'ha lasciato sospirando. Alla sesta volta che lo fa perdo la pazienza. –"Aspetti notizie?", chiedo continuando a guardare i calcoli strutturali di un progetto. Annuisce piano e si rimette composto, ma quando arriva un'altra notifica e lo rifà, chiudo forte il computer e mi giro a guardarlo.

Le stelle che ci guardano / bangchanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora