Capitolo 23

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Deniz

Si dice che a Istanbul il tempo si ferma e che puoi trovare la meraviglia ad ogni angolo. Il mio sguardo si posa su tutte le piccole cose che rendono questa città così viva, mentre passeggio sul lungomare con la signora Zeynep: un signore anziano che pesca sul bordo nella notte; i gatti che camminano fra le persone, indisturbati dalla loro presenza; le piccole bancarelle di simit che riempiono le strade di profumo di pane anche a tarda sera; le luci rosse che illuminano il Bosforo del Ponte dei Martiri che collega le due parti della città. Mi lascio rapire da tutto, mentre la signora Zeynep mi racconta delle serate passate con la mamma su questo lungomare, serate a parlare di sogni e di speranze. –"E' qui che mi ha detto di essere incinta di te, sai?" mi dice, indicando una panchina nascosta fra gli alberi. Sorride piano, ripensandoci. –"Era tornata senza tuo padre. Per far visita ai suoi genitori, mi aveva detto. Mi ha chiamata dicendomi che doveva dirmi qualcosa di importante, che non lo sapeva ancora nessuno e che era urgente. Quando l'ho vista aveva una faccia: sembrava che stesse per svenire. Pensavo che fosse successo qualcosa a tuo padre o che lei stesse male o che i suoi genitori stessero male, ero terrorizzata. Poi mi ha guardato e ha alzato gli angoli della bocca in un sorriso scherzoso, prima di dirmi che era incinta, scoppiando a ridere per la mia espressione di sorpresa. Le piaceva farmi spaventare, diceva che ne valeva la pena per le mie reazioni" dice, prendendo posto sulla stessa panchina, lasciandosi trasportare dalla nostalgia. Mi piace sentire parlare della mamma, ascoltare le loro storie. Non ho mai conosciuto questa parte di lei e la signora Zeynep mi permette di colmare i vuoti che ho. La ascolto parlare per ore, condividendo una busta di semi di girasole che non mangio da secoli. Non hanno lo stesso sapore in Italia. –"Sarebbe incredibilmente fiera della donna che sei diventata. Entrambi lo sarebbero", dice dolcemente, prendendomi una mano abbandonata sulla panchina fra me e lei. Spero che sia così, penso ma non rispondo – il magone che ho in gola me lo impedisce. Ci guardiamo simultaneamente ed abbiamo entrambe il viso rigato dalle lacrime. –"Se fosse qui, odierebbe vederci in questo stato", mi dice ridendo e non posso fare a meno di farmi scappare una risatina.

"Deniz, per oggi basta. Dai amore, esci dall'acqua. Non piangere", mi dice dolcemente la mamma nei miei ricordi. "Ma mamma, ti prego, ancora un po'" gli chiedo con le lacrime agli occhi, sbattendo le mani sull'acqua della piscina della villa. "Amore di papà, hai tutta l'estate. Avrai tutte le dita raggrinzite ormai, esci dai", mi dice papà accovacciandosi sul bordo vicino alle scalette. "Che vuol dire raggrinzite?" chiedo, confusa dalla nuova parola, facendo ridere i miei genitori. –"Andate, ci penso io a lei. Perderete il volo", dice zia Sanem mentre si alza dalla sdraio, per raggiungere i miei genitori e farmi un occhiolino d'intesa. Nessuna delle due sapeva che quel giorno li avremmo visti per l'ultima volta. Se solo avessi saputo, sarei uscita di corsa dall'acqua per abbracciarli, per chiedergli di non partire e di restare con me. Invece, li ho solo salutati mandando un bacio con la mano mentre continuavo a giocare in piscina. Chiudo gli occhi e ripenso a quel momento, riafferrando il suono della voce dei miei genitori, aggrappandomi a quel piccolo ricordo per non dimenticare la loro voce. Sono così persa nei miei pensieri che non sento il telefono squillare, finché la signora Zeynep non mi mette una mano sulla spalla chiedendomi se rispondo. Guardo lo schermo illuminato totalmente spaesata, ma è un numero sconosciuto. Potrei lasciarlo squillare finché non smette, però poi leggo la provenienza della chiamata e scatto della panchina: Seoul, Corea del Sud. Il mio cuore si ferma, penso di avere un infarto in corso. Quando rispondo, la voce di Felix mi riempie le orecchie. –"Pronto? Deniz? Sono Felix, possiamo parlare?" sento altre mille voci intorno a lui, ovattate dalla linea. –"Come hai fatto ad avere il mio numero?" chiedo con calma, poi mi agito perché non avrebbero chiamato mai se non fosse stato importante, se non fosse successo qualcosa. –"Chan sta bene? È successo qualcosa?" sento il cuore che mi esplode e mi porto una mano al petto in preda al panico. –"Sta bene fisicamente, non ha un graffio" mi dice dolcemente e io tiro un sospiro di sollievo. Allora che cosa... - "Ma è distrutto. Mangia sempre meno e passa il suo tempo riempiendosi di lavoro per non pensare. Per non pensarti. Si sta distruggendo da solo. Siamo preoccupati per lui, ma non ci ascolta. Credo che solo tu possa parlagli e raggiungerlo in qualche modo. Non ha mai amato nessuno, come ama te", ha il fiatone da quanto parla veloce. Sento le voci degli altri in sottofondo e capisco che lui non c'è, che mi hanno cercata alle sue spalle. Devono essere preoccupatissimi per fare una cosa del genere. –"Sappiamo che hai sofferto tantissimo e che probabilmente non lo vuoi vedere, ma non sappiamo cosa fare. Tutto questo lo sta uccidendo" la voce gli trema mentre finisce di parlare e percepisco tutti e sette li che aspettano una mia risposta, che dica qualsiasi cosa. Mi cade lo sguardo sul braccialetto e sulla mano che mi stringe la signora Zeynep. Non ho mai agito d'istinto: penso e ripenso trecento volte prima di agire a tutti gli scenari possibili; ma più guardo l'incisione più la mia razionalità svanisce. –"Aspetta.." dico con una voce smorzata e portando una mano sull'autoparlante. La signora Zeynep ha uno sguardo preoccupato, probabilmente lo stesso che le causava mia mamma ogni volta che voleva spaventarla. La abbraccio forte e mi scuso ma le prometto che le spiegherò tutto. Mi volto e inizio a correre verso la strada per fermare un taxi.

-"Sto andando in aeroporto. Dimmi l'indirizzo"

Le stelle che ci guardano / bangchanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora