(13. pausa)

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Non ho raccontato niente di divertente! Sono tremendamente dispiaciuta per non aver rispettato quello che avevo detto nella descrizione. Ma mi rendo conto che scrivere per far ridere è estremamente difficile (se questo è lo scopo prefissato diventa impossibile, nulla viene in mente), forse dovrei scrivere semplicemente qualcosa che faccia ridere.

Non ho scritto nemmeno qualcosina di inquietante! Che disastro, ora rimedio subito. Vediamo se riesco a mescolare entrambi gli elementi. 

'Ci penso su' non devo nemmeno pensarlo! Scrivo di getto; quello che viene, viene...

***

Metto il piede esattamente davanti all'altro. Il tacco deve toccare la punta della scarpa senza premerla. In più deve esattamente seguire il filo bianco rettilineo che si stende davanti e dietro di me.

Il rischio è di cadere e farmi molto male. Devo arrivare sano e salvo fino a casa...

Ad un tratto vedo a fianco a me un tipo con la maglietta rovescia e un bicchiere in mano. Se ne sta impalato a fissarmi, senza pantaloni ma con le scarpe di cuoio addosso, anche se slacciate. Pur essendo in piedi non sta mai fermo, ciondola da una parte all'altra, continuando ad osservarmi con un sorriso da babbuino.

Gli dico: "Hey, amico, che combini così barcollante?"
Quello mi guarda scioccamente, indicandomi. La punta del dito sembra l'unica cosa immobile. Tutto il resto ruota attorno a lui. Come a dire che sia io quello che non è del tutto a posto.
"Ma dico, ti sei guardato tu?" gli faccio irritato. Sto per andargli incontro. Quanto desidero prenderlo per la sua maglietta rovescia e scrollarlo per bene!

Ma poi noto che anche lui si è fatto più vicino. E intanto ho perso il filo bianco che mi avrebbe fatto tornare a casa! Però non mi sono schiantato a terra...
Di nuovo mi rivolgo allo sconosciuto dall'aria ballerina per rimproverarlo: per colpa sua mi sono perso.
Avanzo e quello avanza, alzo un pugno e lui pure. Il suo tuttavia è tremante, levato in aria solo a metà.

"Giacomo, ecco dov'eri! Che fai? Ti stavo cercando! Non sai quanto ero preoccupato. Come mai hai preso questa strada?" è Mirco, il mio migliore amico. Almeno lui potrà aiutarmi!
"No, senti, io..."
"Con chi stavi parlando?"
Gli indico il simpaticone di fianco a me.

"Giacomo, quanto hai bevuto? Sei davanti ad una vetrina... Non vedi?"
Mirco si mette al mio posto e saluta. Il tipo dall'altra parte fa lo stesso, accentuando il sorriso derisorio.
"Sono sempre stato così bianco in faccia?" mi chiede d'un tratto lui preoccupato.
"Vieni sotto la luce, qui non ci vedo bene" gli rispondo.
Ci mettiamo sotto il lampione vicino alla vetrina. Ma, invece di controllare quanto bianca sia la faccia del mio amico, mi accorgo che siamo tre, non due.
"Mirco, ma se questa è una vetrina, non dovremmo essere quattro? Due di qua e due di là, sul vetro?"

Mirco scoppia in una risata scrosciante: "Si vede che sei proprio andato! Non vedi neanche doppio e spari cavolate!"
Si asciuga le lacrime e mi mette un braccio attorno alle spalle: "Vieni, che ti avevo detto? Se perdi la linea bianca non torni più a casa..."

E ritorniamo a seguire la linea bianca, un piede davanti all'altro, senza scostarci. Lui davanti, io dietro. Ma è davvero difficile mantenere l'equilibrio.

...

"L'avevo detto a Gino: fare il mimo di notte non rende proprio. Ma se ne vedono delle belle... Quei due continueranno a girare in tondo fino a domani mattina se rimangono su questa piazza" borbottò Fabrizio sul suo piedistallo. Il trucco bianco sulla faccia iniziava a fargli molto prurito, ma non osava toccarsi, nel timore di scrostarlo troppo. In fondo, il prossimo allocco stava per arrivare e gli altri due si sarebbero ripresentati davanti a lui almeno altre tre volte se non crollavano a terra prima. 

Si rimise i pantaloni e si raddrizzò la maglietta, imitando la postura del giovanotto che stava per arrivare...

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