12. «Vaffanculo, no!»

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«Allora Stevens, raccontami un po' di te e della tua famiglia.»

Era l'ora di "libertà" ed erano seduti sempre su quelle scomodissime sedie bianche. Ormai era diventato il loro posto, ogni volta che Torres poteva, si sedevano e parlavano.

Gisele adorava parlare con la gente, adorava quando le persone si confessavano a lei. Era come se la facessero sentire importante, loro si confidavano alla mora perché si fidavano e la cosa fondamentale per lei era, appunto, la fiducia.

Si guardava intorno, voleva cercare la risposta nelle cose che la circondavano. Non aveva alcuna voglia di parlare del suo passato, della sua famiglia sopratutto. Odiava ricordare quelle cose, odiava ricordare i tempi felici che non c'erano più.

«Ehm..avrei preferito che mi chiedessi di fare mille flessioni, onestamente.» si toccò il suo braccialetto, segno che era imbarazzata.

«Tasto dolente?» sorrise per darle coraggio.

«Abbastanza, perché non mi racconti tu della tua famiglia?» non voleva stare al centro dell'attenzione e così la spostò su di lui.

«Va bene..-fece un respiro, guardò il suo distintivo e osservò la donna accanto a lei- sono nato in una famiglia abbastanza normale, eravamo mia mamma, mio padre, mia sorella e io. Io e mia sorella avevamo solo due anni di differenza. Eravamo una famiglia abbastanza ordinaria -la guardava negli occhi, come se questo potesse infondergli coraggio, in fondo ne aveva bisogno.- ma poi all'età di vent'anni mia sorella si ammalò. Cancro ai polmoni, nel giro di un mese il polmone destro smise di funzionare, mentre quello sinistro peggiorava sempre di più. Dopo un anno, il sinistro funzionava al 40%, piangeva tutti i giorni e mi si spezzava il cuore. Era mia sorella, mi aveva sempre aiutato, in tutte le situazioni e ora ero io che dovevo aiutare lei ma non sapevo come.
Ogni giorno cercavo di farla ridere, a volte funzionava altre volte no. Certe volte mi urlava che io cercavo di farla divertire perché sapevo che da lì a poco sarebbe andata via e, in quei momenti, odiava la sua risata e io me stesso. Sapevo che non avrebbe avuto una vita lunga, ma non conoscevo cose a lei nascoste. Lei mi accusava di questo e io ci stavo male, da impazzire.»

Gisele si sentì mancare l'aria, seppure erano all'aperto. Si sentì come se tutto intorno a lei si stesse riducendo e doveva scappare prima di rimanere schiacciata dalle mura, ma si rese conto che se lo avesse fatto sarebbe stata la persona più stronza sulla faccia della terra.

Così respirò a pieno e lo guardò negli occhi. Avevano gli occhi lucidi, entrambi ed entrambi cercavano di nasconderlo.

«Te la senti di andare avanti?»

Chiese con la voce rotta dal pianto.

«Passò anche l'anno successivo, fin quando le dissero che il suo polmone funziona solo al 5%. Sai cosa cazzo significa!? Piangeva tutti i santi giorni, e io ero anche felice. Sai perchè!? Perchè significava che lei almeno era viva. Non potevo immaginare la stanza lilla senza Clara! Non potevo, ma poi l'inverno finì così come la sua vita. Mi sono abituato a quella casa senza la sua voce e le sue lamentele. Mi sono abituato ad una stanza lilla che veniva utilizzata per gli ospiti, ma nessuno ci dormiva sapendo che era di mia sorella.
Sono stato chiuso in camera per dieci giorni. Non uscivo mai, non volevo vedere quella casa senza la sua presenza, non avrebbe avuto senso. Alla fine, all'età di venti anni ho deciso di andare via. Tutto mi ricordava di lei e io non volevo ricordare. Sento i miei ogni tanto, due volte al mese circa. Sono tristi, perchè non hanno più nessuno con loro, ma io dovevo andare via, n-non potevo stare senza C-clara. I-io..» l'abbraciò di colpo.

Stava soffrendo nel vederlo così, non lo ammise, ma era così.

«Shh..hai detto abbastanza, davvero. Mi dispiace tanto, scommetto che era una ragazza stupenda.» sciolse l'abbraccio e pensò alla sua di vita.

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