Capitolo 31

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Deniz

Ci è voluto un po' per far capire a Chan che, senza un permesso di soggiorno lavorativo, mi avrebbero deportato. Continuava a chiedermi di restare, di rimandare la partenza. Alla fine, abbiamo ingannato il sistema: sono tornata a casa per qualche giorno e poi ho preso un altro volo per la Corea. Resterò qui fino alla loro partenza per il Giappone, per il tour. Sono sdraiata sul suo letto che guardo l'ennesima foto che mi manda la zia da casa: è una foto della casa sull'albero della villa, illuminata da tutte le lucine che ho messo quasi sette mesi fa ormai. Rivedere mia zia è stata la prima cosa che ho fatto appena tornata. È stata comprensiva con me – con noi – ma un conto è parlarne per telefono, un altro è farlo faccia a faccia vedendo le sue reazioni. Tornare alla villa non è stato più così doloroso: posso godermi la mia casa d'infanzia senza che mi manchi l'aria e senza che l'ombra di un incubo si aggiri per le stanze e il giardino della villa. Abbiamo parlato per ore, sedute al bancone della cucina, bevendo una tazza del suo buonissimo thè, di tutto quello che è successo. Le ho raccontato cosa mi ha detto e quanto mi ha distrutto vederlo in quello stato. Sapevo che non me ne sarei andata, e ne era consapevole anche lei. Sapere dell'accordo dell'agenzia l'ha fatta sentire sollevata: Chan mi ha raccontato che è stato, con i ragazzi, in quella sala riunioni per ore a cercare di convincerli. Non se ne sarebbero andati senza il documento fra le mani. Alla fine, hanno ceduto. La zia dice che ha combattuto per noi, per non farmi soffrire ancora e inizia a vederlo sempre di più come lo vedo io. Non l'ha ancora perdonato, ma va bene così. Lo farà col tempo, ma almeno ci sta provando. Per tutto il tempo che sono rimasta alla villa, si infiltrava nelle nostre videochiamate per chiedergli come stesse, se avesse mangiato e se voleva qualcosa dall'Italia. Lo sentivo ridere al telefono dicendo che stava bene anche se era stanco e che non doveva disturbarsi per lui. Inutile dire che mi ha riempito la valigia di cose da mangiare solo per Chan e mi hanno fermata alla dogana per circa tre ore. Sono riuscita anche a passare in ufficio, facendo la solita tappa al bar della colazione con Sofia e Francesco, ma Rachele non c'era. Da quando sono state mosse quell'accuse nei suoi confronti, fa fatica ad uscire di casa e non vuole vedere nessuno. Sono rimasta dietro la porta del suo appartamento per mezz'ora ma non mi ha aperto; quindi, le ho lasciato un biglietto sotto la porta dicendole che dovrò tornare a Seoul ma che può chiamarmi quando vuole anche se sono lontana, anche se qui sono le cinque del mattino. Ho ricevuto solo un suo messaggio in segreteria. - "Deniz, lo so che sei preoccupata per me, ma non riesco a vedere nessuno. Ti chiamerò quando sarò pronta. Ti voglio bene". Aveva la voce secca, come se non parlasse da giorni o addirittura da mesi. Si sta arrendendo un po' alla volta e non so cosa fare per aiutarla. Sofia mi dice che non posso fare nulla, che dobbiamo solo sostenerla ma non ce la faccio a sentirla così. Vorrei solo risentire l'entusiasmo nella sua voce come quando lavorava al progetto per la fondazione. Mi sdraio sul letto della camera di Chan e apro il computer, iniziando a mandare delle mail in ufficio per trovare ciò che cerco. Forse questo può aiutarla.

Chan non è ancora rientrato ma mi ha avvisato che avrebbe fatto tardi. Io e lui siamo in una specie di piccola routine. La mattina usciamo di casa insieme: lui va in agenzia mentre io vado in un caffè diverso ogni giorno a lavorare da lì, godendomi la vista della città dalle vetrate. A volte, quando non ho voglia di lavorare, giro per la città e vado a vedere qualcosa di nuovo. Ci sono così tante cose da fare e da vedere che lavorare mi sembra un peccato. Di solito, torniamo a casa per la stessa ora e ceniamo insieme. I giorni in cui è libero andiamo al rifugio la mattina presto e torniamo in città il giorno dopo. Sfruttiamo ogni momento: sappiamo entrambi che non posso rimanere a Seoul per sempre e cogliamo ogni occasione per recuperare il tempo perso. Jeongin è tornato a casa e si sta abituando alla mia presenza sempre di più. Tutti lo stanno facendo: alcune sere sono qua tutti e sette e la casa si riempie di voci e risate. Sono le serate che preferisco. Non mi fanno mai sentire fuori posto, cercano sempre di coinvolgermi e di conoscermi meglio: due sere fa ho parlato tutto il tempo con Hyunjin di architettura e disegno, scambiandoci le bozze che abbiamo preparato a vicenda, commentandole. Ho visto Chan dalla porta di camera sua farci una foto di nascosto, con un sorrisetto dolce sulle labbra. A volte, come stasera, fa tardi e se Jeongin è in casa, mi tiene compagnia. Sento sempre la sua voce che mi chiama dall'altra stanza. –"Noona, vuoi vedere un film con me?" oppure –"Noona, ti va di aiutarmi a preparare questa torta?", e così via. Quando l'ho detto a Chan ha sorriso a trentadue denti. –"Si è affezionato a te, tutti lo hanno fatto", mi ha detto dandomi un piccolo bacio sulla fronte. E io mi sono affezionata a loro: più li conosco e più capisco perché lui li ami così tanto. Però, non sono riuscita a dirgli dei messaggi e della foto. Dopo il mio compleanno mi ha chiesto più volte cosa fosse successo ma ho sempre evitato la domanda. Una parte di me vuole proteggerlo e pensa che, se non glielo dicessi e aspettassi che tutto finisse, lui sarebbe al sicuro. L'altra parte di me, invece, mi urla di dirglielo ma ogni volta che ci provavo succedeva qualcosa: una volta eravamo sdraiati nel letto e mi sono mossa per prendere il telefono e fargli vedere ma è dovuto tornare in studio di corsa perché c'era un errore su un file di registrazione; una volta l'ho aspettato tutta la sera ma ha fatto così tardi che mi sono addormentata. Ogni volta non sembrava il momento giusto. Non ne ho più ricevuti, si sono fermati da quello del giorno al giardino reale, anche se la polizia postale italiana sta continuando a cercare. Ma potrebbero ricominciare. So che devo dirglielo in qualche modo, solo... non voglio che vada di matto e si preoccupi per qualcosa che potrebbe essere già finita. Ma più di ogni altra cosa, voglio tenerlo al sicuro. Sto cercando la mail del gestore dell'impianto di sicurezza del mio ufficio, mentre sento la notifica di un suo messaggio provenire dal mio telefono abbandonato accanto a me.

21.30 Chan: Scusami, non riesco ad arrivare per cena. Sono ancora bloccato qua. Mangia qualcosa, non aspettarmi. Domani, ceniamo al rifugio. Mi faccio perdonare, promesso.

Pensa sempre che debba farsi perdonare in qualche modo se ritarda ma in realtà non deve. Lo capisco: anche io faccio tardi per il lavoro quindi non gliene faccio una colpa. Sono la prima che resta fino a dopo cena in ufficio pur di finire. Però, non disdegno la promessa di una cena da sola con lui al rifugio. Sono giorni che non andiamo e che siamo circondati da persone in casa. Per quanto, voglia bene ai ragazzi e adori passare il tempo con loro, mi manca stare sola con lui. Solo un po'. Sospiro riguardando il messaggio, pensando a cosa mangiare stasera mentre lo aspetto, ma ci pensa Jeongin. –"Nooooonaaaaaa" chiede bussando forte alla porta. Alla faccia del timido, penso. Faccio un verso per digli che può entrare. Apre piano la porta, facendo capolino con la testa e una chioma di capelli lisci e neri entra nel mio campo visivo. –"Channie hyung non è ancora tornato?" chiede, chiudendo la porta dietro di sé. Scuoto piano la testa. –"E' ancora con Han e Changbin in studio, torna dopo cena". Se c'è una cosa che ho imparato su Jeongin è che non cucina, manco con una pistola puntata alla tempia, quindi so già cosa sta per chiedermi. –"Cosa ordino da mangiare? Pizza?" –"No!", quasi urlo. L'ultima volta mi hanno promesso una pizza, ma era tutto tranne che pizza. Il mio cuore non può soffrire così tanto. –"Pollo fritto e soju? Birra?", propongo. È pur sempre venerdì sera. –"Ok! Ordino io", si alza contento e sta per chiudere la porta ma si blocca. –"Noona?", mi chiama voltandosi a guardarmi ancora sdraiata sul letto. –"Sono contento che Channie hyung abbia trovato te", dice sottovoce un po' in imbarazzo. Mi viene da piangere a sentirglielo dire. Poi, esce chiudendo la porta senza darmi la possibilità di rispondere. Anche io sono contenta di aver trovato lui, penso. Sorrido pensando a quanto è tenero il più piccolo del gruppo mentre finalmente mi arriva la mail di conferma col contatto telefonico dell'impresa di sicurezza del mio ufficio. Faccio un respiro profondo mentre chiamo. Rachele potrà non volere il mio aiuto, ma sono stanca di vederla così.

-"Pronto? Sono Deniz Yamil. Volevo chiedere se fosse possibile avere le registrazioni delle telecamere di sicurezza nel mio ufficio del mese di settembre."

Le stelle che ci guardano / bangchanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora