16. Prato vivido.

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Entrai in mensa in silenzio, reprimendo l'istinto di voltarmi verso Jamie.
Lo spazio era tanto enorme quanto affollato. Ragazzi di ogni anno stavano seduti in quei tavoli rettangolari color noce, a scherzare tra loro o a discutere. Avrei potuto descrivervi le ore che avevo passato in quell'enorme sala, negli ultimi quasi quattro anni, ricreando il classico stereotipo americano, se solo fosse somigliata un minimo a quelle High School dei programmi televisivi.
Il mio liceo era molto peggio.
Aveva gli armadietti e i lunghi corridoi, certo, ma non aveva nessuna squadra di Football o nessun gruppo di Cheerleader. Il che, francamente, era un bene secondo me. La palestra era piccola, senza canestri, con una sola ed unica area per fare attrezzi. I colori, ovunque, erano nei toni del rosso e del giallo, perfino nei bagni: quelli femminili, interamente rossi, erano piastrellati totalmente, fino quasi al soffitto. Così, si diceva, lo erano anche quelli maschili, solo interamente gialli, anziché uguali ai nostri. I tavoli delle biblioteche, le cattedre, i banconi dei laboratori, i cavalletti, le porte e le cornici delle lavagne, erano tutti in ciliegio lavorato. Non era permesso stare nei corridoi per più di una decina di minuti né creare attività extracurricolari senza il permesso specifico del preside. In compenso, però, potevamo organizzare una specie di "Ballo Del Diploma", al termine del ciclo di studi e il cibo in mensa era davvero ottimo.
Presi un vassoio di plastica e cominciai a servirmi da sola con della pasta, dei contorni e un po' di frutta. Appena terminai, mi ritrovai alla quotidiana ricerca di un tavolo libero, dovendo superare inosservata tutti quelli già occupati dai vari club, come quello di lettura, scrittura, inglese, fisica, matematica o pittura. Avevo provato ad entrare in quello di lingue orientali, una volta. Mi trovavo bene, fino al giorno in cui dissi "傻逼" ad un tirocinante mandarino. Quando mi cacciarono, qualcuno mi spiegò che se la madre del ragazzo avesse assistito, non l'avrebbe presa bene. Così, tentai con il club di pittura, che era stupendo. Ci restai giusto il tempo necessario per far, quasi, strappare a Kailee i lunghi e ramati capelli di Dafne, una ragazza in qualche modo hippie, dal tono di voce troppo pacato.
Mi recai ad uno degli ultimi tavoli, proprio vicino a quello in cui stavano di solito la figlia dei fiori e le sue amiche. Solo guardandole facevano venire il sospetto che loro, più di tutte, conoscessero i dettagli delle mattonelle gialle, nei bagni maschili, per le innumerevoli volte in cui vi erano sicuramente state. Dafne, in particolare, era nota per aver perso la verginità al primo anno, con uno del quinto. Praticare l'amore libero, dopotutto, faceva parte del suo modo di essere, no?
Sentii osservata ogni mia mossa, mentre mi sedevo. La rossa, ovviamente, era già appollaiata sulla sua sediolina, in plastica gialla. Ragazzi, credetemi, era esattamente come quella di chiunque. Eppure, lei si sentiva su un trono.
Alzai gli occhi al cielo e presi il mio libro, mentre mangiavo un po' di carote. Era Le Petit Prince, Il Piccolo Principe. Avevo temuto, dal titolo, che fosse in francese, ma per fortuna aveva solo alcune annotazioni in quella lingua, a me sconosciuta.

"Le parole sono fonte di malintesi", rilessi più volte.

