Capitolo 31

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Capitolo 31

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Capitolo 31


Il Natale era scivolato via, senza troppi dolori.

Stuart aveva raggiunto la Pontiac e si era accomodato all'interno, sbirciando, di tanto in tanto, verso i complessi popolari. Udiva le risate e le canzoni dei più piccoli, le rimpatriate degli adulti, il divertimento degli adolescenti e universitari in riposo dai propri incarichi scolastici.

Stu aveva ascoltato musica per alcune ore, mentre fuori aveva comin­ciato a nevicare con più tenacia. La strada si era amman­tata di un sottile strato grigiastro. Sarebbe stato bello, aveva pensato il gio­vane, se con lui ci fossero stati i suoi genitori: aveva sempre sognato di passare un Natale a New York assieme a loro, con la città rivestita di neve. Ma Sandra e Chris erano giù, nel Mississippi, e lui non riusciva a perdonarselo.

Poi si era ricordato del libro che gli avevano regalato due mesi prima Gloria e la signora Galvin: era sceso dall'auto e l'aveva cercato all'interno del bagagliaio. La notevole mole dell'opera gli avrebbe tenuto compagnia per in­numerevoli ore. Aveva cominciato a leggere e l'aveva fatto praticamente tutto il giorno e alla sera, nonostante la tristezza che gli pesava sul cuore, si era addormentato quasi sereno, immedesimato nelle tragedie e nei dolori del protagonista del romanzo.

Il giorno dopo, Stuart si era recato al lavoro e aveva svolto le proprie mansioni sino al giorno di San Silvestro. Novak l'aveva salu­tato e gli aveva dato appuntamento per due giorni dopo, ricordandogli il nuovo impegno dopo l'ora di chiusura. Stu l'aveva rassicurato a riguardo e si era diretto verso il B Hotel & Hostel, a Broadway, dove aveva già soggiornato qualche notte non appena giunto a New York. Qui aveva dormicchiato tutto il giorno, si era fatto una lunga doccia, si era sbarbato con cura ed era usci­to.

Aveva fatto tappa auna lavanderia automatica rinfrescando i propri abiti e infine in un supermercato dove aveva acquistato una bottiglia di spumante a basso prezzo, due tramezzini e dei biscotti. Risalito in camera aveva atteso le dieci, aveva mangiato ed era tornato per strada. Dopo una passeggiata, aveva preso la metropolitana e, in seguito a un viaggio di circa mezz'ora, era sceso nel cuore di Manhattan.

Stu si era reso conto solo allora che non aveva mai osato allontanarsi da Brooklyn in quasi due mesi. Si sentiva un provinciale inurbato, un sempliciotto incapace di andare oltre la linea d'orizzonte. Ave­va provato una fitta di ripugnanza verso se stesso, che era svanita con lo sfavillio di quella notte sempre uguale ma sempre magica.

Time Square l'aveva deluso e in un certo senso oppresso. Aveva visto molte volte quella piazza, in foto o in televisione, e ogni volta aveva pro­vato un senso di vertigine ed estasi, una vera e propria iniezione di adre­nalina. Adesso, davanti a sé, si profilava un piazzale più lungo che lar­go, reso ancor più striminzito dalla verticalizzazione degli edifici, che in­combevano come giganti. Inoltre la fiumana di gente che riempiva ogni angolo dello slargo cittadino trasformava la piazza in un luogo ancor più inospitale e soffocante. Stuart aveva provato un insolito senso di claustrofobia e aveva meditato di tornare indietro, finché la musica e le risate e i battiti di mani della folla non l'avevano ammaliato e attratto, costringendolo a restare.

Aveva atteso l'arrivo del nuovo anno ed era stato abbacinato dai riflessi psichedelici del globo di cristallo luminoso che salutava il primo gennaio. Aveva stappato la bottiglia di spumante, si era inzuppato le mani e aveva brindato assieme a gente che non conosceva e mai avrebbe conosciu­to. Si era avvicinato a un gruppo di turisti francesi e si erano scambiati auguri e assaggi di vino. Aveva visto gente che ballava e urlava e coppie che si baciavano e si scambiavano promesse di matrimonio. E altri che vomitavano lungo il marciapiede e altri ancora che cantavano e qualcuno che piangeva di speranza o felicità.

Adesso, alle tre del mattino, stava rientrando al B Hotel & Hostel. Barcollava. Assieme ai francesi – che aveva scoperto provenire da Marsiglia – avevano vuotato bottiglie di champagne costoso e spumante economico. Poi Jean-Loup aveva proposto di infilarsi a forza in un bar e si erano tuffati in cocktail e liquori lisci sino allo sfinimento.

Sino alla nausea, pensò Stuart, accarezzandosi lo stomaco. L'immensa e verticale New York adesso era piegata su se stessa, contorta come rami nodosi, edera vicino a seppellirlo. Stu chiuse gli occhi, ruttò e sentì il gusto acido invadergli gola e bocca. Sputò a terra e vi cadde sopra, impiastricciandosi la mano di saliva e neve ed escrementi di cane.

«Oh, merda» gemette, aggrappandosi a un'auto e rialzandosi. Scrollò il braccio tentando di liberarsi da quel impiastro disgustoso, non vi riuscì e cominciò a ridere. A ridere forte, a ridere di gusto.

«Sì, cazzo, è il caso di dirlo» continuò, parlando solo a se stesso. «È proprio merda!»

Sghignazzò più forte, traballò e si abbracciò a un lampione, che lo sorresse evitandogli una nuova caduta. Restò lì, a singhiozzare divertito, con la risata asinina tipica degli ubriachi.

Mentre si trovava su quella linea di confine tra incoscienza e lucidità, una coppia gli passò accanto. La ragazza, bella ed elegante, stringeva il braccio del proprio cavaliere. L'uomo, giovane e raffinato, lo fissava. Stu non lo conosceva, ma fu turbato. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma dovette richiuderla per non vomitare.

Lo sconosciuto gli sorrise e gli batté sulle spalle.

«Buon anno, amico» gli disse. Poi, com'erano apparsi se ne andarono.

Stuart restò immobile, abbracciato al lampione, a guardarli deviare in un vicolo laterale. Sentiva la colonna vertebrale disarticolarsi, come una collana di perle recisa. Si chiese il perché, ma non trovò risposta.

I fumi dell'alcool tornarono a offuscargli la mente. Si guardò la mano sporca di escrementi e sputo e se la pulì sui jeans. Poi, passo dopo passo, sbandamento dopo sbandamento, arrivò all'ostello.

Salì in camera. Si tolse la giacca e i vestiti sporchi di sterco e sudore, buttandoli a terra, per infilarsi nudo sotto le coperte morbide e calde. Chiusegli occhi e non si accorse nemmeno che la stanza girava vorticosamente nella sua testa.

Stava scivolando nel baratro del sonno, quando qualcosa nel suo cervello esplose. Non era un suono e nemmeno un'idea. Era un'immagine. L'immagine degli occhi blu dell'uomo incontrato pochi minuti prima. Occhi di lupo, occhi già visti.

Stu contrasse tutti i muscoli in uno spasmo irreale. Poi il suo corpo cedette e lui crollò addormentato.


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Buongiorno, amici!

Come sempre, spero che la storia vi continui a piacere!

Tra qualche giorno posto il seguito.

Vi mando un abbraccio fortissimo. Tanto amore.

Figlio dell'amore e dell'odioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora