Deniz
La paranoia prende il sopravvento su di me: chiudo tutte le finestre dell'appartamento; sposto le tende per non far vedere dentro. Siamo al diciottesimo piano, solo i piccioni possono vedere qua dentro, ma lo faccio comunque. Mi ci vogliono tre ore per lasciare andare via l'agitazione dal corpo. Sono rimasta sdraiata sotto le coperte per tutto il tempo, fissando senza sosta i led della camera di Chan cambiare colore e ascoltando i suoni provenire da fuori. Ogni piccolo rumore mi faceva scattare, facendomi venire la tachicardia. Mi ripetevo le parole che Chan mi ha detto al telefono nel taxi, quando gli ho chiesto se aveva una chiave di scorta per entrare in casa, -"In Corea non le usiamo, la porta ha la serratura a codice per sicurezza. La sappiamo solo io, gli altri e adesso tu". Non può entrare nessuno senza il codice, sono al sicuro, penso e ripeto ad alta voce finché il cuore non rallenta. Sono quasi le sei del pomeriggio qui, significa che in Italia è ... mattina? Odio il fuso orario, non capisco più nulla. Provo comunque a chiamare la polizia postale, tentar non nuoce. Dopo quella notte in ufficio, ero convinta che fosse stato Marco; che cercasse di spaventarmi e manipolarmi in uno dei suoi giochi malati. Quindi ho portato il telefono agli agenti con tutti i messaggi, ma non sono riusciti a risalire a nulla. Chiunque li mandi è bravo, mi hanno detto. Utilizza telefoni non rintracciabili e sempre diversi, a quanto pare. Hanno escluso la possibilità che fosse Marco solo perché non può uscire di casa se non accompagnato da un'agente: non avrebbe avuto modo di comprare così tanti telefoni senza farsi beccare. Ma questo è diverso: era a un passo da me, era una foto in tempo reale. Chissà da quanto mi sta seguendo e il mio istinto urla che è lui, che può essere solo lui. La signora al telefono prende i dati e mi dice di stare tranquilla e rilassata, che ci pensano loro. Una persona mi segue, ma io devo stare tranquilla. Certo, come se fosse facile. Glielo devi dire, stai mettendo in pericolo anche lui – mi dice la vocina irritante nella mia testa e so che ha ragione, ma vorrei mantenere la bolla almeno per qualche ora. Fino alla fine del mio compleanno, poi glielo dirò. Anche se non so come fare. Provo nella mia mente a trovare le parole. Provo anche a scriverle ma riempio la stanza di fogli di carta appallottolati, senza trovare nulla. Non mi rendo conto dell'ora, fino a quando non sento una notifica dal mio telefono. Lo prendo con le mani che mi tremano, pensando che sia un altro messaggio, un'altra foto ma è solo Chan. Tiro un sospiro di sollievo mentre leggo.
22.15 Chan: Scendi nel parcheggio del palazzo, ti aspetto.
Butto tutti i fogli che vedo intorno a me, nel piccolo cimitero di carta che mi sono creata intorno. Solo qualche ora, penso prima di uscire di casa.
Chan
Controllo se ho preso tutto, tastando le tasche della giacca, mentre l'aspetto seduto sul cofano della macchina nel parcheggio del palazzo. Non so quante chiamate ho fatto nelle pause per riuscire ad organizzare tutto, minimo dieci. Mi arriva un ultimo messaggio dicendomi che è tutto pronto e tiro un sospiro di sollievo. Sento le porte scorrevoli dell'ascensore che si apre e mi giro a vedere Deniz che sta ancora sistemando cose nella borsa, mentre mi viene incontro. Si è fatta due trecce che le escono dal berretto grigio che mi ha rubato, insieme al maglione. È venuta così di fretta qua a Seoul che non si è portata nulla, solo il passaporto. Non mi dispiace vederla con le mie cose addosso, anzi. Vorrei che lo facesse più spesso. Non appena mi vede, mi corre incontro fiondandosi in un abbraccio. Tiene la testa tutta raggomitolata sul mio petto e stringe sempre di più le braccia intorno alla vita, togliendomi il respiro. Mi ha sempre abbracciato così, come se si sentisse protetta e al sicuro solo qua fra le mie braccia, ma questo è diverso: sento quanto è tesa. –"Ehi, tutto ok?", annuisce piano contro il mio petto. Le prendo il viso tra le mani e la tiro su, costringendola a guardami. E' un millesimo di secondo, è impercettibile ma è lì, nel suo sguardo: preoccupazione e ... paura. –"Deniz, possiamo restare a casa se c'è qualcosa che non va. Non-", inizia a scuotere forte la testa fra le mie mani, impedendomi di finire. –"No, voglio andare", sputa fuori veloce, facendomi un sorriso rassicurante ma io vedo ancora quello sguardo, sento ancora la voce al telefono. –"Non è niente e tu non c'entri. Sto bene, voglio solo passare il mio compleanno con te e andare dove vuoi tu, come hai organizzato. Poi, te lo dirò, promesso.", ad ogni parola la voce le trema sempre meno e mi prega con gli occhi di fare come dice, di non insistere anche se vorrei. Tiro un sospiro. –"Basta una parola Deniz e giro la macchina, ok?", non sono pienamente convinto. Anzi per nulla, vedo che c'è qualcosa che non mi dice che la preoccupa ma è il suo compleanno ed il suo desiderio. Annuisce sorridendo un po' di più, tranquillizzata dal fatto che non ho cambiato idea, e si fa una piccola croce sul petto a mo' di promessa, poi sale in macchina. Mentre guido, la guardo con la coda dell'occhio cercando di capire se sta veramente bene ma continua a guardare fuori appoggiata al finestrino. Sono veramente vicino a girare la macchina e tornare indietro, ma poi si gira a guardami e sorride. Qualsiasi cosa c'era prima nel suo sguardo, ora non c'è. L'ha seppellito. È di nuovo la mia Deniz. Sposto una mano dal volante, per metterla sulla sua coscia mentre lei la stringe. –"Dovresti dormire un po'. Ti sveglio quando arriviamo", dico guardandola velocemente prima di tornare con gli occhi sulla strada. –"Non voglio!", non c'è bisogno che la guardi per sapere che sta scuotendo la testa fortissimo. Mi scappa una risatina. –"Dove andiamo?" mi chiede poggiando la testa al sedile per guardami. Faccio un sorriso sbilenco, mentre col pollice le accarezzo piano la coscia. –"Lo scoprirai tra un po'" dico, non lasciando trapelare nulla. –"Daaaaaiiiiiii, dimmelo", piagnucola facendomi ridere. Faccio di no con la testa e, giuro, che alza così tanto gli occhi al cielo, che è un miracolo che non le vadano all'indietro. Mi sposta la mano, facendo l'offesa mentre incrocia le braccia al petto tutta impettita. Rido ancora di più: è carina quando si infastidisce. Rimetto la mano dov'era prima e accendo la radio, indicandole l'ora: sono le 23.00. –"Devi resistere un'altra mezz'ora, ce la fai?" le chiedo, trattenendo il sorriso ma non ci riesco granché. Sbuffa forte. –"Guida più veloce".
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Le stelle che ci guardano / bangchan
FanfictionLa vita di Deniz è agli occhi di tutti perfetta: è una donna di successo; ha delle amiche splendide e una zia che sono la sua famiglia; ha un fidanzato che la ama. Nulla potrebbe distruggere la sua bolla di felicità. Almeno così pensava. Quando la t...