35. «Aspetta.»

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Una sola frase si ripeteva nella sua testa, tutto il resto fu totalmente annullato. Nessun suono veniva percepito e nessun gesto veniva avvertito.

«Gisele!» era forse la tredicesima volta che la chiamava, ma invano.

Era rimasta a fissare la porta, come se fosse una bambola. Era immobile e Matt aveva paura, era davvero inquietante.

«Gisele, ma che ti prende!?» parlava a raffica ma non veniva ascoltato nè tantomeno risposto.

«Portami a casa.» era un sussurro.
«Sei già a casa.» disse sbuffando.
«A casa di Fabio.» rispose seria e Matt pensò che fosse davvero assurdo il fatto che ogni volta che avevamo un appuntamento Fabio riuscisse sempre a rovinare tutto.

«No.» capì che la mora non provava nessun interesse per lui, quindi perché essere dolce e carino?
Gli fu rivolto uno sguardo veloce e molto freddo seguito poi dal suono del campanello.
Al aprì di nuovo la porta, questa volta aveva le chiavi della macchina in mano.

«Portami da Fabio, adesso.» il ragazzo non rispose e uscì di casa.
Si voltò di nuovo, alla ricerca del suo amico barista, ma era spartito. Forse aveva capito, aveva capito che il cuore di Gisele Stevens non gli apparteneva e forse non sarebbe mai successo.

«Sei sicura di volerlo fare?» i suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Albert.
«Basta, dopo una settimana devo risolvere questa situazione. Nel bene o nel male.» sospirò e si allacciò la cintura.
Aveva paura che la rifiutasse, che davvero pensasse che lei valesse troppo. Non voleva che pensasse una cosa del genere, perché non era affatto vero.

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«Cosa ci fai tu qui?» la sua voce era fredda, come se la persona che si trovava di fronte a lui non l'avesse mai vista.

Il biondo sapeva a cosa stava andando incontro e sperò di riuscire ad essere freddo ed impassibile. Era l'unico modo per superare la futura chiacchierata.
«Dobbiamo parlare.»

Al sgranò gli occhi al suono di quella frase, fino a qualche minuto fa non era capace di dire una frase senza balbettare ed ora invece sembrava la Gisele Stevens di un anno prima.

«Non abbiamo nulla da dirci.» ribatté.

«Oh si, invece! Io e te dobbiamo parlare e se non mi farai entrare io mi metterò ad urlare. Mi conosci e sai che posso farlo, perciò fammi entrare.»

L'attenzione di Fabio fu attirata da Albert che mimava con la bocca un «Chiarisci.» così decise di ascoltare l'amico e di fare entrare la donna.

Si sedettero tutti e tre al tavolo e dopo un paio di minuti di silenzio l'avvocato decise di lasciarli soli e di ritornare a casa da Annie.

«Dobbiamo parlare.» ripetè.

«Me lo hai detto almeno una ventina di volte. Parla!» sbuffò e poggiò la schiena alla sedia.
«Perché hai reagito in quel modo quando hai visto che sfogliavo l'album? Perché mi hai insultato e hai continuato a nominare Matt? Perché!?» urlò stufa della settimana di silenzi e lo scrutò con le sue iridi blu.

Non ci fu risposta, il ragazzo abbassò lo sguardo e stette zitto.
Silenzio, ancora silenzio ci fu per un paio di minuti fin quando la mora perse la pazienza.

«Fabio...mi sono rotta le palle! Porca puttana parla! E se non vuoi più stare con me o essermi amico o qualsiasi altra cazzata dillo! Ma adesso!» si alzò e alzò il mento dello sbirro.

«Non mi sono mai piaciuti gli interrogatori.»
Cosa?
«Che stai dicendo?!»
«Non voglio che tu mi faccia un interrogatorio, al massimo lo faccio io a te.»
Stevens rimase spiazzata per un paio di secondi poi riprese.

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