Sollevai appena lo sguardo, per notare che gran parte dei ragazzi non vi era più. Avevamo parecchio tempo per pranzo, così molti andavano in cortile, dopo aver mangiato. Terminai il mio pasto e mi alzai, riponendo velocemente il libro nello zaino. Non amavo stare sola, mi faceva rattristare, soprattutto l'idea di passare del tempo a quattr'occhi, cioè, più o meno, con la mia coscienza. Divagavo sempre in pensieri più grandi di me: teorie sul mondo, sullo spazio, sul futuro...Anche se, allo stesso tempo, amavo crearmi delle risposte, o almeno cercarle, con la fantasia. Leggere era una di quelle cose che mi aiutava a farlo, così come dipingere o disegnare.
Il cielo, dietro le alte finestre a vetri, si era offuscato parecchio nelle ultime ore e dei vistosi lampi bianco-violacei erano apparsi oltre le nubi. Aveva piovuto ininterrottamente durante le prime ore di lezione e io le avevo passate osservando le gocce che scendevano lentamente lungo il vetro freddo della finestra, accanto al mio banco.
Un fulmine cadde da qualche parte nel giro di un chilometro, illuminò il cielo e tuonò qualche secondo dopo.
Quell'odore inondò le mie narici, non appena mi avvicinai alla porta della cucina della mensa, lo ricordavo bene. Era fastidioso, pungente, acre. Era gas. Un sensore di allarme scattò nella mia mente: dovevo uscire da lì.
Un secondo fulmine mutò il cielo in luce pura.
Camminavo frettolosamente verso la porta di emergenza, cercando di riempire a grandi falcate lo spazio che mi divideva da essa. La mensa era troppo grande.
Un tonfo secco riempì l'enorme sala, seguito da un'esplosione. Un terzo fulmine era precipitato. Ero a metà sala quando mi voltai di colpo per vedere delle scintille scoccate dai neon, sul tetto. All'interno della cucina, vicino al tavolo in cui era seduta Dafne circa un'ora prima, un bagliore caldo cominciò a notarsi nella stanza, ormai al buio: Fuoco.
Arretrai molto lentamente, spaventata e stordita. La vocina dentro la mia testa stava parlando, quasi non riuscivo a sentire nemmeno i miei pensieri. Mi sbloccai di colpo, cominciando a correre. La porta d'emergenza era bloccata. Dovevo tornare indietro, ma il fuoco era già divampato oltre la cucina. La temperatura saliva velocemente dentro quella trappola mortale, il respiro era diventato pesante. Mi gettai a terra, in cerca di aria più respirabile, e mi costrinsi a strisciare lungo il muro. Le porte erano lontane, la testa cominciò a girare e vedevo solo fiamme attorno a me. Ripensai a quell'uomo, quel Vijra, quando aveva salvato il signor Alexeev, in un incendio. "Decisi che era un segno e che sarei dovuto morire, che era la mia punizione.", aveva detto il nonno di Jamie. E se questa sarebbe dovuta essere la mia, di punizione, a cosa era dovuta? Ripensai ad Hendrik e al modo in cui lo avevo trattato. La mia mente balzò a lui, quanto gli sarei mancata? E a Jamie, sarei mancata? Avrebbe pianto per me? Probabilmente no.
Un'immagine, in quell'istante, si era formata nella mia testa, parecchio offuscata. Erano due adulti: un uomo e una donna. Lui aveva gli occhi di un verde intenso, come il prato vivido in primavera. Erano così amorevoli, fieri, mi stava dicendo qualcosa. La donna, invece, era mia madre. Stranamente, era riccia e aveva i capelli lunghi, quando solitamente, li porta sempre cortissimi e lisci, sin dalla prima volta che io riesca a ricordare. Aveva lo sguardo triste e severo, allo stesso tempo, come quello che assumeva mentre mi rimproverava. Che cosa era, un ricordo? Nah, impossibile.
Sentii quello che mi parve l'ultimo suono che avrei mai sentito prima di morire, era un brutto rumore di una porta di ferro che veniva sfondata in lontananza, lì dove non riuscivo più a guardare.

*Autore*
Salve ragazzi!!! Scusate se non ho più scritto per ora, sono in vacanza!
Ditemi cosa ve ne pare e se vi va lasciate un commento! Scrivetemi pure in privato se avete bisogno di qualcosa.
Ps. L'estate è finita ç.ç

Non sono l'eccezione dei libri. {In Correzione}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora