Spostai lo sguardo dalle mie mani, che sorreggevano l'oggetto metallico, al viso di Dylan.
-"Dylan, cosa stai...?"-
-"Dammela un attimo."- Sbottò serio. La passai a quelle sue mani fragili, che a stento sembravano sopportare il modesto peso di quel piccolo pacchetto. Lo squadrò bene prima di aprirlo e analizzare il contenuto.
-"Dove l'hai presa?"- Chiese per la seconda volta.
Alzai e riabbassai nervosamente le spalle, infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
-"Hai detto di averla già vista..."- Balbettai.
-"Sì, io..."-
-"Cosa?"-
-"Penso di aver avuto tre anni..."- Cercò di spiegare -"Tua madre...La teneva in camera sua, la prima volta che mio fratello, tuo padre, me la fece conoscere. Non ricordo altro, solo che mi piaceva e non potevo toccarla."-
-"Mia madre?"-
-"Già, bhe, potrebbe essere solamente una simile... A meno che tu non l'abbia presa da lei"-
-"No."-
-"Mh, e chi sono quelli delle foto?"-
-"Non ne ho idea... Senti, perché non ti riposi un po'?"
Mi guardò torvo, poi decise di lasciar cadere il discorso.
-"Anche tu"- Aveva ragione. -"Torna a casa, mentre mi riposo."-
-"Non posso lasciarti solo"-
-"Ascoltami"-
-"Non se ne parla, Dylan. No."-
-"Fai come ti dico, o starò peggio"- Rimasi a guardarlo negli occhi qualche instante. -"Hai già fatto tanto, per me"-
Ero irremovibile.
-"Ti prego."- Mi supplicò.
Sospirai pesantemente, consapevole che la sua testardaggine era tanta quanto la mia.
-"Eh va bene. Tornerò più tardi, però."- Gli puntai il dito contro.
-"A dopo, principessa".- Mi salutò.
Dovevo tornare a casa a piedi, ovviamente. Non avevo ricevuto chiamate per tutta la notte. Erano appena le sette e venti, in strada non vi era una mosca. Faceva freddo, ma c'era il sole. Tecnicamente, sarei dovuta andare a scuola, ma non avevo chiuso occhio.
Entrata a casa, mia madre stava facendo la colazione. Tirai dritto quando le passai accanto, ignorandola.
-"Buongiorno."- Disse, con un tono aspro e tagliente. Continuai a dirigermi per le scale, quando parlò ancora. Mio padre, era seduto a tavola con un giornale sotto il naso e una tazza di caffè in mano. In fondo, suo fratello non era in ospedale.
-"Sto parlando con te, signorina. Ho l'impressione di averti educato a dovere."- Sì, a suon di legnate. Mi bloccai, senza voltarmi, consapevole del fatto che mi stessero osservando.
-"Rispondi a tua madre."- Mio padre mi stava onorando della sua presenza? Credo di aver appuntato quel giorno da qualche parte. Ferma nella stessa posizione, con la testa leggermente voltata di lato e lo sguardo rivolto a terra, sbuffai.
-"No, ti sbagli. Colui che mi ha davvero educato, adesso è in ospedale, dove dovreste essere anche voi."-
-"Come ti permetti di dire a noi cosa dovremmo fare? O dove dovremmo essere?"- Ribatté mia madre.
-"Già, dovreste capire da soli quel che è giusto e cosa non lo è, no? Non dovrebbe dirvelo una ragazzina come me. Penso siate grandi abbastanza"- Mi sbloccai e, senza voltarmi, salii le scale, quando sentii mio padre urlare di restare chiusa in camera mia.
-"Volentieri!"-
Credo di aver sbattuto così forte la porta da aver fatto tremare i vetri che vi stavano sopra, rischiando di frantumarli, ma ero troppo stanca per preoccuparmene. Sfilai con forza le scarpe, lasciandole una a destra e una a manca. Feci lo stesso con pantaloni e felpa, restando solo in intimo. Mi infilai sotto le coperte e ci vollero un paio di minuti prima che riuscissi a cadere in un sonno profondo. Non ricordo di aver sognato niente. Mi svegliai di soprassalto, a causa di un rumore insistente: due mani che battevano sulla porta in legno, chiedendo il permesso di entrare. Mi misi seduta, stropicciando gli occhi con le mani, per poi accorgermi di aver depositato tutto il trucco rimasto nelle mie esili dita.
-"Avanti"- Accennai sbuffando, la sveglia segnava le tre del pomeriggio.
Una figura alta e dalle spalle larghe era appena entrata in camera, avevo ancora lo sguardo offuscato dal sonno e solo dopo che aprì bocca capii di chi si trattava.
-"Wooh, così vuoi farmi morire."- Parlò schietto Hendrik, scrutando il mio corpo per metà nudo, dall'alto in basso. Mi coprii subito, ricordandomi dello stato in cui mi fa trovavo.
-"Chi ti ha fatto entrare?!"- Urlai, più nervosa che mai.
Indossava una camicia a quadri rossi, dei pantaloni e delle scarpe nere. Stava molto bene vestito in quel modo, e quel berretto, gli donava parecchio. Era un abbigliamento adatto ai suoi diciannove anni. Tutto sommato, era proprio un bel ragazzo. Se solo non fosse stato per il carattere, che rovinava tutto...
-"Tu, in realtà. Cioè, tua madre. Poi, era così contenta che mi ha offerto anche una tazza di thè, prima di dirmi di salire, ma qui, mi hai fatto entrare tu."- Sorrideva beffardo e, dal suo modo di guardare, avrei scommesso che stesse sperando di ricevere la vista a raggi x come qualche supereroe.
Agitai la mano, con non curanza.
-"Ti dispiace?"- Gesticolai facendogli capire che doveva voltarsi, mentre mi vestivo.
-"Da morire"- Si voltò controvoglia. Mi alzai, presi dall'armadio una felpa abbastanza larga e la indossai, prima di ricordarmi che, nel punto in cui era il ragazzo, vi era uno specchio.
-"Va' fuori!"- Urlai e spostandomi, cercai di coprirmi. Quando finalmente uscì dalla stanza, sospirai profondamente.
Ero in piedi davanti all'armadio mentre sceglievo i vestiti più coprenti che avevo.
-"Io mi preoccupo per te, venendo a trovarti e tu mi cacci?"- Sentii ancora la voce di del ragazzo, mentre riapriva la porta. Fece scoccare la lingua tre volte, in segno di disapprovazione. -"Non si fa"-
-"Non sei il benvenuto qui."- Più lo trattavo male più i suoi occhi d'oro brillavano.
-"Volevo solo far qualcosa pur di farti sentire... Voglio che tu stia bene"-
-"Sai, adesso sì che mi sento meglio! E non vorrei proprio che tu ti ostinassi a dividere lo stesso ossigeno con me, quindi vai, ci tengo ai tuoi polmoni."-
-"Sarcastica. Mi piace."- scherzó. -"Piuttosto, come mai sembri un panda?"- Cambiò improvvisamente argomento, senza volerne sapere di andarsene.
-"Come, scusa?"- Mi avvicinai velocemente allo specchio, notando quanto avessi il trucco sbavato e i capelli arruffati. Simpatico. Sbuffai e contai fino a tre, sapendo che a quanto pareva dovevo sopportarlo ancora.
-"Forse più che panda, sembri la versione femminile di Tarzan"- Disse poi sorridendo. Alla fine sorrisi anche io e cercai di rilassarmi un po'. In fin dei conti non stava facendo nulla di male, no?
-"Sei carina quando ridi, ma quando ti arrabbi lo sei ancora di più."- Tornò serio, con un solo minimo accenno ad un sorriso sghembo. Due piccole fossette sulle guance sembrava volessero tradire il suo istinto di non ridere. Quasi si camuffavano in quel piccolo accenno di barba chiara. Era attraente. Spostai lo sguardo sulla sua mano, appoggiata dietro il collo. Si intravedeva un tatuaggio fuoriuscire dalla manica sinistra. Sembrava piccolo, ma chissà.
-"Quanto sei pesante."- Scherzai, sorridendo a mia volta.
-"Posso stare un po' con te, quindi?"-
-"Eh va bene. A patto che non faccia lo stupido perché ti butto fuori a calci!"-
-"Ne dubito, ma se vuoi possiamo provare."-
Ridemmo ancora, come se tra noi andasse tutto bene costantemente e come se per tutti questi anni non ci fossimo mai separati. Mi pulii il viso dal trucco e mi sedetti sul letto, dove lui era già adagiato.
-"Ma te la ricordi la torta in faccia?"- Dissi senza pensare.
-"Assolutamente. Malvagia sin da piccola."-
-"Andiamo, è stato divertente! E poi tu eri così... Viziato!"-
-"No che non lo è stato! I miei hanno escluso la tua famiglia e te dalla mia vita per tutto questo tempo. Tu mi facevi divertire. Ti arrabbiavi perché ti rubavo le bambole e ti vendicavi anche. All'inizio mi arrabbiavo, ma mi piaceva."-
-"Mi facevi punire. Ridevi, quando i miei mi picchiavano."-
-"Ero solo un bambino."-
-"Eri il più grande."-
-"Senti..."- Cominciò, toccandomi il polso. Alzai lo sguardo e incontrai l'oro fuso. -" Lo so che pensi che sia ancora un bambino viziato. Ma permettimi di dimostrarti che non è così, che ti sbagli. Sono cresciuto, sono maturo adesso. Ho diciannove anni. Permettimi di dimostrarti quanto so essere uomo, per te."-
Quelle parole mi lasciarono completamente spiazzata. Il mio sguardo, da torvo passò a qualcosa di diverso. Mi ritrovai a sorridere e annuire, senza pensarci nemmeno troppo. Lo vidi sollevare la mano, appoggiandola sulla mia guancia. Cominciò ad accarezzarla, mentre eravamo così vicini. Poi sussurrò:
-"Mi sei mancata, Liine, più di quanto immagini"-
-"Cosa sta succedendo qui?"-La porta si spalancò per dare ingresso ad una Kailee, innanzitutto curiosa, poi confusa e infine quasi irritata. Dovevo essere io quella nervosa al momento e nessun altro.
Hendrik si era voltato.
-"Kailee?"- Sussurrò. Il suo volto cambiò colore. I due si guardavano con disprezzo.
Si conoscevano.*Autore*
Salve ragazzi!!! Fatemi sapere cosa ne pensate!!!
Xoxo
#Roowolf
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Non sono l'eccezione dei libri. {In Correzione}
AléatoireRoheline Petrov, 17 anni. Vive a Tallinn, capitale dell'Estonia, sotto la responsabilità di una madre dittatoriale e di un padre perennemente assente. In un gelido pomeriggio d'inverno, però, il ritrovamento di qualcosa potrà cambiarle la vita. " L...